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Carspillar – Lamborghini P147 Canto e Acosta, embrioni di tori

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Indecisi e contenti

Nel 1996 la Automobili Lamborghini attraversava l’ennesimo momento complesso della sua storia. Il gruppo indonesiano Megatech controllava il marchio tentennando sulle operazioni di rilancio. Cera una sola grande certezza: la Diablo, erede della mitica Countach di cui manteneva l’impostazione tecnica. Con il suo scatto da 0 a 100 km/h in 4,09” e la velocità massima di 325 km/h, la biposto del Toro era semplicemente la più veloce auto stradale esistente, ma gli ordinativi iniziavano a contrarsi dopo soli quattro anni. Essendo l’unico modello in listino l’avviamento di un nuovo progetto era una priorità. Per accelerare i tempi limitando i costi, l’amministratore delegato Di Capua richiese lo sviluppo di nuovi concetti stilistici sulla meccanica esistente. La proprietà, sempre pericolosamente incerta, diede il via a due studi distinti e paralleli. Nacquero così due prototipi sotto la sigla P147: la Canto e la Acosta.

La “SuperDiablo” Zagato

Il primo nacque presso la SZ Design di Andrea Zagato, nome mitico per l’automobile italiana, che aveva da poco presentato la Raptor, una concept funzionante che si rivelò un ottimo laboratorio. Sul medesimo autotelaio, il responsabile del design Nori Harada disegnò un “abito” originale che richiamava le forme della Diablo inserendo elementi della Raptor. Della vettura in produzione venne mantenuta la definizione dei volumi e la tipica apertura a forbice delle portiere, mentre le prese d’aria a profilo curvo e le ampie superfici vetrate del padiglione erano mutuate dal prototipo. Anche i particolari denotavano cura e attenzione alla storia: i cerchi a cinque fori erano un legame con la tradizione Lamborghini, mentre l’accenno di doppia gobba sul tetto riprendeva l’elemento caratterizzante dello stile Zagato. Decisamente innovativi erano le due coppie di proiettori anteriori, a rilevo e di forma ovale. Molto audaci all’epoca, sarebbero stati riproposti pochi anni dopo sulla Pagani Zonda. A dispetto del risultato originale ed equilibrato, alcuni elementi come le generose prese d’aria dei radiatori (ingigantite per risolvere i problemi di raffreddamento del motore) fecero riscuotere unanimi consensi alla “SuperDiablo”.

Un breve video che mostra le forme della Canto esposta al Museo Lamborghini (BrianZuk su YouTube)

Gandini risponde

Il secondo progetto era figlio di padre ben noto dalle parti di Sant’Agata. Stiamo parlando di Marcello Gandini, colui che da responsabile dello stile presso Bertone aveva firmato i grandi successi Lamborghini dalla Miura alla Countach. Passato ad esercitare in libera professione venne nuovamente contattato dalla casa del Toro per una sua proposta di erede della Diablo, la P147 Acosta. Il progetto che prese forma rivelava una stretta parentela con la “madre”, ma mostrava al contempo scelte stilistiche del tutto personali e discusse. A colpire era l’incisione che univa i sottili fari anteriori creando uno scalino sulla superficie del cofano anteriore, raccordato al muso da ampie curvature. Altrettanto vistose erano le prese d’aria per il vano motore, più schiacciate e squadrate rispetto alla Canto, a cui seguivano ampi sfoghi sopra lo sbalzo posteriore. Decisamente massiccio appariva il retrotreno, dove la vista non era alleggerita da una griglia di sfogo e una doppia coppia di fari circolari. Un piccolo spoiler posizionato a valle al tetto ne proseguiva l’ampia curvatura, mentre fiancate e finestrini erano molto simili a quelli della Diablo.

La Acosta mostrata esternamente e internamente al Museo Lamborghini nel 2014 (effeNovanta su YouTube)

Buone solo per il museo

I due progetti ebbero storie differenti ma un destino comune. La Acosta apparve immediatamente come un “restyling” del modello esistente più che un mezzo dai contenuti estetici realmente innovativi. Lo sviluppo venne quasi subito bloccato, lasciando l’unico esemplare esistente come una “maquette” senza motore. Il futuro della Canto appariva più roseo. Ne vennero realizzati diversi esemplari in colori differenti e con modifiche sulla carrozzeria, in particolare sulle prese d’aria. Dopo svariati collaudi con l’installazione di differenti evoluzioni del propulsore e positive risultanze (si disse che un esemplare avesse superato i 350 km/h in un test a Nardò) venne approvata la linea definitiva e scelto il V12 nella specifica da 575 CV. La presentazione ufficiale era fissata per il salone di Ginevra 1999, ma l’ennesimo cambio societario bloccò tutto. Lamborghini era diventata un marchio del gruppo Audi-Volskwagen e la nuova dirigenza diede il via a un progetto del tutto nuovo, che nel 2001 avrebbe stupito il mondo col nome di Murciélago. La Acosta e la versione definitiva della Canto sono oggi pezzi pregiati del Museo Lamborghini a Sant’Agata Bolognese. Nel cuore della Motor Valley, dove la storia incontra la passione.

L’unica Acosta al Museo Lamborghini di Sant’Agata Bolognese (Archivio Claudio Fargione)

 

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