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Calcio

Racconti Mondiali – 4 luglio 1998, la Croazia e il riscatto (3/3)

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È il 3 luglio. Le cronache sportive sono dominate dalla doppietta di Rivaldo che permette al Brasile di superare la Danimarca e, soprattutto, dall’errore di Di Biagio che consente ai francesi di mettersi comodi e aspettare la partita del giorno dopo, pronta a svelarne i futuri avversari in semifinale.

Dalla sponda dei Vatreni, invece, in quelle ventiquattr’ore si pensa solo a preparare il match contro la Germania. La selezione della Mannschaft è allenata da Vogts, quel Berti Vogts che nell’87, alla guida della Ovest Under 20, si vide eliminare proprio da Boban e compagni. Tuttavia, come raccontato, al pari del coach tedesco anche i croati hanno da rivendicare qualcosa del recente passato, ossia il quarto di finale europeo perso, tra infinite polemiche, solo due anni prima sotto il cielo dell’Old Trafford.

Ad ogni modo, il 4 luglio 1998, alle ore 21 in quel di Lione, a tutti gli attori in campo viene data la possibilità di scrivere una nuova, storica pagina del calcio mondiale. E al fischio d’avvio decretato dal norvegese Pedersen, sono i tedeschi a dare inizio alle ostilità.

Il gruppo allenato da Vogts si presenta con un’ossatura collaudata, composta, tra gli altri, da giocatori al loro ultimissimo giro di giostra come Hassler, Klinsmann, Kohler e Matthaeus. Ma le qualità dei teutonici risiedono proprio nella loro estrema esperienza, e dalla stampa questo viene considerato un fattore di assoluta importanza nella conta dei valori in campo alla vigilia del match. Nonostante ciò, le difficoltà palesate soprattutto a livello di lentezza e macchinosità della manovra, già emerse nel durissimo confronto agli ottavi contro il Messico, verranno messe a nudo più e più volte durante i novanta minuti dagli avversari.

Ai quattro sopracitati si aggiungono comunque Bierhoff, Tarnat, Jeremies, Hamann, Heinrich, Worns e Kopke, nel 3-5-2 disegnato per arginare i croati di Miroslav Blazevic, che rispondono con una formazione speculare in cui figurano, dall’attacco in giù, Vlaovc, Suker, Jarni, Soldo, Boban, Asanovic (preferito a Prosinecki), quindi Stanic, Bilic, Stimac, Simic e Ladic.

Le prime fasi del match, seppur non entusiasmanti, sono indubbiamente a marca tedesca. Tarnat spedisce altissimo su una maldestra respinta di Ladic, e un minuto dopo nuovamente il portiere croato si rende protagonista di un rinvio rivedibile poi non concretizzato da Hassler. Esce di poco, questa volta alto, un colpo di testa da parte di Hamann, e in seguito è ancora di testa Bierhoff a impegnare Ladic, che però si fa trovare pronto.

Nonostante sembri salda nelle mani della squadra di Vogts, con lo scorrere dei minuti la partita va via via sporcandosi maggiormente, ed è il preludio a ciò che accade al minuto 40 quando Worns stende Suker involatosi nella metà campo tedesca. Pedersen impietoso gli sventola davanti il secondo giallo, e con ancora quasi un’ora di partita da giocare, la Germania si ritrova in dieci uomini.

La partita, come prevedibile, cambia all’improvviso. Ma l’allenatore della Mannschaft decide di andar contro le regole convenzionali, e lascia le due punte in campo non premurandosi dell’inferiorità numerica che il centrocampo sarà costretto a patire da quel momento in avanti. Al terzo minuto di recupero di quello che sta diventando un drammatico primo tempo, poi, il colpo di grazia: Robert Jarni sfodera un sinistro imparabile dai 25 metri che si insacca alle spalle di Kopke, e per i tedeschi sembra notte fonda.

In avvio di ripresa, è la Croazia che preme e cerca il raddoppio: Vlaovic si rende subito pericoloso nell’area avversaria, e Boban in spaccata manda di poco alto qualche minuto più tardi. Ladic è ancora decisivo su Bierhoff da calcio d’angolo, ma le occasioni croate cominciano man mano a moltiplicarsi ed è solo l’imprecisione degli interpreti biancorossi a tenere in vita la Germania. L’ultimo sussulto tedesco è su deviazione da punizione di Hamann, col pallone che si stampa sul palo.

A dieci dalla fine, è Vlaovic a porre la pietra tombale sulle ambizioni di Matthaeus e compagni, che nel frattempo hanno inserito anche un quarto attaccante: su contropiede un suo (chirurgico) diagonale destro fulmina ancora una volta Kopke, e porta il risultato sul 2-0. Cinque minuti dopo c’è gioia personale anche per Suker, sempre più protagonista della competizione, che raccoglie un pallone vagante sulla sinistra, lo controlla magistralmente rientrando sull’interno, e deposita in fondo alla rete per il definitivo delirio croato.

Passano altri cinque minuti, quindi Pedersen fischia tre volte. A Zagabria si festeggia e si sogna in grande, perché la squadra sembra a quel punto poter battere chiunque. Per la Germania è un’onta che sarà difficile superare. Per i ragazzi di Blazevic, invece, è la rivincita cercata da quel goal di Sammer che li condannò ventiquattro mesi prima.

O forse qualcosa di più, qualcosa che si avvicina alla rivendicazione del proprio esserci, dell’essere sé stessi e non essere degli altri. Indubbiamente, per Blazevic “un giorno storico per tutti quanti noi”, per Suker “una vittoria che, per un paese piccolo come il nostro, significa tutto”. Per la stampa e la storia calcistica invece è, forse semplicemente, l’inizio della favola del calcio croato.

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