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I Racconti del Commissario – Il dado non tratto a Imola
Un pit stop lungo
Vi ricordate il Gran Premio di Monaco 2021? In quella gara Valtteri Bottas perse ogni possibilità di giocarsi la vittoria in occasione di un cambio gomme in cui il dado di fissaggio della ruota anteriore sinistra non ne volle sapere di svitarsi, costringendolo al ritiro. Una scena che rasentò il grottesco per l’invincibile armata della stella a tre punte, mestamente forzata a caricare la monoposto del finlandese sul bilico per riportarla in sede. Solo un paio di giorni dopo si riuscì a togliere il dado incriminato con tanto di filmato condiviso su tutti i canali social del team. Pensate si tratti del “pit stop” più lungo della storia? Beh vi sbagliate di grosso, perché il team anglo-tedesco non fece altro che ripetere quanto una sconosciuta squadra olandese aveva mostrato ben quattro anni prima in riva al Santerno. Quindi mettetevi comodi e immaginate di tuffarvi in mezzo alla corsia box di una gara endurance.
Tutto secondo i piani. O quasi
Sono le 14,52 di sabato 1 Luglio 2017 quando la Renault Mégane Trophy numero 27 di Fatien-Grogor-Pastorelli è attesa davanti al box 9 per l’ennesima sosta programmata. Mancano quattro ore e otto minuti al termine della prima edizione della “Hankook 12 ore di Imola” ed il cambio gomme è obbligato per la potente berlinetta francese, in quel momento splendida terza assoluta. I quattro meccanici della GPExtreme che la seguono sono pronti con le pistole avvitatrici mentre un quinto collega attende con bomboletta di schiuma ed un panno per pulire rapidamente il parabrezza. Il pilota arresta con precisione l’auto e le operazioni avvengono con sollecitudine e precisione fino a quando il dado di fissaggio della posteriore destra non decide diversamente, non volendo saperne di svitarsi. La pistola gira a vuoto, un altro meccanico dà il cambio al primo ma ogni sforzo sembra essere vano.
La vettura numero 27 è riportata nel box 9 per tentare l’impossibile (Foto Claudio Fargione)
Senza speranza
L’agitazione inizia a spargersi nel box, arrivano altri due meccanici destinati alla “sorella” numero 28 (operazione non consentita dal regolamento sportivo) con una chiave dinamometrica per tentare di sbloccare manualmente il dado. Tutto inutile: sottosforzo la chiave si spacca. Viene portata una nuova chiave, i meccanici salgono in piedi sulla lunga leva dello strumento per applicare una forza maggiore ma il metallo cede nuovamente, oltretutto con la testa che resta incastrata nel dado. Si passa direttamente ai colpi di martello per estrarre ciò che resta della chiave e si porta la vettura sui carrelli dentro il box. La faccenda inizia ad avere i contorni dell’incredibile, il pilota scende stravolto mentre arriva addirittura un flessibile con cui si tenta l’impossibile per estrarre il benedetto dado. Nel frattempo le telecamere che trasmettono in diretta streaming la corsa giungono impietose a filmare la disavventura che viene seguita su tutti gli schermi del circuito. Nel frattempo il commissario addetto al controllo delle soste nel box 9 è costretto a redigere un rapporto zeppo di infrazioni commesse dalla squadra nella concitazione del momento. Ma i risvolti regolamentari in quel frangente passano decisamente in secondo piano.
Il senso di tutto
Ogni sforzo è vano: il dado ha deciso di non muoversi dalla sede e la ruota non può essere sostituita. Dopo una buona mezz’ora di infruttuosi tentativi la squadra è costretta a ritirare la vettura. Le facce dentro il box parlano da sole. Gli annali di automobilismo sportivo sono ricchissimi di aneddoti incredibili e dolorosi, ma difficilmente possono raccontare una beffa così atroce. In questa breve storia c’è tutta l’essenza delle gare endurance, nella loro crudele bellezza. Una competizione che dura sei, dodici o ventiquattro ore mette a dura prova chiunque tra piloti, tecnici, ufficiali di gara, vetture e soprattutto i veri eroi dei box: i meccanici. Si tratta di corse apparentemente non facili da leggere con in pista tante vetture così diverse tra loro, le molteplici classifiche di classe che si mescolano dentro quella assoluta, i continui doppiaggi che si confondono con le lotte dirette tra equipaggi in battaglia sportello contro sportello per guadagnare la posizione. Ma proprio nella loro difficoltà sta l’estremo fascino di queste competizioni, figlio dell’incertezza per un risultato che non è mai acquisito sino all’abbassarsi della bandiera a scacchi. Perché in ogni istante il colpo di scena è dietro l’angolo se si resta così tanto a sfidarsi in pista. Per questo non c’è mai astio tra chi condivide la stessa corsia box, ma solo cameratismo. Fino all’ultimo giro, quando il muretto si popola di meccanici, tecnici e pubblico festante aggrappati alle protezioni a sventolare bandiere di colori diversi. Proprio come sabato 1 luglio 2017 all’Enzo e Dino Ferrari, quando la “Hankook 12 ore di Imola” uscì dalla cronaca per entrare nella storia delle corse.
Il meglio della 12H di Imola 2017 (24H Series su YouTube)
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