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I Racconti del Commissario – Le Mans ‘97: vince la coppia delle coppie
Un trio tutto particolare
Una gara può essere il crocevia fondamentale della carriera di un pilota. Oppure di una coppia di piloti che dopo anni passati insieme nella Motor Valley tornano alla ribalta mondiale. Quest’ultimo è sicuramente il caso della 24 ore di Le Mans 1997, snodo fondamentale delle carriere di Michele Alboreto e Stefan Johansson, la coppia Ferrari di metà anni Ottanta che dopo una decina d’anni condividevano l’avventura alla Sarthe con un giovane danese di belle speranze che vedeva sfumare il sogno della Formula 1. Il suo nome? Tom Kristensen. Questo inedito trio doveva sfidare il plotone delle GT1 di Porsche, Nissan e McLaren (oltre alle sempre pericolose Ferrari 333 SP) con la stessa barchetta vincente 12 mesi prima, ovvero la TWR-Porsche WSC-95, gestita dal piccolo ma efficientissimo Team Joest. Ma qual era la storia di questa vettura?
Figliastra vincente
La TWR-Porsche era nata quando la Tom Walkinshaw Racing, per rivendere il telaio di una Jaguar XJR-14 che giaceva in magazzino dal 1992, decise di rimuovere il tetto e sostituirlo con un grosso rollbar, ponendovi centralmente una generosa presa d’aria per il motore in modo da trasformare la vettura in una “barchetta” conforme alle regole WSC. Per completare il progetto si decise di sostituire il Cosworth HB V8 aspirato con un altro “cuore” che da solo è una garanzia: il Porsche boxer 6 cilindri da 540 CV raffreddato a liquido con doppio turbo–intercooler che aveva dominato gli anni ottanta spingendo le mitiche 956. Nel 1996 alla squadra tedesca era riuscito lo “sgambetto” alle vetture ufficiali di Stoccarda con la barchetta guidata da Wurz, Reuter e Jones, ma nel 1997 la “casa madre” non avrebbe accettato un’altra bruciante sconfitta.
Sorprese a grappoli
Già in qualifica accadde il primo imprevisto: la pole position fu conquistata della “impertinente” TWR-Porsche guidata dall’indimenticabile Michele Alboreto, che trascinò con entusiasmo i suoi compagni scandinavi. Ma in fondo la partenza al palo contava poco in una gara lunga un giorno e la biposto di Joest sembrava essere facile preda delle Porsche ufficiali fin dal via. Già nelle prime ore di gara le 911 GT1 presero il comando delle operazioni. Le altre avversarie non sembravano allo stesso livello: la Ferrari 333SP rimaneva senza benzina dopo 2 ore, la McLaren del team BMW Motorsport rimaneva 32 minuti ai box per una perdita dal circuito di raffreddamento, mentre le Nissan R390 GT1 soffrivano di problemi al cambio che dopo numerose soste le costringevano al ritiro pochi minuti dopo le 4. Alle spalle delle vetture teutoniche una sola avversaria sembrava non voler cedere: la barchetta numero 7 di Alboreto-Johansson-Kristensen.
Porsche vince perdendo
A Stoccarda auspicavano una cavalcata trionfale delle 911 GT1 che “lavasse” l’onta del 1996, ma qualcosa iniziò a gripparsi nel perfetto meccanismo dell’armata di Weissach. A pochi minuti dalle 8 l’espertissimo Bob Wollek in testa alla corsa uscì di pista ad Arnage senza possibilità di ripartire. Un errore inspiegabile nella curva più lenta del circuito, per il quale l’alsaziano non si sarebbe mai dato pace. Solo molti anni dopo si sarebbe scoperto che l’incidente fu conseguenza di un’avaria al differenziale ma Wollek, purtroppo, non lo avrebbe mai saputo: era già morto senza mai fare sua la 24 ore. Restava in gara la seconda Porsche ufficiale, ma a poco più di due ore dal termine arrivò il colpo di scena: motore rotto in prossimità del dosso di Mulsanne, con Kelleners costretto a fuggire dalla vettura in fiamme. Per Porsche poi al danno si sommò la beffa, perchè a giovare di tutto questo fu proprio l’ “odiata” TWR-Porsche che bissò così il successo dell’anno prima. Fu una vittoria storica: per il Joest Racing che vinceva rinnovando la tradizione del suo “lucky 7” per la quarta volta, per Alboreto e Johansson che suggellavano le loro carriere, per Kristensen che aveva lasciato il segno con la sua prestazione da debuttante. Mentre la Porsche, molto intelligentemente, girò a suo favore il finale sottolineando la motorizzazione della vettura vincente.
Le fiamme avvolgono la Porsche GT1 numero 26: a poco più di due ore dal termine le speranze di vittoria sono in fumo (lemanslegend su YouTube – Sconosciuto)
Destini incrociati
Quel giorno cambiò per sempre i destini dei trionfatori. Per Kristensen si aprì una storia vincente nel mondo dell’endurance: da quel giorno avrebbe corso a Le Mans ininterrottamente fino al 2014, prima con BMW poi nuovamente nel Team Joest, diventato il braccio sportivo dell’Audi. Dal 2000 Tom legò indissolubilmente il suo nome alla casa degli anelli vincendo per altre otto volte la 24 ore di Le Mans con tutte le evoluzioni, dal diesel all’ibrido, delle biposto nate ad Ingolstadt. Unica eccezione nel 2003, con la Bentley “sorella” dell’Audi che, ovviamente, colse la vittoria. Johansson invece mise un sigillo ad una carriera che non lo aveva mai visto vincente. Negli anni successivi partecipò solo sporadicamente a qualche edizione della 24 ore dedicandosi principalmente ad altre attività ricche di soddisfazioni: la produzione di orologi, di cui curava personalmente il design, e la pittura. Per Michele Alboreto sembrò invece aprirsi una seconda giovinezza a quasi 41 anni. Anche lui ingaggiato dal Team Joest per sviluppare e portare in gara la nuova Audi R8, colse un altro podio a Le Mans nel 2000 prima del tragico incidente al Lausitzring che se lo sarebbe portato via l’anno dopo. Lasciando a tutti gli appassionati il sapore amaro del finale per una carriera che avrebbe meritato molto di più.
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