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Le mie tre ore con la Ekberg di Mattia Grandi
Imola, hotel Molino Rosso, novembre 2005. Seduto nei divanetti della hall del noto albergo cittadino attendo, emozionato, una delle ultime dive viventi del grande cinema anni ’50-’60: Anita Ekberg. L’intervista non è pianificata, il settimanale imolese con il quale collaboro ha avuto una soffiata e mi ha spedito in tutta fretta sulle tracce dell’attrice svedese. Non sono un cinefilo e non possiedo una cultura cinematografica da antologia ma la scena della Fontana di Trevi ne “La dolce vita” (1960) di Fellini rappresenta un cult planetario che varca ogni lacuna di settore. Anita è ad Imola in occasione di una sua ospitata nella nota rassegna enogastronomica locale “Baccanale”, tema dell’anno, il dolce. Tutto torna. Si aprono le porte scorrevoli della hall, intravedo un’elegante sagoma vestita di nero, larghi occhiali scuri sul pallido viso e capelli color stoppa raccolti in un fermaglio. Settantaquattro primavere hanno scalfito soltanto in parte l’armonia di quei lineamenti capaci di mandare in visibilio gli uomini di mezzo mondo. Miss Svezia nel 1950, un paio di matrimoni finiti male ed una serie di flirt più o meno ufficiali che la affiancano a Frank Sinatra, Gianni Agnelli e Dino Risi. “Buonasera Signora Ekberg, scusi se la disturbo, mi chiamo Mattia Grandi, sono un giornalista di Imola, le domandavo la gentilezza di poterle formulare qualche domanda…”. “Ciornalista?! Io odio i ciornalisti, sono tutti ipocriti, persone false e scrivono grandi cazzate”. Molto bene, mi si attorciglia lo stomaco, tempo stimato di permanenza nei paraggi dal minuto al minuto e mezzo. La butto sul simpatico, alle volte con le donne aiuta. “Ma no Signora Ekberg, non dica così…i giornalisti non sono mica tutti uguali!”. Nonostante le scure lenti fumè appoggiate sul delicato nasino, i suoi occhi azzurri mi fulminano in pochi istanti. La vedo male e la sua assistente mi sgrana occhiate piuttosto eloquenti, roba della serie, non è giornata. Non demordo e la tallono. “Non parlo con i ciornalisti e poi sono molto stanca ed affamata”, replica Anita. L’errore però lo commette sedendosi ad un tavolino del bar attiguo. Mi accomodo anche io. L’assistente è allibita, la Ekberg mi considera il giusto. “Ciornalista ma tu cosa vuoi sapere di me? Sei troppo ciovane per conoscere la mia storia”. “No Signora Ekberg, lei è un mito, chi non la conosce?”, carta del paraculo sfoderata. Arriva un vassoio di tartine al salmone e una bottiglia di bianco fermo. Morale: tre ore in compagnia di Anita Ekberg attraverso uno dei monologhi passivi più pazzeschi della mia carriera di intervistatore. Gossip, aneddoti, amori, flirt, invidie, registi, attori ed attrici. La Signora è un fiume in piena ed il bianco fermo le scioglie la lingua, alla nostra conversazione si aggiunge un collega del settimanale concorrente…meglio tardi che mai. L’imbarazzo sale perché i contenuti della sua esposizione sono dichiaratamente osè. “Alfred Hitchcock? Un autentico porcello, per recitare nei suoi film dovevi andarci a letto, cosa che faceva con una certa regolarità Grace Kelly prima di diventare principessa”, parte soft la Ekberg. “Io e Marcello Mastroianni? Uomo estremamente affascinante ma con una sola vera passione, le sue sigarette. Nelle pause delle riprese ne fumava una moltitudine, spariva lontano da tutti per ore, si isolava…no, tra noi non c’è mai stato nulla, io poi parlavo solo inglese e svedese”. Le colleghe, ovviamente, non vengono risparmiate con un certo accanimento nei confronti delle italianissime Gina Lollobrigida e Sofia Loren: “Gina non poteva vedermi, io ero una star lei no. Una volta sbarcammo con l’aereo a Santiago del Cile, mi accolsero con