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Racconti Mondiali – 1998, la grandezza francese, l’ultimo Novecento (1/3)

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1998. La cronaca delle prime settimane dell’annata, una delle ultime rimaste in pasto al grande mostro novecentesco, sono dominate dallo scandalo Clinton – Lewinsky. Poi, poco tempo dopo le dichiarazioni in diretta tv del presidente americano, una vicenda realmente drammatica si fa largo nelle case italiane: è la tragedia del Cermis. Quindi le prime offensive serbe in Kosovo, la costruzione del ponte sospeso più lungo al mondo in Giappone e le nascite di Google e del primo iMac, nei mesi in cui al cinema impazza l’ultimo Spielberg con il suo “Salvate il soldato Ryan”.

In ambito sportivo, lo scudetto che precede la sedicesima edizione della Coppa del Mondo viene vinto dalla Juventus, al suo secondo titolo consecutivo, mentre il capocannoniere è Oliver Bierhoff, che mette a segno 27 reti. Pantani vince il Giro d’Italia e il Tour de France, la Virtus, invece, l’Eurolega. Concludono i ragazzi dell’Italvolley, capaci di arrivare sul podio mondiale ancora una volta dopo i trionfi del ’90 e del ’94.

Proprio nel mezzo di questi due successi, nel luglio ’92, il presidente della FIFA Havelange annuncia la decisione circa l’assegnazione dei mondiali in programma sei anni dopo. I dodici voti a favore dei francesi contro i soli sette per il Marocco decretano il conferimento della competizione al paese europeo, e spengono nuovamente le ambizioni africane, già fermatesi dinanzi al comitato esecutivo della federazione nella corsa al torneo del ’94.

Platini si dimette dalla panchina della Francia dopo tre anni per dedicarsi all’organizzazione del futuro mondiale, su cui convergono grandi aspettative dopo le (ottime) passate esperienze degli Europei ’84 e dei più recenti Giochi invernali di Albertville. Sulla scelta finale incide anche il peso decisionale di Havelange, grande sostenitore della candidatura transalpina e sempre più convinto dal primo ministro Chirac circa la costruzione di un “grande stadio” da 80.000 posti. La solidità della proposta francese, guidata dall’ex presidente della federazione Fernand Sastre e per l’appunto da le Roi, finisce quindi per imporsi sulla possibilità marocchina, proseguendo nella tradizione europea e rimandando ancora la rottura del duopolio tradizionalmente condiviso con i paesi sudamericani.

In conclusione, dopo varie peripezie legate a doppio filo all’avvicendarsi di differenti governi, la costruzione del “grande stadio” viene progettata per il comune di Saint-Denis (nella periferia nord di Parigi) e complessivamente, includendo quindi anche il rinnovamento di altri stadi come il Vélodrome di Marsiglia o il Gerland di Lione, la cifra stanziata per le varie realizzazioni si attesta attorno alle 300 miliardi di lire.

Nel dicembre ’95 sono quindi Platini e Blatter a dare via al sorteggio per le qualificazioni, alla presenza di personalità del calibro di Just Fontaine e Yannick Noah ma non, tra gli altri, di Chirac e del primo ministro Juppè, in polemica con la FIFA a causa della mancata esclusione della Nigeria (fresca di sanzione europea per via dell’esecuzione di oppositori politici). 

Da segnalare il record sul numero delle nazionali coinvolte, che raggiunge l’eccezionale cifra di 168 per un totale di quasi 650 partite giocate, e la ridisegnazione della carta geopolitica da parte della FIFA, che nelle 32 squadre finali prevede per la prima volta una messa in minoranza di quelle europee a fronte di quelle extra continentali.

Tra le big del Vecchio Continente cade solo il Portogallo, mentre un gradino più giù mancano l’accesso la Svezia e la Repubblica Ceca, finalista all’europeo due anni prima. In Sud America nessuna novità degna di nota, mentre, poco più su, la sorpresa è la Giamaica, assoluta esordiente al mondiale.

Tra le africane dentro Tunisia, Marocco, Nigeria, Sudafrica e Camerun, mentre è dall’Asia che si affaccia l’altra selezione alla sua primissima esperienza internazionale, quella del Sol Levante. Oltre al Giappone, dalla zona asiatica si qualifica anche l’Iran, che sconfigge la classica Australia nel più classico degli spareggi intercontinentali.

Dal punto di vista gestionale, la già citata solidità francese viene messa alla prova da due fattori preponderanti: quello della sicurezza e quello della capienza degli impianti.

Per ciò che concerne il primo punto, le principali fonti di preoccupazione si concretizzano nella questione terrorismo e in quella degli hooligans, e se per la prima verrà messa in atto una capillare opera di prevenzione (e di arresti), risulterà molto difficile contrastare la seconda, con danni ingenti riportati nelle città di Marsiglia e Lens a causa di facinorosi inglesi e tedeschi.

Sulla questione stadi, invece, il problema fondamentale sorge quando ci si rende conto che la capienza media è notevolmente deficitaria a fronte di veri e propri esodi (tra cui spiccano i 10.000 tifosi giapponesi e gli addirittura 20.000 brasiliani) e, soprattutto, quando la risposta varata finisce per coincidere con una “selezione del tifo” (mediata dalla presenza di tour operator) che porterà ad una vera e propria segmentazione sociale nonché a scenari terribilmente tiepidi sugli spalti.

Ad ogni modo, il comitato organizzativo transalpino regge le pressioni, e arriva addirittura a rivoluzionare la classica cerimonia d’apertura all’interno dello stadio, sostituita da una maestosa parata per le strade di Parigi datata 9 giugno 1998. Il giorno seguente, il Brasile campione in carica si appresta a scendere in campo contro la Scozia per il primissimo match della nuova competizione mondiale.

Tuttavia, al contrario delle previsioni, non saranno Ronaldo e compagni i protagonisti della manifestazione, e forse neanche i padroni di casa, futuri campioni. A prendersi la scena, infatti, sarà invece un gruppo di ragazzi che ora giocano per una squadra ma che prima avevano esordito per un’altra, anche perché l’altra, in quel momento, non esiste più.

Un gruppo di ragazzi che gioca per una nazione sorta dopo un quinquennio di sacrifici inenarrabili, che ha portato 20.000 morti e circa mezzo milione di sfollati.

Un gruppo di ragazzi guidati dalla classe cristallina di un numero dieci chiamato Zvone Boban e, soprattutto, dai goal di un instancabile trentenne che risponde al nome di Davor Suker.

Per i loro tifosi sono i Vatreni, letteralmente i “focosi”, per tutti gli altri sono la Croazia.

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