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Calcio

Cose dell’altro…Calcio di Mattia Grandi

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Autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola, venerdì 29 aprile 1994. Grazie ad un compagno di classe con concrete aderenze in casa Sagis, l’allora gestore dell’impianto sportivo imolese, accedo alla terrazza box, area assolutamente VIP, per godermi la prima giornata di prove ufficiali del GP di San Marino di F1. E’ una splendida giornata di sole, primavera inoltrata e la leggera brezza che spira dalla Rivazza trasporta i profumi ed il vociare della vita nel paddock. La terrazza Sagis confina con quella riservata all’Automobile Club Bologna che ospita, in giornata, giocatori e dirigenti del Bologna Calcio. La squadra di Gazzoni milita in serie C, è il primo anno post fallimento. Dopo una parentesi griffata Alberto Zaccheroni da Cesenatico, la guida tecnica è affidata ad Edy Reja. La squadra non veleggia con il vento il poppa, zona play off lontano dal vertice. Gli ultras in curva Andrea Costa cantano: “Marco Negri di testa, Pergolizzi che scatta e Cecconi che insacca e la curva fa festa!”. Una vita fa. Ho l’abbonamento allo stadio e quei ragazzi sponsorizzati “Buona Natura”, marchio bio di gazzoniana memoria, sono i miei idoli. Me li ritrovo tutti li, ad un passo. Il mio cavallo è Marco Negri, bomber di lusso per la categoria. Poi c’è Cecconi, Ivano Bonetti, Paolino Sacchetti, Luca Pazzaglia, uno dei calciatori più tristi mai visti sotto le Due Torri. Riccardino Cervellati, oggi amico procuratore, difende i pali della porta rossoblu, Casanova, Troscè, il “Dema” De Marchi, Presicci, “Tarozzino” e “Pergola” sono i difensori. Doveroso menzionare Franco “Tapiro” Ermini, Beppino Anaclerio e il redivivo Alvise Zago. Una pagina a parte, triste, per Beppe Campione, strappato via troppo presto da questa terra in una nebbiosa notte ferrarese di qualche tempo dopo. Sono tutti li, mi diverto con il blocchetto per gli autografi e gli scatti con una vecchia (allora no) macchina fotografica da 36 pose. Sto per essere immortalato nell’abbraccio con Marco Negri quando il boato della folla cancella ogni sorriso. La Jordan di Rubens Barrichello vola contro le alte recinzioni della Variante Bassa. La carambola è pazzesca, il pilota esce miracolosamente illeso, gli spettatori della tribuna adiacente sbiancano dal terrore. Le prove vengono interrotte e tutta la trafila medica di prassi che accompagna Rubens all’ospedale di pista avviene in un silenzio surreale. All’ok dei medici tiriamo tutti un sospiro di sollievo, è il preludio al week end più nero della storia del circuito di Imola e della F1. Il giorno seguente durante la seconda sessione di prove ufficiali all’altezza della curva Villeneuve perde la vita con la sua Simtek l’austriaco Roland Ratzenberger. Lo avevo conosciuto qualche mese prima nel paddock, gli tenni il casco in mano mentre mi firmava un autografo. Gentile, sorridente, felice per la sua avventura nell’èlite dell’automobilismo. Pagare per correre, pagare per morire, destino atroce. Imola piange, è colpita al cuore, il circus della F1 è investito, dopo tanti anni, dal dolore per una morte assurda. Nemmeno il tempo di rifiatare, asciugarsi le lacrime, domenica 1 maggio 1994 dopo pochi giri dal semaforo verde, all’altezza della curva del Tamburello, Ayrton Senna da Silva, uno dei più grandi campioni di tutti i tempi esalava l’ultimo respiro tra le lamiere della sua Williams Renault. Senza parole. La storia di Imola e del suo autodromo è stata profondamente segnata da quel maledetto week end di primavera del 1994. Mi capita spesso di pensarci ancora oggi anche se i bolidi a quattro ruote non attraccano più in riva al Santerno. Mi mancano le bancarelle in viale Dante, la caccia agli adesivi dei team la domenica mattina, le piantonate sotto gli alberghi aspettando Patrese, Alboreto, Berger ed Alesi. I giri in bicicletta con mio padre per vedere da lontano i camion delle scuderie, le ragazze Marlboro, le bandiere Ferrari e quelle carioca di Ayrton. Il Bologna quell’anno perse la semifinale play off contro la Spal per l’accesso alla cadetteria nazionale, le disgrazie sono altre. Che razza di anno quel maledetto 1994, nulla è stato più come prima.

Mattia Grandi

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