Bologna FC
Il film della partita: Napoli – Bologna in 5 momenti
È un Bologna in cerca di riscatto quello che si presenta allo Stadio Diego Armando Maradona di Napoli, soprattutto dopo la prova di carattere, nonostante la sconfitta, offerta contro il Milan. Un Bologna che tuttavia non riesce mai ad entrare in partita e viene sconfitto per 3-0, schiacciato da una squadra evidentemente superiore sia a livello fisico che mentale, oltre che tattico. Ecco, dunque, Napoli-Bologna in 5 momenti.
La prodezza di Ruiz – Dopo 18 minuti di sostanziale equilibrio, in cui il Napoli ha una buona occasione con un pallonetto di Insigne salvato da Medel, arriva una magia a sbloccare il risultato: sfruttando un grave errore in uscita di Svanberg, che regala palla a Lozano poco fuori dall’area di rigore rossoblu, il messicano serve Elmas, il quale trova appena al di fuori del semicerchio dell’area di rigore Fabian Ruiz. Il centrocampista spagnolo prende ispirazione dal proprio capitano e con un perfetto tiro a giro batte un incolpevole Skorupski, che vola ma non riesce a disinnescare la conclusione dello spagnolo.
L’ingenuità di Medel – Perché al di là del rigore o non rigore, un giocatore d’esperienza come il cileno non può permettersi di andare a saltare in quel modo. Il cross di Insigne era sì pericoloso e un attaccante come Osimhen crea sempre un po’ di apprensione, ma cercare di anticiparlo con la mano, anche se siamo nello stadio de La Mano de Dios, non è la migliore delle idee. Insigne realizza il rigore del 2-0 e scaccia via i pensieri negativi dei recenti errori dagli 11 metri, mentre il Bologna rivede i fantasmi che lo perseguitano da inizio stagione con sviste ed errori arbitrali (su tutti, il colpo di Osimhen a Theate qualche minuto prima, forse involontario o forse no), anche se, in questo caso, forse sarebbe meglio fare mea culpa.
La grinta di Barrow – Anche in una partita molto difficile, contro la miglior difesa del campionato e per di più in un ruolo non suo, uno dei migliori in campo per i rossoblu è ancora Musa Barrow, l’unico a creare qualche grattacapo alla coppia centrale Rrahmani-Koulibaly. Come al 53° minuto, forse la miglior occasione per il Bologna, quando una palla lunga in area di Svanberg viene raccolta da Di Lorenzo ma poi caparbiamente riconquistata da Barrow, che dalla zona sinistra dell’area di rigore prova a battere Ospina sul palo lontano. La conclusione del gambiano termina però fuori di poco per il rammarico dei tifosi rossoblu e di Riccardo Orsolini, anche lui fra i migliori tra i ragazzi di Mihajlovic, che per poco non deviava in rete il tiro del compagno.
Solita storia – Non perché gli arbitri siano contro il Bologna o esista qualche tipo di complotto nei confronti dei rossoblu: solita storia perché di rigori come quello fischiato al 61° per fallo di Mbaye su Osimhen se ne vedono spessissimo in Serie A e non, rigori fischiati più perché cercati dall’attaccante che per altro. O rigori frutto di un’esagerazione della caduta. Ma anche qui, nonostante questo sia molto meno evidente rispetto al primo rigore, non è colpa degli arbitri: è un problema culturale, perché se certe cose si insegnano fin dalla scuola calcio non ci si può lamentare che poi accadano anche a livello professionistico. Il contatto fra Mbaye ed Osimhen c’è, ma la caduta del nigeriano è parecchio accentuata: tanto basta per richiamare l’attenzione del Var e per concedere il secondo rigore agli azzurri, che di fatto chiudono la partita con la doppietta di Insigne.
L’unico tiro in porta – Al di là degli errori arbitrali e dei meriti dell’avversario, c’è un dato che rappresenta perfettamente la partita del Bologna: il primo, ed unico, tiro in porta della partita per i rossoblu arriva all’85° minuto, con un calcio di punizione di Orsolini dal limite dell’area respinto in calcio d’angolo da Ospina. Troppo poco per pensare di poter impensierire un Napoli che viaggia spedito e al momento guida la classifica insieme al Milan; d’altro canto, andare a far punti sul campo della prima in classifica, che ha subito solamente 3 goal in 10 partite, senza l’attaccante titolare era un impresa in cui solo i più ottimisti potevano credere.
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