Seguici su

Altri Sport

Carspillar – Ferrari 365 P2 “elefante bianco”: pachiderma rampante

Pubblicato

il

Esperimenti da corsa

Pensate che le auto da corsa siano oggetti perfetti ed immutabili, espressioni massime di tecnologia figlie di immensi studi e nate già pronte per scendere in pista? A volte si, ma molto più spesso no. Perché la storia delle vetture da competizione è fatta principalmente di prove, esperimenti, ritagli ed infiniti “copia-incolla”. Accade oggi ma accadeva ancora più sovente in passato, quando le vetture erano spesso delle specie di Frankenstein, o se preferite Pokemon in continua evoluzione. Un esempio di simile creatura nacque nel 1966 ed all’anagrafe venne registrata come Ferrari 365 P2 Berlinetta Drogo, per gli amici semplicemente “elefante bianco”.

 

La Ferrari 365 P2 “elefante bianco” a bordo pista nella 24 ore di Le Mans 1967 (Tuttoslot – Sconosciuto)

Prototipo da privati

Il 1965 aveva portato a Maranello l’ennesimo titolo nel campionato mondiale sportprototipi grazie alle 275 e 330 P2, evoluzioni delle vetture 1964. Nonostante la differente denominazione si trattava di due versioni della medesima biposto spinte da motori di cilindrata differente (3285,72 cc per la prima e 3967,44 cc per la seconda). I nomi, come da consuetudine Ferrari, riprendevano la cilindrata unitaria (il volume di un singolo cilindro in cc). Nel corso stagione la casa decise di trasformare ulteriormente i cinque telai esistenti in una terza vettura, la 365 P2, costruita poi anche in un sesto esemplare. Essa nasceva ancora da un “trapianto di cuore”, ovvero tramite l’installazione di un propulsore 12 cilindri da 4390,35 cc per essere affidata a squadre private. Ma la vera protagonista della nostra storia è una tra loro, quella identificata dal numero di telaio 0838 e nata come 330 P2.

Un salto dal carrozziere

All’inizio del 1966 le 365 P2 vennero riviste dal carrozziere Piero Drogo con una veste aerodinamica che le rese simili alle nuove 330 P3. La 0838 si mise subito in luce alla 24 di Daytona dove, iscritta dalla scuderia NART, colse il quarto posto condotta da Pedro Rodriguez e John Surtees. La squadra decise di riportare vettura ed equipaggio anche alla 12 di Sebring, ma l’esperienza si chiuse con un incidente in cui le fiamme sviluppatesi danneggiarono pesantemente il mezzo. Tuttavia le auto da corsa hanno una caratteristica del tutto “suina”: non si butta mai via nulla. Drogo decise così di riparare la 0838 e prepararla con una veste aerodinamica specifica in funzione della corsa che valeva l’intera stagione: la 24 ore di Le Mans.

 

Un vestito lungo

La biposto del Cavallino venne ricostruita con una carrozzeria estremamente profilata e caratterizzata da una lunga coda per migliorava la penetrazione aerodinamica sui lunghi rettilinei del circuito francese. Lo studio delle forme in galleria del vento era ancora fantascienza e le configurazioni erano quasi sempre figlie di esperienze pratiche. Sulla 0838 alcuni particolari erano però un netto passo avanti rispetto alle rivali. Un esempio? Per migliorare l’aderenza, Drogo applicò un’ala di corda ampia che quasi poggiava sull’estremità posteriore del retrotreno. Discorso analogo per le due pinne stabilizzatrici installate per migliorare la stabilità alle alte velocità, mentre all’anteriore si cercò di compensare la tendenza al sollevamento con l’applicazione di due piccole appendici ai lati del muso. Il voluminoso cofano motore era dotato di prese d’aria laterali, mentre la dissipazione del calore era garantita da una generosa batteria di sfoghi tra i gruppi ottici posteriori. Verniciata in bianco con la sola eccezione del blu sulle pinne, la vettura appariva molto voluminosa e caratterizzata da forme decisamente tondeggianti, tanto da guadagnarsi l’appellativo che la rese famosa: elefante bianco.

La Ferrari “elefante bianco” alla curva di Mulsanne durante 24 ore di Le Mans 1966 con Gregory al volante (WallpaperUP – Sconosciuto)

Sotto la pelle

La 365 P2 era dotata di un telaio a traliccio in tubi d’acciaio rinforzato con piastre di alluminio rivettate per aumentare la rigidità senza eccedere col peso. Ad esso era accoppiato, in posizione posteriore centrale e disposto longitudinalmente, un motore 12 cilindri a “V” di 60° con distribuzione monoalbero a camme in testa e due valvole per cilindro. Alimentato da sei carburatori Weber 38DCN, era capace di sviluppare una potenza di 380 CV a 7200 giri/min. La trasmissione era costituita da un cambio a cinque rapporti accoppiato al motore tramite una frizione multidisco, mentre la trazione era sulle sole ruote posteriori. La parte telaistica era completata da sospensioni indipendenti a quadrilateri deformabili sia all’anteriore che al posteriore, mentre l’impianto frenante prevedeva dischi su tutte e quattro le ruote. Le forme della carrozzeria davano l’impressione di essere davanti ad un mezzo di dimensioni maggiori rispetto alle reali: l’ “elefante” era infatti lungo 4,16 metri, largo 1,67 ed alto 1,05, con interasse di 2,40. Numeri decisamente inferiori rispetto a quelli della maggioranza delle sportive stradali.

 

Carriera breve e sfortunata

La Berlinetta Drogo venne iscritta all’edizione 1966 della 24 ore di Le Mans, proprio quella immortalata sul grande schermo in “Le Mans ’66 – La grande sfida“. A portarla in gara fu sempre la mitica NART di Luigi Chinetti, l’importatore americano di Ferrari, un equipaggio tutto a “stelle e strisce”: Bob Bondurant – Masten Gregory. Nonostante il valore di squadra e piloti (Gregory e la NART erano stati vincitori l’anno precedente) la spedizione si concluse dopo 88 passaggi per il cedimento della trasmissione. Convinti della validità del “pachiderma”, gli uomini della NART decisero di ripetere la partecipazione l’anno successivo. Per la seconda uscita si scelse la configurazione aerodinamica “alata” e con le pinne verniciate in blu sulle quali venne simpaticamente disegnato un elefantino bianco nella stessa posizione del cavallino rampante. Iscritta con il numero 26 per l’equipaggio Parsons-Rodriguez, l’ “elefantino” fu nuovamente sfortunato: il ritiro giunse dopo soli 30 passaggi a causa di un incidente. Dopo questa seconda partecipazione il telaio numero 0838 venne riconvertito alla sua veste aerodinamica originale entrando a far parte della collezione francese “Mas du Clos”, quindi di un’altra prestigiosa collezione oltreoceano. Da allora appare solo in eventi selezionati, lasciando intatto negli appassionati il ricordo di un elefante bianco nato nella Motor Valley.

Immagini storiche della 24 ore di Le Mans 1966: la gara di esordio dell’ “elefante bianco” (Matthieu Turel su YouTube)

Continua a leggere le notizie di 1000 Cuori Rossoblu e segui la nostra pagina Facebook

Lascia un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *