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I racconti del commissario – Imola negata

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Un Autodromo modello

Imola, 1972. L’ Autodromo Dino Ferrari stava per compiere i suoi primi vent’anni ma ancora non era entrato nella sua età adulta, quella della completa autonomia. Passavano i decenni e per l’impianto nato nel cuore della Motor Valley era diventato un modello in Europa, sia per l’aspetto sportivo che per le strutture di sicurezza. Tuttavia sul suo futuro pesava ancora il fatto di non essere un circuito permanente ma un anello costituito da strade pubbliche chiuse al traffico solo per le competizioni tra anse fluviali e colline. Nonostante l’impegno di Comune, Moto Club Santerno ed A.C. Bologna, le discussioni per trasformare l’ autodromo in una struttura puramente sportiva non portavano a nulla di concreto. Gli investimenti necessari si prospettavano estremamente gravosi e la realizzazione delle nuove strade perimetrali avrebbe costretto ad un difficile esproprio di terreni privati. Una situazione intricata che peggiorava in occasione delle gare. Per ogni evento era necessario un documento di agibilità agonistica rilasciato a seguito di un sopralluogo dalla Commissione di Vigilianza della provincia di Bologna, organo composto da legali, tecnici, medici e dallo stesso sindaco di Imola. Una complicazione burocratica da ripetersi spesso a distanza di poche settimane necessaria a produrre un giudizio che pesava come una spada di Damocle sull’attività del “circuìto”.

Un’ amara sorpresa

La stagione imolese era iniziata in modo positivo con la prima edizione di una corsa destinata a diventare leggenda come la 200 Miglia motociclistica, seguita sette giorni dopo dalle gare dedicate ai maxi prototipi del campionato Interserie insieme ad una scorpacciata di formule propedeutiche. I due eventi non avevano ricevuto alcun impedimento da parte della Commissione, che aveva concesso tutti i permessi necessari. Il calendario procedeva veloce e il 2 giugno era in programma un terzo evento: la 300 chilometri del campionato Europeo Gran Turismo, accompagnata da gare per vetture turismo e prototipi. La macchina organizzativa si era mossa con anticipo per raccogliere le iscrizioni, che in breve avevano superato le duecento richieste. Tutto lasciava presagire un altro successo per gli organizzatori, sicuri che il rilascio dell’agibilità fosse solo un semplice pro-forma, quando arrivò il responso: l’Autodromo non poteva dichiararsi idoneo alle gare. Una mazzata durissima per l’Automobil Club Bologna, costretto ad annullare l’evento.

Il poster delle gare imolesi del 1 maggio 1972. Perchè un mese dopo la pista non era più idonea alle gare? (Collezione Claudio Fargione)

Un perché e tanti interrogativi

Il provvedimento era giustificato con la vicinanza alla pista di due muretti esterni, uno in cima alla collina della Tosa ed uno sulla salita successiva alle Acque Minerali. La norma a cui si faceva riferimento (risalente ad una Circolare del Ministero del Turismo del 1962) prevedeva che ai lati del nastro d’asfalto fosse presente una fascia di erba larga almeno quanto una corsia che poteva essere ridotta alla metà in presenza di protezioni continue, proprio come i muretti di Imola. Ma non solo: in zone non ammesse al pubblico la fascia poteva essere ridotta ulteriormente. Esattamente come per le zone incriminate al Dino Ferrari. Eppure la commissione, con il solo voto contrario del sindaco Gualandi, aveva rifiutato l’agibilità. Ma allora per quale motivo la pista in condizioni identiche era stata dichiarata idonea solo un mese prima ? L’evoluzione delle vetture da corsa era così rapida? In quelle quattro settimane erano stati stanziati ben sessanta milioni di lire per lavori di miglioramento sulle strutture di sicurezza, in parte non ancore completati ma già approvati e rispondenti sia alle richieste ministeriali che a quelle degli enti sportivi. Tra esse era previsto anche l’abbattimento di quei muretti, per il quale era necessario un complesso esproprio di terreni. Ma in ogni caso non c’era nulla da fare: a Imola non si poteva correre.

Imolicidio” a lieto fine

Marcello Sabbatini, il direttore di Autosprint sempre in prima linea nella difesa delle corse automobilistiche, tuonò dalle pagine del suo settimanale. In un lungo editoriale spiegò approfonditamente i perché del provvedimento, sottolineandone l’iniquità e facendo nomi e cognomi dei responsabili, i membri di quella Commissione che «si occupa di agibilità dei cinema come di altre sedi di spettacolo, autodromi compresi». Un’ arringa accusatoria pungente e documentatissima, come nel suo stile, per dimostrare che l’ “Imolicidio” era l’ennesimo atto di una guerra indiscriminata contro le gare automobilistiche, bloccate dalla burocrazia per essere portate silenziosamente alla morte. «Non si può affidare un giudizio tecnico, soprattutto selettivo e di valutazione, a “esperti” che tutto sono meno che esperti della materia che giudicano!”. Una sentenza durissima nella quale il direttore ci metteva la firma, come da sua abitudine. Fortunatamente il provvedimento non ebbe altre conseguenze e già il mese successivo l’ Autodromo di Imola fu teatro di una memorabile gara del Campionato Europeo di Formula 2. L’ impegno per rendere sempre più sicura la pista continuò e dopo un paziente lavoro politico (oltre a qualche “spintarella” da Maranello…), nel 1979 sarebbe arrivato il tocco finale per trasformare Imola in un impianto permanente: l’approdo della Formula 1. Ovvero quel magico evento capace di cancellare discussioni, malcontenti e difficoltà economico-burocratiche mettendo tutti d’accordo, decennio dopo decennio. Non pensate che sia proprio vero che la storia si ripete?

Le gare Interserie e turismo a Imola nel 1971 in un Autodromo che evolveva continuamente per la sicurezza di pubblico e piloti (roydpg su YouTube)

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