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Christmas Tale – Un sogno di nome Maradona

Un sogno di nome Maradona- Una racconto natalizio della rubrica “Christmas Tale”

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La città di Ica sorge in una regione del Perù meridionale, a qualche chilometro sotto la capitale Lima. L’area è molto famosa sia per la grande produzione di vino, destinata a ricoprire l’intero territorio, sia per la distillazione dell’acquavite di Pisco: bevanda nazionale ricavata da vino bianco e rosato. La vita laggiù è molto tranquilla, il paese è circondato da aree naturali, oasi mozzafiato, con un’economia concentrata maggiormente sull’agricoltura.

Sonia viveva con la sua famiglia in un piccolo villaggio in campagna, nelle immediate vicinanze della città di Ica, aveva appena 10 anni, tanti ricciolini neri che le ricoprivano la testa e un solo desiderio: incontrare Diego Armando Maradona. Sonia si era innamorata del calcio fin da bambina, aveva iniziato a giocare nel cortile della scuola, durante la ricreazione. I suoi compagni maschi le avevano affidato il ruolo del portiere, convinti che una femmina non fosse capace di poter calciare un pallone con forza e bucare la rete. Lei da dietro vedeva tutto: capiva le mosse degli avversari e per aiutare la sua squadra, gridava ai compagni come avanzare verso l’area nemica. Era una bambina molto intelligente che non si lasciava mettere i piedi in testa neanche dai maschi: tra i pali parava quasi tutto, tranne i tiri troppo vicini, per quelli preferiva spostarsi piuttosto che rimetterci qualche livido. Il papà di Sonia non voleva che lei perdesse tempo in un mondo di maschi e palloni, diceva che quello non era il suo posto e cercava di spronarla a venire a lavorare con lui nei campi di vite. I suoi fratelli, Luis e Miguel, aiutavano già il padre con la produzione di vino, una volta finiti gli studi avevano subito occupato un posto nell’azienda di famiglia. La madre invece, si occupava della casa, dalla cucina alle pulizie, al giardinaggio: era un’ottima padrona, dettava lei stessa le regole all’interno, regole che nessuno si permetteva di infrangere, e che le permisero di crescere dei figli molto obbedienti.

Anche Sonia lo era, nonostante la sua anima ribelle, e univa l’essere ribelle alla testardaggine: una sera non era rientrata a casa dopo essere andata al parco a giocare con gli amici, era rimasta nel campo da calcio, a cimentarsi con i calci di rigore. Voleva provare quell’emozione che si provava quando un portiere salva il risultato, indovina la traiettoria del pallone e prontamente si tuffa per proteggere la rete. I suoi genitori la ritrovarono per terra, sporca di fango, con un compagno di classe, Juan, che si improvvisava allenatore. Il padre non le disse nulla, la prese per un braccio e la trascinò in casa. Le spiegarono che erano molto in pensiero per lei, che non poteva permettersi di oltrepassare l’orario fissato per il rientro, e che a causa del suo gesto, l’avrebbero messa in punizione per una settimana. In quel momento Sonia non stava prestando attenzione al discorso dei genitori, anzi, probabilmente quando udì la parola “punizione” si immaginò il grande Diego pronto a battere. Sapeva però che questo le sarebbe costato sette giorni senza il suo calcio, così, col viso pieno di lacrime chiese perdono per l’accaduto, sperando di ottenere uno sconto di pena.

Purtroppo, la bambina dovette ufficialmente passare una settimana di pomeriggi in camera sua, incollata davanti alla finestra a sognare il vento che Le scorreva tra i capelli quando corri libero in mezzo al prato.

Decise quindi di non buttarsi tra le braccia della malinconia e della solitudine; cominciò a disegnare su carta degli schemi di gioco, che secondo lei potevano essere buoni da provare con i suoi amici. Aveva grande capacità di visione delle giocate, utilizzava tanti pastelli di colore diverso per evidenziare le varie possibilità all’interno dell’azione. Si ripeteva che una volta finita la clausura, le avrebbe fatte vedere ai suoi amici e avrebbero provato a metterle in pratica. La sua squadra aspettava trepidante il suo ritorno, una bambina così intelligente e abile a difendere la porta era veramente una gemma preziosa per il gruppo, tant’è che anche i suoi compagni maschi ne avevano riconosciuto la bravura e l’importanza che aveva all’interno della squadra.

Passata una settimana, provarono gli schemi e con grande soddisfazione Sonia vide che la sua mente aveva viaggiato nella giusta direzione: qualche passaggio era da migliorare, ma aveva ideato strategie così intelligenti, che le valsero il ruolo di direttrice d’orchestra.

Il calcio era la sua passione, giocava ore e ore, inventava nuovi attacchi, spronava gli amici poco fiduciosi, era arrivata a creare una squadra nella quale tutti volevano giocare. Anche a tavola si divertiva a raccontare le sue visioni, le mosse, le parate, le partite al parco, davanti a un papà nostalgico ma consapevole che non avrebbe mai abbandonato la sua passione per venire a lavorare con lui. Il giorno di Natale, Sonia rivelò il suo più grande desiderio alla famiglia, la madre guardò il marito con aria spaesata, cercando una sorta di riposta nei suoi occhi. Come potevano aiutare la loro figlia ad incontrare Maradona? Il papà si lasciò scappare un sorriso, voleva aiutare la sua bambina a realizzare questo sogno, e così gli venne un’idea. L’anno 1986 era alle porte, i Queen trionfavano nell’olimpo della musica, la moda spopolava con pantaloni colorati a zampa di elefante, e il mondo del calcio si preparava all’evento dell’anno: il campionato mondiale di calcio del Messico.

Qualche mese più tardi, Sonia ricevette dal padre il più bel regalo della sua vita: un viaggio nella terra dei sombreri con un biglietto per la finale del mondiale. La ragazzina era in un’esplosione di felicità, non poteva credere che le fosse stata donata una tale opportunità, non sapeva quali squadre avrebbero raggiunto l’incontro finale per la coppa, ma era già una vittoria poter entrare in uno stadio e ammirare i migliori giocatori del mondo. Il destino le fu amico, e per la sua gioia, la finale si giocò tra la Germania Ovest e l’Argentina di Maradona.

Sonia arrivò allo stadio Azteca di Città del Messico con il suo papà, che aveva lavorato sodo per ottenere quei biglietti, trovarono due posti nelle prime file vicino al prato verde e aspettarono il fischio d’inizio. Il numero 10 biancoazzurro era in campo, proprio davanti ai suoi occhi, lei scoppiò in un grido di gioia e commozione che la fece saltare in piedi con le braccia in alto. Maradona non segnò in quella finale, ma la sua squadra si aggiudicò la vittoria per 3-2. Sonia abbracciò forte il padre e lo ringraziò per quell’ enorme regalo, determinata ad entrare in quel mondo di maschi e palloni, si promise che non l’avrebbe mai deluso, anzi, l’avrebbe reso fiero di tutto il suo impegno. Voleva giocare in una squadra di bambine, tutte con un’unica passione, per dimostrare che questo sport non è solo per uomini. Un giorno avrebbe alzato al cielo un trofeo vinto con la sua squadra, proprio come fece Maradona in quel momento, a pochi passi da lei.

 

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