un gigantesco mazzo di fiori e tutte le onorificenze del caso, per lei…nulla! Andò su tutte le furie e se la prese con il suo assistente, quante risate”. La Dolce Vita e la scena della Fontana di Trevi è tutto un aneddoto. “Girammo quella scena in gennaio, io sono svedese e non avevo particolari problemi con la temperatura, Marcello invece era completamente congelato. Sotto l’elegante vestito indossava una sorta di muta impermeabile e un paio di stivaloni di gomma. Al primo ciak entrando nella fontana cadde e si bagnò completamente, era molto incazzato”. “Di Federico Fellini ho un bellissimo ricordo, persona straordinaria, professionista vero nella sua genuinità, competenza e signorilità. Non mi ha scoperta lui, quando mi ingaggiò per La Dolce Vita avevo già lavorato negli States con il titolo di Miss Svezia ”, racconta la Ekberg. “Sai qual è una cosa che mi fa veramente arrabbiare ciornalista? Quando vedo Claudia Schiffer, Anna Falchi o Valeria Marini che per spot, fiction o servizi fotografici emulano il famoso bagno nella Fontana. Poverette, non hanno ancora capito che quella scena immortale è solo mia!”. Ad un certo punto (dopo la seconda bottiglia di bianco), una caldana. “Ciornalista vai ad aprire quella finestra!”. Mi alzo e mi dirigo verso un finestrone del bar. Scuoto la tenda e mi accorgo che la finestra è vincolata ad un sistema di sicurezza, così ci impiego qualche minuto. “Ciornalista allora, non riesci nemmeno ad aprire una finestra e vuoi scrivere sui ciornali, aprila subito!”, urla la Signora. L’avrei strozzata. Dopo tre abbondanti ore di chiacchiere e decine di aneddoti cinematografici, mi guarda e mi dice: “Ora io sono molto stanca e vado nella mia stanza. Ascoltami bene ciornalista, tutto quello che ti ho raccontato corrisponde al vero, non ho paura di essere smentita però, se puoi, tieni tutto per te”. Ancora oggi ripensando a quel commiato della Ekberg avverto un profondo senso di tenerezza ed umanità. Non ha mai sollevato i larghi occhiali fumè dal viso ma in quell’istante ho percepito attraverso le lenti una dolce richiesta di comprensione. Dismessi i panni della diva, Anita indossa quelli di una fragile settantaquattrenne. Una nonna, come la mia, come le vostre. La bellezza non è eterna, sfiorisce con l’inesorabile trascorrere del tempo. Ha avuto tutto ai suoi piedi, fama, ricchezza, bellezza, uomini. Restano tanti ricordi, fotografie ingiallite ed una realtà che se ne infischia dei fasti del passato. Uscendo nel parcheggio dell’albergo il collega presente all’intervista mi rincorre: “Mattia, cosa facciamo? La Ekberg ha fatto solo pettegolezzi, come si fa a confezionare un articolo così…”. Ho impiegato una notte intera, sette anni fa, per scrivere quel pezzo. I due giornali concorrenti uscirono contemporaneamente nelle edicole di Imola quel fine settimana. Il mio articolo titolava: “Anita Ekberg, storia di una diva”, nessuna allusione ai suoi racconti piccanti, qualche indiscrezione sì, niente di più. Il collega guadagnò la prima pagina a caratteri cubitali: “Hitchcock? Un vero porcello!”. E’ una questione di scelte, di situazioni, di analisi, di viscere e perché no, anche di stile. Inviai il resoconto stampa all’assistente della Ekberg, il mio collega no. Nessuno dei due è poi diventato la prima firma di qualche rotocalco patinato, quotidiano o rivista cinematografica, ci vuole ben altro. Oggi l’ottantaduenne Anita vive in una casa di cura sui colli romani. La immagino immersa in una morbida poltrona mentre catechizza a suon di racconti le coinquiline e le infermiere. Alla Signora Ekberg sono debitore di tre ore della sua vita con la speranza di essere diventato, nel frattempo, un onesto ciornalista.
Mattia Grandi
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