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Una gara da mito – 24 Ore di Daytona 1967, tris Ferrari a casa loro!

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Oltre cinquant’anni prima del malaugurato “a casa loro” pronunciato da Sebastian Vettel in occasione del GP di Gran Bretagna 2018, alla Ferrari era già accaduto di riuscire a battere i diretti concorrenti su una pista in territorio avverso. Fortunatamente per i tifosi e per la storia dell’automobilismo, il successo che state per rivivere ha avuto un impatto maggiore sul corso degli eventi.

 

La genesi di una rivalità da film

Gli eventi, appunto, si svolsero Daytona Beach nel febbraio del 1967, pochi mesi dopo quella celebre 24 Ore di Le Mans immortalata nella pellicola “Le Mans ‘66”, diretta da James Mangold e uscita al cinema nel 2019. In Francia Ford sconfisse finalmente la Ferrari, dopo anni passati alla rincorsa di quell’incredibile successo. All’epoca tra la Ford e la Ferrari non scorreva buon sangue, anche in virtù della fallita trattativa di compravendita che coinvolse le due case. Nel 1963 infatti, la Ford Motor Company andò a un nulla dall’acquisto della Casa di Maranello. Un particolare fece irretire Enzo Ferrari: l’impossibilità di gestire in autonomia e senza limiti di spese il reparto corse. Tanto bastò per far naufragare ogni sogno dell’azienda di Detroit di mettere le mani su quella che diventerà un’icona dell’automobilismo globale.

Per ripicca, Henry Ford II decise di competere sullo stesso terreno degli emiliani, ovvero il Campionato Mondiale Sportprototipi. Grazie al lavoro di Carrol Shelby e Ken Miles, il marchio dell’ovale blu allestì la Ford GT40, che fu messa in diretta concorrenza con le vetture con il Cavallino Rampante disegnato. Dopo una lunga cavalcata, Ford riuscì a spezzare il triennale dominio italiano a Le Mans, ma nella Motor Valley, si sa, non ci si dà per vinti con facilità.

 

Anno nuovo, vita nuova

Arrivò quindi il momento di pensare al Campionato Internazionale Costruttori 1967. L’ingegner Mauro Forghieri progettò una vettura destinata a passare alla storia. La nuova 330 P4 venne dotata di un’aerodinamica molto sofisticata per l’epoca, che garantiva una minor resistenza all’avanzamento, un assetto con l’anteriore radente al terreno e una maggior deportanza. Il propulsore invece proveniva direttamente dalla Formula 1, con 4.000 cc che sviluppavano 450 cv di potenza. Venne sostituito anche il cambio, realizzato internamente, così come le sospensioni. Alcune vetture dell’anno precedente vennero aggiornate con le specifiche ’67, così da poter garantire una nutrita pattuglia modenese in Florida.

Sin dai primi test del dicembre 1966 la Ferrari si dimostrò molto veloce, a tal punto da far correre ai ripari la Ford, che apportò modifiche al progetto a discapito dell’affidabilità. A Daytona, il 4 febbraio 1967, Ferrari si presentò con tre vetture simili, ma diverse tra loro per alcuni particolari. Il romagnolo Lorenzo Bandini, insieme a Chris Amon, vincitore con Ford della Le Mans della stagione precedente, formavano l’equipaggio numero 23 che correva con una 330 P3/4 Spyder. Con loro correvano Ludovico Scarfiotti e Mike Parkes, a bordo della 330 P4 Coupè numero 24, mentre chiudeva la pattuglia di Maranello la 412 P privata del North American Racing Team, contrassegnata dal numero 26 e condotta da Pedro Rodriguez e Jean Guichet. 

 

Le Ferrari 330 P3/4 Spyder e 330 P4 Coupè prima e seconda classificata a Daytona (Copyright: ferrari.com)

La potenza è nulla senza il controllo

Al via si portarono in testa la Chaparral di Phil Hill e le Ford, imponendo un ritmo insostenibile. Le Ferrari procedevano con un passo più lento, ma costante, frutto di ore di studio della strategia da parte degli ingegneri. La piccola scuderia italiana, che aveva al seguito meno di trenta persone, sapeva bene che le competizioni endurance si vincono soprattutto grazie all’affidabilità, a discapito della velocità pura. Gli uomini di Franco Lini, mirabile giornalista della carta stampata scelto da Enzo Ferrari come Direttore Sportivo per quella stagione, dimostrarono dopo poco di aver fatto i calcoli giusti. Prima si ritirò a causa di un incidente la Chaparral, poi, prima di metà gara, furono costrette al forfait la Ford numero 4 di Donohoue e Revson, seguita dopo poco dalla numero 2 (Bucknum-Gardner), la numero 5 (Andretti-Ginther) e la numero 6 (Ruby-Hulme). La causa del guasto è presto detta: la modifica introdotta da Shelby dopo i test di Daytona, che prevedeva l’inserimento di un doppio carburatore per aumentare la potenza del motore, gli si ritorse letteralmente contro.

 

La vendetta è un piatto che va servito freddo

A metà gara Bandini e Amon erano in testa, senza ormai più rivali, seguiti dai compagni di squadra Scarfiotti-Parkes e Rodriguez-Guichet. Lini, che di comunicazione se ne intendeva, a pochi minuti dal traguardo decise di scolpire negli occhi di tutto il mondo un’immagine che aveva il retrogusto della beffa per i rivali della Ford. Il direttore sportivo ordinò quindi l’arrivo in parata delle sue Ferrari, replicando quanto compiuto qualche mese più tardi in terra francese dagli avversari. Lo smacco fu enorme, con i media di tutto il mondo che fecero rimbalzare da ogni parte del globo terracqueo la foto delle tre Ferrari appaiate al traguardo. A fine stagione, la Ferrari si aggiudicò la vittoria del campionato. Fu la rivincita del Drake, che iniziò a casa loro.

 

Un breve reportage dalla 24 Ore di Daytona 1967 (Source: YouTube – Louis Galanos, copyright to the owners)

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