Basket
I trionfi della Virtus – tredicesima puntata – 1984: la seconda Coppa Italia
La Coppa nazionale era andata in letargo per dieci lunghi anni, dopo quel 1974 che aveva visto proprio la Sinudyne, guidata in panchina da Peterson al suo primo anno a Bologna, conquistare un trofeo a diciotto anni dall’ultimo scudetto, vinto nel 1956, quando ancora si giocava in Sala Borsa, anzi quelli furono gli ultimi rimbalzi di un pallone a pochi metri dalla fontana del Nettuno. Le V nere avevano vinto quella coppa nella finale a quattro di Vicenza, sconfiggendo in finale la Snaidero Udine, che aveva fatto fuori la favorita Ignis Varese in semifinale. Ora, dopo 10 anni, ci si ritrovava a disputare un secondo trofeo nazionale, oltre al campionato.
Dopo l’assegnazione dello scudetto rimanevano da giocare semifinali e finale, prevista per il 9 giugno a Bologna. La squadra di Bucci ci era arrivata concludendo a punteggio pieno il girone emiliano, disputato con gare di andata e ritorno tra settembre e ottobre e nel quale figuravano anche Fortitudo e Mangiaebevi Ferrara; negli ottavi i bianconeri avevano fatto fuori Varese, vincendo di 7 punti sia in casa a febbraio, che in Lombardia un mese dopo; nei quarti, disputati ad aprile, con andata e ritorno a distanza di una settimana, il 4 e 11 aprile, a soccombere era stato il Bancoroma, campione d’Italia in carica e laureatosi campione d’Europa pochi giorni prima, il 29 marzo. Bologna regolò la questione nella gara di andata, vinta 88-69 e la sconfitta di un punto a Roma fu assolutamente indolore. Dopo la conquista dello scudetto, il 27 maggio, quelle gare di coppa ancora da disputare erano viste come un peso supplementare non molto gradito, dopo un campionato e dei playoff molto tirati e tesi. La gara di andata delle semifinali è in programma il 3 giugno con la Granarolo Felsinea che riceve la Benetton Treviso, non ancora la squadra grande protagonista dei due decenni successivi, ma una squadra che viaggia da due stagioni nei bassifondi di A2, dopo aver disputato un campionato di A1. Gli stranieri sono Solomon e Jones, il capitano un antico ex della Virtus, Tojo Ferracini, poi ci sono Melillo, Minto, Vazzoler, Marietta.
La città di Bologna, quella che ama la V nera, è ancora inebriata e distratta dai festeggiamenti per il titolo vinto sette giorni prima. Oltretutto quel 3 giugno la città sembra più concentrarsi sul calcio: in mattinata viene intitolato lo stadio comunale a Renato Dall’Ara, scomparso esattamente venti anni prima a quattro giorni dallo spareggio che diede il settimo scudetto al Bologna; nel pomeriggio un gol di Luciano Facchini riportò il Bologna in serie B, dopo un anno passato a rincorrere palloni sui campi di serie C. Giusto il tempo di minimi festeggiamenti e si è già dentro il Palasport di Piazza Azzarita. Quando i dieci bianconeri salgono la scaletta, in rigoroso ordine di maglia, Brunamonti, Fantin, Valenti, Lanza, Van Breda Kolff, Villalta, Binelli, Rolle, Daniele e Bonamico, ci si accorge che la voglia di festeggiare i protagonisti dell’impresa è ancora viva e che l’apparente distrazione della città era solo un prendere fiato per manifestarsi in una nuova catarsi affettiva: tutto il palazzo era un tripudio di vessilli, in un alternarsi di tricolore e bianconero, abbinamento reso ancora più splendente dalla luce di un’imminente estate che filtrava dalle tende. La Virtus conduce con vantaggi minimi e a 1’14” dalla fine Treviso arriva a meno uno sull’81-80, poi Marietta a 35” dalla sirena fallisce il sorpasso, ma i trevigiani a 9 secondi dalla fine sono ancora alla minima distanza sull’83-82, quando Brunamonti si guadagna e realizza i liberi del più tre finale. Il migliore realizzatore bolognese è Van Breda con 20 punti, seguito da Bonamico con 17, per una vittoria che non rassicura in vista del ritorno, ma si tira un sospiro di sollievo per avere evitato una sconfitta che avrebbe un po’ rovinato la festa.
Tre giorni dopo si è a Treviso e la Benetton fiuta la grande impresa contro una Virtus stanca e le cose sembrano andare veramente così: comandano i veneti nel primo tempo con un vantaggio di dieci punti, che aumenta ancora nel secondo, ma poi i bianconeri con il carattere e la difesa hanno la forza di rimontare fino al meno uno, 69-68, con gli stessi protagonisti sul tabellino bolognese, ma a parti invertite: è il marine a realizzarne 20, l’americano si ferma a 18. La Virtus approda alla finale, in programma 72 ore dopo. L’avversario è Caserta, altra forza emergente del basket italiano, che ha appena concluso il suo primo campionato nella massima serie: ci sono Gentile e Carraro, i brasiliani Oscar e Marcel, anche qui un ex della Virtus, Pietro Generali. La finale è tiratissima, con scarti minimi, anche se la Virtus, priva di Fantin febbricitante ma con un ottimo Bonamico autore di 20 punti, prova a scappare già sul 19-12, ma solo nel finale prima sul 66-60, poi sul 74-66 e quando il tabellone segna 80-74 a un minuto dalla fine sembra aver partita vinta, anche perché siamo nell’ultima stagione prima dell’avvento del tiro da tre punti. Caserta però non ci sta, si porta a meno quattro; Villalta si trova libero sulla sua famosa mattonella e si fa ingolosire, dopo avere distrutto la 1-3-1 di Peterson, dopo avere segnato da quella posizione valanghe di canestri, mai e poi mai pensa di sbagliare e invece accade, i campani dimezzano ancora il distacco e sono a meno due. La mente di Van Breda Kolff, una delle intelligenze cestistiche più fini che hanno vestito la divisa con la V sul petto, è offuscata dalla stanchezza e l’americano riceve palla con un piede a destra e uno a sinistra della linea che divide in due il campo: infrazione indiscutibile e palla ai campani: ora la coppa la Virtus se la deve guadagnare con la difesa e lo fa bene, costringe l’Indesit a un tiro forzato, la palla respinta dal ferro schizza verso Brunamonti che si aggomitola sul pallone e lo nasconde per far passare i pochi attimi che mancano alla sirena finale: vince Bologna 80-78 e si conferma detentrice della Coppa Italia. Il sospiro di sollievo, i festeggiamenti con la coppa alzata dal capitano Villalta sembrano denotare quasi che la voglia di non perdere quel trofeo fosse più grande del desiderio di vincerlo, ma a distanza di anni occorre riconoscere la grande impresa: fu la prima volta che la Virtus conquistò più di un trofeo nella stessa stagione.
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