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I racconti del Commissario – Maserati alla conquista di Indy

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Il sogno di un campione

«Se avessi un’automobile come quella vincerei la 500 Miglia di Indianapolis». Detta così sembrava una sparata da bar sport, ma le parole assumono pesi diversi a seconda di chi le pronuncia. Se un’affermazione del genere usciva dalla bocca di uno che il Borg Warner Trophy riservato al vincitore della gara se lo era già portato a casa, ecco che diventava quasi una sentenza. Era il 1937 quando Wilbur Shaw, vincitore sul catino dell’Indiana, ebbe modo di partecipare alla Coppa Vanderbilt al volante di una Maserati non proprio freschissima. L’ esperienza con la vettura del Tridente lo colpì in positivo, tanto da lasciarsi scappare quella roboante affermazione. Shaw era anche un profondo conoscitore della meccanica: pochi mesi prima aveva portato alla vittoria a Indy una vettura motorizzata Offenhauser da lui stesso ideata e costruita insieme ad alcuni tecnici e meccanici. Due anni dopo i fatti avrebbero dimostrato che aveva ragione, ma se volete scoprire come mettetevi comodi per un viaggio negli anni Trenta del Novecento.

Tentativo sfortunato

La storia tra il Tridente e Indianapolis era già iniziata nel 1930. Spinto dai successi a Monza e Tripoli oltre che dal record mondiale sui dieci chilometri lanciati, Alfieri Maserati decise di iscrivere i protagonisti dell’impresa alla 500 Miglia. Si trattava della poderosa V4 a 16 cilindri e del leggendario Baconin Borzacchini, inviati in terra americana con un pugno di uomini guidati da un altro dei fratelli Maserati, il più giovane Ernesto. Il pacchetto tecnico era di prim’ordine, ma i regolamenti si misero di mezzo. Per un motore da 4000 cc come quello della V4 non erano ammessi né il compressore né l’uso di alcool come combustibile: limitazioni che portarono ad una grave perdita di potenza. Con meno cavalli a disposizione il telaio della vettura bolognese si trasformò in un pesante mastodonte, rallentato anche da una carburazione non ottimale per l’utilizzo della benzina. L’ operazione si chiuse con un ritiro e tutto sembrava chiuso. Prima di un inatteso colpo di scena.

Una monoposto azzeccata

Per il 1938 i Grand Prix europei e la 500 Miglia prevedevano la medesima formula: vetture con motori da 3000 cc con compressore o 4500 cc se aspirate e peso minimo di 850 chilogrammi. In casa Maserati aveva preso forma una monoposto ideata in funzione del nuovo regolamento: si chiamava 8CTF (otto cilindri testa fissa) ed il progetto portava interamente la firma di Ernesto. Spinta da un tre litri sovralimentato, la nuova vettura aveva offerto belle prove a Tripoli, Livorno e Pescara dando non pochi problemi alle armate tedesche di Mercedes e Auto Union, spinte da risorse economiche infinitamente superiori. Intanto dall’altra parte dell’oceano c’era qualcuno molto attento a queste prestazioni. Un personaggio capace di dare una svolta alla storia dell’automobilismo.

Un modello in scala 1/43 della Maserati 8CTF vincente a Indianapolis nel 1939 (Collezione Claudio Fargione)

L’arma giusta

Costui rispondeva al nome di Michael Joseph Boyle ed era un ricco imprenditore dell’Illinois che aveva dato vita ad una squadra corse col nome di Chicago Boyle Racing Headquarters. Sotto le sue insegne aveva messo in pista una Maserati 1500 cc con compressore che, seppur sfavorita dalla ridotta cilindrata contro le grosse vetture a stelle e strisce, aveva dimostrato eccezionali qualità con un fuoriclasse come Mauri Rose alla guida. Convinto della validità del mezzo, Boyle acquistò una 8CTF (telaio 3032) con un unico obiettivo: fare sua la Indy 500. La monoposto italiana, dipinta in uno splendido rosso amaranto, venne iscritta all’edizione 1939 della corsa come Boyle Special ed il numero 2 per il pilota che più la desiderava: Wilbur Shaw. La leggerezza del telaio, la superba tenuta di strada e l’affidabilità superiore alle avversarie americane permisero alla Maserati di sbaragliare il campo. Shaw compì in prova il giro record a 207,52 km/h, facendo sua la 500 Miglia alla media complessiva di 185,09 km/h nonostante le numerose soste ed una neutralizzazione per incidente prolungatasi oltre 160 km.

Per sempre nel mito

L’ accoppiata vincente riuscì a ripetersi anche nel 1940, quando la corsa venne sospesa per pioggia dopo 600 chilometri e Shaw aveva accumulato già oltre un giro di vantaggio sugli inseguitori a 191,40 km/h di media. L’ anno successivo sembrava dover giungere il terzo trionfo consecutivo, con un dominio prolungatosi per tre quarti di gara prima che un cerchio ruota difettoso provocasse un rovinoso incidente. Alla ripresa dopo il secondo conflitto mondiale, nel 1946, la Maserati 8CLT ritornò mostrandosi ancora al vertice. Con Ted Horn ed Emil Andres come piloti conquistò due terzi ed altrettanti quarti posti corredati da una pole position nel primo triennio post bellico prima che le roadster “made in USA” tornassero regine di Indianapolis. La sospirata tripletta non arrivò, ma il Tridente era già saltato direttamente nella storia. Fino al 1965 nessuna casa europea avrebbe più trionfato alla 500 Miglia e la Maserati sarebbe stata la prima casa tutta italiana a cogliere quella prestigiosa vittoria. Solo la Dallara, come telaista e non come costruttore totale, avrebbe fatto sua Indy ben cinquantotto anni dopo. Un primato invidiatissimo dalle parti di Maranello, dove il trofeo della grande gara americana non è mai arrivato. Ma questa è solo un’altra storia che solletica le fantasie in zona Motor Valley.

Uno storico filmato promozionale Maserati racconta la vittoria a Indianapolis nel 1939 (Luigi Codazzi su YouTube)

 

 

 

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