Calcio
“Non è tutto oro quel che luccica”: retroscena Mondiale. Episodio 1
In quanto realtà giornalistica che tratta di sport, la redazione di 1000 cuori si è interrogata a lungo sulle modalità con cui relazionarsi al controverso Mondiale in Qatar. Come avrete notato abbiamo deciso di seguire i match assieme a voi, a volte con le cronache delle partite che hanno visto scendere in campo giocatori o ex rossoblù, a volte rievocando ricordi ed emozioni dei mondiali passati con la rubrica Racconti Mondiali, altre volte ancora mettendo sotto la lente di ingrandimento alcuni giovani talenti presenti alla kermesse, grazie alla rubrica Vetrina Mondiale. Pensiamo, ora, che sia giunto il momento di analizzare anche le criticità che sono emerse prima, durante e che continueranno a sussistere anche dopo il dibattuto torneo perché riteniamo sia nostro diritto e dovere fare informazione e creare sensibilizzazione attorno ad alcune problematiche purtroppo spesso presenti attorni allo sport che più amiamo.
I caduti sul lavoro
C’è un dato preoccupante e spaventoso legato alla costruzione degli stadi che stanno ospitando il mondiale in Qatar. Più di 6500 le vite spezzate per poter ospitare l’evento calcistico più importante al mondo, quelle di tanti, tantissimi lavoratori migranti provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka che sono morti in Qatar nel corso di circa 10 anni, da quando il Paese arabo ha ottenuto il diritto di ospitare la Coppa del Mondo.
Questi i terribili numeri sono stati riportati da un’importante e documentata inchiesta del noto giornale inglese The Guardian: decessi significano una media di 12 lavoratori migranti morti ogni settimana dalla notte nel dicembre 2010, quando le strade di Doha si riempivano di tifosi gioiosi, luci e colori. Il bilancio totale delle morti però dovrebbe essere significativamente più alto, in quanto queste cifre non includono i lavoratori di alcuni Paesi, comprese le Filippine e il Kenya. Inoltre nell’inchiesta sovracitata, non è stato possibile verificare ed includere i decessi degli ultimi mesi del 2020.
In questi 10 anni, nei quali il Qatar ha intrapreso un programma di costruzione senza precedenti, la maggior parte è stato dedicato alla preparazione e all’allestimento del Mondiale. Oltre a sette nuovi stadi, sono stati completati decine di grandi progetti, tra cui un nuovo aeroporto, strade, sistemi di trasporto pubblico, alberghi e una nuova città, che ospiterà la finale della Coppa del Mondo. “Una percentuale molto significativa dei lavoratori migranti che sono morti dal 2011 erano nel paese solamente perché il Qatar aveva vinto il diritto di ospitare la Coppa del Mondo“, ha dichiarato Nick McGeehan, direttore di FairSquare Projects, organizzazione non-profit di ricerca e difesa dei diritti umani.
Le autorità del Qatar non hanno indagato su queste morti “misteriose”, nonostante le prove di legami tra decessi prematuri e condizioni di lavoro non sicure, come ha dichiarato Amnesty International, organizzazione non governativa internazionale impegnata nella difesa dei diritti umani. Il nuovo rapporto dell’organizzazione, In the Prime of their Lives, documenta come il Qatar emetta regolarmente certificati di morte per i lavoratori migranti senza condurre indagini adeguate, attribuendo invece morti a “cause naturali” o fallimenti cardiaci vagamente definiti. Questi documenti – descritti da un esperto patologo come “privi di significato” – escludono la possibilità di un risarcimento per le famiglie in lutto, molte delle quali stanno già affrontando difficoltà finanziarie dopo aver perso il loro principale capofamiglia. L’associazione ha anche sottolineato i rischi per i lavoratori derivanti dal clima estremo del Qatar, soprattutto se combinato con orari di lavoro eccessivi e fisicamente faticosi. Il Qatar ha recentemente introdotto alcune nuove protezioni per i lavoratori, ma rimangono gravi rischi di fronte ai quali le autorità hanno fatto poco per indagare sull’entità delle morti dovute al caldo.
