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I racconti del Commissario – Lamborghini Miura SVR: big in Japan
Belle ma uniche
Ogni “supercar” entra nel mito non solo per le prestazioni o lo stile ma anche per una caratteristica fondamentale: l’esclusività. Non solo il prezzo ma anche la tiratura le rende rare, desiderate, irraggiungibili, a volte addirittura uniche. A questo esclusivo club appartiene la Lamborghini Miura, l’auto che ha reso il marchio di Sant’Agata Bolognese un’icona mondiale e tra il 1966 ed il 1972 è stata costruita in soli 763 esemplari. Per tutti gli altri desiderosi di acquistarla è restata una sola strada: cercarla un po’ più piccola del vero. Quarantatré o diciotto volte più ridotta poco cambia, si tratta sempre di uno dei tanti modellini sul mercato. Ma pochi sanno che uno di essi è nato direttamente da una di quelle 763 vetture originali, per la precisione una delle più esclusive. Stiamo parlando dell’unica Lamborghini Miura SVR.
La Miura SVR è la più estrema tra tutte le versioni dell’iconica biposto del Toro (Lamborghini Media Center)
Dal Salone al garage
La storia inizia nell’anno di grazia 1968, i 12 mesi che cambiarono il mondo. Restando nell’ambito dell’automobile, dallo stabilimento Lamborghini uscì una Miura P400S di colore Verde Miura e interni neri. Parliamo del telaio numero #3781, abbinato al motore 2511, con carrozzeria numero 383, se siete amanti dei numero e volete completare la carta d’identità. La biposto del Toro venne esposta in quell’autunno al 50° Salone dell’Automobile di Torino alla concessionaria Lamborauto del capoluogo piemontese fino al 30 Novembre. Quel giorno il suo primo fortunatissimo proprietario la ritirò per portarla nel suo garage, ignaro che quella gran turismo stesse per intraprendere un’avventura unica.
La Miura SVR nella vista posteriore (Lamborghini Media Center)
Multiproprietà
Da quel momento in poi l’auto iniziò un lungo peregrinare tra un intestatario e l’altro, visto che nei sei anni successivi si succedettero ben otto passaggi di proprietà. La tormentata storia sembrò placarsi solo nel 1974, quando la biposto del Toro varcò le Alpi per trovare il suo nono padrone, il tedesco Heinz Steber. Intanto il collaudatore Lamborghini Bob Wallace, neozelandese trapiantato nella Motor Valley, aveva sviluppato una versione molto speciale della berlinetta che stava facendo sognare il mondo. Si chiamava Miura “Jota” ed era un’evoluzione estrema che trasformava la supercar in una vettura pronta per le corse, come tradiva il nome. Nel regolamento tecnico internazionale infatti la lettera “J” fa riferimento all’allegato che raccoglie le norme tecniche delle auto da competizione ed il riferimento era chiarissimo. Purtroppo nel 1970 l’avversione della Lamborghini per le corse era ben nota e la “Jota” sembrava destinata a restare un esperimento fine a sé stesso. Ma non tutti si arrendevano al finale scontato.
Gli interni della Miura SVR: l’aspetto corsaiolo prevale sull’eleganza (Lamborghini Media Center)
A grande richiesta
Alcuni clienti Lamborghini, stuzzicati dalla realizzazione di Wallace, subissarono di richieste la casa madre per poter elaborare le loro Miura P400SV con le specifiche studiate per la “Jota”. Nacquero così cinque esemplari molto speciali, le Miura SVJ, che negli anni successivi fecero la felicità dei loro insaziabili committenti. Ma c’era anche chi non si accontentava, come il già citato Steber. Appena entrato in possesso della sua P400S di nona mano decise che la SVJ non era abbastanza, serviva qualcosa di più. Fece quindi rientrare la sua vettura a Sant’Agata richiedendone una trasformazione ancora più spinta. Davanti alle richieste e soprattutto all’offerta economica dell’appassionato tedesco la casa non poté rifiutarsi e preparò una versione unica: la Miura SVR. Estrema in tutto e caratterizzata dal vistoso alettone a monte del padiglione oltre che dal voluminoso spoiler anteriore, la SVR era figlia di un lavoro durato un anno e mezzo. Ma se pensate che tanto impegno potesse dare un po’ di tranquillità al suo futuro vi sbagliate di grosso, perché nel 1976 venne nuovamente ceduta per giungere in Giappone, patria di Hiromitsu Ito, decimo proprietario in otto anni. Nella terra del sol levante la SVR divenne un vero mito tanto prima come protagonista del fumetto “La volpe da corsa” e quindi modella per la Kyosho, casa modellistica che ne realizzò una splendida versione in scala 1/18 dopo un minuzioso studio dell’esemplare in scala 1/1. Poi, per lunghi anni, la SVR fece perdere le sue tracce.
Ritorno da regina
«In questo restauro, durato 19 mesi, abbiamo dovuto operare in modo diverso dal solito. La scheda di produzione originaria ha aiutato poco, mentre ha fatto fede la specifica delle trasformazioni effettuate nel 1974. Il restauro totale svolto dal Polo Storico è stato alquanto impegnativo, visto che la vettura era arrivata a Sant’Agata Bolognese smontata, anche se accompagnata dalle sue parti, e rimaneggiata in svariati punti. Rispetto alle specifiche originarie, durante il restauro e su espressa richiesta del cliente, sono state aggiunte le cinture di sicurezza a 4 punti, sedili più conformati e un roll-bar smontabile, al fine di migliorare la sicurezza durante le previste esibizioni in pista». Parole di Paolo Gabrielli, Responsabile del Polo Storico Lamborghini. Ovvero il reparto specializzato che a Sant’Agata Bolognese si occupa del restauro e della certificazione di modelli fuori produzione da almeno dieci anni. Era il 2018 e la SVR era appena rinata e consegnata sulla pista di Nakayama al suo nuovo proprietario Shinji Takei, ovviamente giapponese. Esposta poche settimane dopo al 69° Concours d’Elegance di Pebble Beach colse il premio come miglior vettura della classe Miura. Avevate qualche dubbio?
La Miura SVR in pista al Fuji Speedway per un video promozionale (Bingo Sports su YouTube)
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