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Chiacchiere da Bar…bieri – 1992: Scuderia Ferrari lascia la Formula 1

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Questo appuntamento di “Chiacchiere da Bar…bieri” non vuole concentrarsi su un tema strettamente di attualità, bensì vuole riportare alla luce una delle più classiche delle sliding doors che da sempre caratterizzano il mondo del motorsport.

Dell’episodio raccontato in queste righe non troverete praticamente nulla su internet. L’unica versione di quanto stesse bollendo in pentola durante la primavera del 1992 ce lo racconta l’uscita di giugno dello stesso anno di Quattroruote. Il numero 440 della storica rivista automobilistica recitava infatti, in copertina, un occhiello curioso ed enigmatico: formula 1, Ferrari lascia e continua.

 

I sospetti movimenti nel paddock durante la primavera ‘92

A partire da pagina 234, si può infatti leggere che ai primi di maggio di quell’anno al Salone dell’Auto di Torino, l’avvocato Agnelli rispose, ad una domanda sul futuro di una Ferrari in evidente crisi tecnica e di risultati in Formula 1. La risposta fu nebulosa: “Tra vincere e lasciare c’è una via di mezzo”. Nelle settimane seguenti, Luca Cordero di Montezemolo, diventato presidente Ferrari nell’autunno 1991, fu visto entrare nel motorhome McLaren in occasione delle prove del Gran Premio di Spagna. Ad attenderlo c’era Ron Dennis e l’ordine del giorno aveva dell’incredibile: la fornitura al team di Woking di motori e cambio Ferrari, rimarchiati Fiat. Dennis stava cercando infatti un nuovo motorista, dal momento che si facevano sempre più insistenti le voci di un’uscita della Honda dalla Formula 1, dopo anni di dominio assoluto. Di contro, il manager inglese doveva assicurarsi un fornitore di indiscusso livello, al fine di garantire un’importante base tecnica al suo asso Ayrton Senna. Sapendo come è poi andata a finire, siamo perfettamente consapevoli che ciò non accadrà: Ron Dennis si accontentò di una fornitura Ford clienti con la quale il brasiliano dovette letteralmente compiere i salti mortali per dare qualche grattacapo al suo acerrimo rivale Alain Prost, ritornato alle competizioni dopo un anno di stop al volante dell’imbattibile Williams – Renault.

Ma qual era l’interesse di Montezemolo a cedere i suoi motori ad una diretta rivale per i titoli piloti e costruttori? Semplice: come ci racconta Quattroruote, Ferrari e McLaren non sarebbero stati più concorrenti, perché la Scuderia avrebbe dismesso il programma Formula 1. Avrebbe però continuato a progettare e produrre powertrain e cambi per scuderie clienti e queste componenti sarebbero state ribattezzate “Fiat”. A pensarci ora vengono i brividi.

 

 Ecco ciò che abbiamo rischiato di vedere a partire dal 1993 (credits: tuttomclaren.it)

 

Fuori Ferrari, “dentro” Fiat. Perché?

Il discorso, secondo il mensile, è semplice. Fiat era all’inizio di una ristrutturazione interna e doveva far fronte alle imminenti sfide del mercato automobilistico. Il gruppo italiano era allora il primo costruttore europeo di automobili, ma la concorrenza straniera in Italia era sempre maggiore. Inoltre, negli anni a venire sarebbero stati lanciati diciotto nuovi modelli e secondo il nuovo amministratore delegato Paolo Cantarella, che aveva rilevato Vittorio Ghidella, era necessario investire tutte le risorse nella produzione. In tal senso, era stato dismesso anche il reparto corse Lancia, all’epoca uno dei principali protagonisti nel mondiale rally, dando di fatto inizio al declino del glorioso marchio, persistente ancora oggi (e il fatto che la sola auto in produzione sia la Ypsilon, una citycar, ne è la triste conferma).

Anche Ferrari stava attraversando un momento delicato. Il mercato delle supercar era in calo e negli Stati Uniti rimasero invenduti diversi stock della nuova Testarossa, della quale non era stato apprezzato l’aggiornamento estetico, mentre la 348 era per gli americani “sottomotorizzata” e instabile aerodinamicamente, quindi non all’altezza delle aspettative.

Inoltre, c’era un problema di dualismo interno alla Gestione Sportiva, una frattura della quale si parla ancora oggi. Si tratta della perenne lotta tra reparto motoristico e telaistico, che impediva alla casa di Maranello un’unità di intenti necessaria per rimanere al passo dei concorrenti, i quali dovevano solo pensare alla costruzione di un ottimo telaio.

Rispetto agli avversari Ferrari era infatti l’unica squadra a produrre tutto in casa. Gli sforzi erano più grandi rispetto a quelli fatti dagli altri e i risultati non stavano giustificando quegli investimenti. Al momento del ritorno a Maranello, Montezemolo ricevette dall’avvocato Agnelli la richiesta di effettuare un’analisi costi-benefici sulla partecipazione di Ferrari alla massima formula. Le conclusioni del presidente della Casa del Cavallino Rampante misero ancora più dubbi a Gianni Agnelli. La fornitura di motori e cambi avrebbe garantito quindi la possibilità di guadagnare con la Formula 1 invece di investirci, dando comunque a Fiat una notevole visibilità.

 

Come sarebbe una Ferrari senza Formula 1?

Com’è andata a finire lo sappiamo bene. In Ferrari, invece che lasciare, si raddoppiò. Arrivò Jean Todt, seguito da Michael Schumacher e dai tecnici che fecero grande la Benetton, quali Ross Brawn e Rory Byrne, che raggiunsero il pilota tedesco nella Motor Valley. Da lì iniziò nel 2000 il dominio degli uomini in rosso e la carta del ritiro della Formula 1 è sempre stata utilizzata più per scopi politici che per reali convinzioni strategiche.

Più volte, nel corso degli anni, ci si è chiesto cosa sarebbe una Ferrari senza Formula 1 (e viceversa). Io credo che lo sport motoristico più seguito al mondo sopravvivrebbe, ma non sarebbe la stessa cosa. Non nascondiamoci dietro un dito, la Casa di Maranello ha l’incredibile capacità di spostare l’interesse (e le spese) di milioni di persone verso il campionato al quale partecipa. L’effetto Ferrari lo vedremo a partire dal 2023 con il ritorno nel Mondiale Endurance, che mi aspetto sarà più seguito che mai. E la Ferrari senza Formula 1, resisterebbe? Senz’altro sì. La massima formula è uno sport eccezionale, che in settant’anni ha scritto pagine indelebili della storia delle competizioni motoristiche. L’appeal che ha il Cavallino, però, è secondo me superiore a quello del campionato al quale prende parte.

Da qui nasce quindi un’ulteriore riflessione. Cosa sarebbe la Ferrari senza il motorsport?

Ecco, a questo punto le note si fanno dolenti. Senza competizioni, a mio modesto avviso, rischierebbe di diventare una grande casa in declino. Le Ferrari da strada sono un’icona perché simbolo di esclusività e lusso, certo, ma anche perché permettono ai facoltosi clienti di essere al volante di un’auto che ogni settimana contribuisce a scrivere la storia delle competizioni, che sono il sale dell’automobilismo.

 

 

 GP di Spagna 1992: battaglia tra Alesi e Berger. I due non sapevano che in quel weekend il loro futuro in Ferrari fu messo in discussione (credits: Mediaset)

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