Un portavoce del governo qatariota ha cercato di tranquillizzare l’opinione pubblica, dichiarando con assoluta certezza che il numero di decessi del paese è proporzionato alla quantità dei lavoratori impiegati – oltre due milioni – sottolineando poi il grande dolore per ogni singola morte sul lavoro. Il funzionario ha inoltre spiegato come sia i cittadini sia i visitatori dispongano di un’assistenza sanitaria gratuita di prima classe. Purtroppo questa versione è stata prontamente smentita dagli avvocati delle famiglie dei “caduti sul lavoro”, secondo cui il governo del Paese non avrebbe invece autorizzato le autopsie per chiarire le cause ed i motivi delle morti. La FIFA, d’altro canto, pare essere soddisfatta dell’organizzazione del Mondiale e ha dichiarato che “con le misure di salute e sicurezza molto rigorose in loco la frequenza degli incidenti nei cantieri della Coppa del Mondo è stata bassa rispetto ad altri importanti progetti di costruzione in tutto il mondo“.
Un Mondiale (in)sostenibile
Quando si pensa alla kermesse Mondiale che sta avendo luogo in Qatar non si può non far riferimento all’opulenza di quest’ultimo Paese: l’immagine che richiama la monarchia mediorientale è chiaramente quella di lusso ed esclusività. A fronte del bando vinto nel 2010, però, la Nazione il cui PIL si basa prettamente su petrolio e importazioni, si era impegnata a organizzare una rassegna “ecologicamente sostenibile”.
Sebbene ci siano stati casi di questa volontà, quella che appare oggi è una politica altamente fondata sul greenwashing, vale a dire una sostenibilità ambientale puramente di facciata.
Alcuni dati: se già i mondiali di Russia del 2018 avevano avuto un impatto di 2 milioni di tonnellate di CO2, la rassegna qatariota ne andrà a produrre 1,5 milioni in più (arrivando addirittura a eguagliare l’emissione annua di alcuni Paesi). Inoltre, diverse ONG affermano che in questo conteggio manca il costo ecologico degli spostamenti in aereo delle squadre e dei tifosi e di tutta la parte di costruzione delle infrastrutture.
Riprendendo una polemica degli ultimi mesi secondo la quale “il Qatar non dovrebbe ospitare un Mondiale in quanto privo di alcuna tradizione calcistica”, si evince che sono stati costruiti sette stadi per poter raggiungere gli standard previsti dalla FIFA; ma, per un Paese prettamente desertico, quanto è costato? Ecologicamente parlando, sono state spese enormi, basti pensare al fatto che i semi d’erba dei 144 campi da gioco sono stati acquistati negli Stati Uniti, trasportati in aerei a clima controllato fino a Doha e sono irrigati ogni giorno da 10 mila litri d’acqua per rimanere verdi in un clima le cui temperature si aggirano intorno ai 20-25 gradi.
Avendo ben presente la situazione “caldo” in Qatar, il professore di climatizzazione Saud Abdulaziz Abdul Ghani ha progettato un impianto tale da riciclare l’aria fredda presente all’interno degli stadi in modo tale da mantenere sempre un clima favorevole per atleti e tifosi: peccato che questi ultimi siano stati ripresi più volte mentre indossavano addirittura delle giacche per ripararsi dal freddo: saranno anche loro vittime della “solita” esagerazione occidentale?
Tirando le somme, è chiaro che questi Mondiali sono stati l’ennesima occasione per un greenwashing a regola d’arte, considerando anche il fatto che gli organizzatori hanno calcolato le emissioni non rispetto alla durata del torneo, ma a quella delle infrastrutture costruite (circa sessant’anni). Ecco perché è fondamentale non chiudere gli occhi di fronte a una situazione che non rimarrà circoscritta al mese del Mondiale, ma che riguarda il futuro di tutti gli esseri umani.
Lo sport serve ad unire popoli e culture diverse ma è anche uno specchio del mondo in cui viviamo, purtroppo troppo spesso interessato esclusivamente agli interessi economici ed ai rendiconti personali, a discapito di chi è più debole e dell’ambiente.
Restate connessi perché questo è solo il primo di due articoli che la redazione ha deciso di dedicare ai retroscena dell’evento più seguito in questi giorni.
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