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Amarcord – Il sessantotto bolognese: Campana, Bulgarelli e il sindacato calciatori

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Ci sono date così significative da creare uno spartiacque tra un prima e un dopo, momenti pieni di significati e di emotività tanto forti da entrare nella memoria collettiva: alcuni esempi sono il 1492, anno in cui molti storici fanno coincidere la fine del Medioevo con la scoperta dell’America, l’11 settembre 2001 e l’11 marzo 2011 quando avvenne il terremoto del Tōhoku e il conseguente incidente alla centrale nucleare di Fukushima. Ci sono poi date che, invece, assurgono a vere e proprie metafore del reale diventando locuzioni nella lingua d’uso, come “fare un quarantotto”, riferimento ai movimenti insurrezionali che nel 1848 sconvolsero l’Europa, ma l’anno che è rimasto maggiormente impresso nella cultura contemporanea è sicuramente il 1968. Non ci sono dubbi che molti dei più giovani ascoltando Nuntereggae più di Rino Gaetano non riconoscerebbero i protagonisti messi alla berlina nella canzone perché, seppure cruciali per la storia italiana e famosissimi nel 1978 quando uscì il pezzo, non sono riusciti a entrare nella memoria collettiva. Probabilmente i nomi di Monzon, Thöni, Cazzaniga, Susanna Agnelli e Brera non desterebbero l’attenzione dei più, così come il riferimento a Capocotta e al caso Montesi, ma ai versi «il quarantotto/ il sessantotto» quasi tutti, soprattutto per la seconda data, saprebbero riconoscere il riferimento. Questo perché il 1968 non è un solamente una data, bensì un’idea capace di travalicare spazio e tempo. È significativo a riguardo riflettere sull’utilizzo che facciamo di un singolo anno per evocare una serie di eventi durati quasi un decennio. Ricorrere a date simbolo è una prassi storica, sicuramente utile a rendere più semplici e compatte le analisi, ma anche a livello narrativo ha un forte valore: in questo modo, infatti, si creano dei monumenti epici alla memoria. Pensare a tutto ciò che siamo soliti ricondurre al 1968 come avvenuto in un solo anno sarebbe impossibile: gli eventi sono troppi e troppo complessi. L’inizio di questo periodo, infatti, è collocabile nel 1964 presso l’Università di Berkeley con una protesta contro la guerra in Vietnam e la creazione del Free Speech Movement, nato sulla spinta dell’ideologia politica della New Left, termine apparso già nel 1960 in una lettera d’appello del sociologo statunitense Charles Wright Mills. I movimenti culturali nati in questi contesti hanno portato i giovani di molti paesi a ripensare lo zeitgeist sociale e artistico, si pensi al cinema di Godard, cantore del sessantotto francese, alla Nouvelle Vague, alla New Hollywood e agli esordi di registi come Bertolucci o Bellocchio: tutto questo, però, avvenne tra i primi anni Sessanta e il 1967. Nel 1968 ci fu il culmine delle proteste con il maggio francese come emblema e con propaggini in tutta Europa e negli Stati Uniti: questo fu il momento in cui la possibilità di una vera rivoluzione parve più vicina. Alcuni degli eventi più famosi furono, però, nel 1969 e portano con sé un senso agrodolce di sconfitta: il 16 gennaio Jan Palach si diede fuoco in segno di protesta alcuni mesi dopo il termine della Primavera di Praga, in agosto si tenne il festival di Woodstock finito nel fango dell’ultima mattina con Jimi Hendrix sul palco e pochi mesi dopo iniziò in Italia l’autunno caldo. Quello del sessantotto fu un periodo complesso e sfaccettato, spesso celebrato in maniera acritica senza tenere conto delle sue contraddizioni e di tante adesioni ai movimenti giovanili che, a posteriori, si rivelarono figlie della noia o della voglia di una breve ribellione contro la generazione dei genitori a cui, in realtà, si ambiva. La fine del sessantotto, in molti casi, è stata come il risveglio da una sbornia di illusioni. I tanti che ci hanno creduto davvero, però, hanno lasciato un segno indelebile che ancora oggi infonde speranza.

Abbiamo visto nel precedente articolo come di arte è tuttora difficile vivere, mentre nel calcio casi come quello di Schiavio oggi non esistono più. Gli stipendi nel mondo del pallone sono aumentati sempre più e già negli anni Sessanta era possibile vivere del proprio mestiere, eppure la categoria calciatori, così come molte altre, non era rappresentata a dovere. I sindacati furono alcuni degli attori principali nei movimenti sessantottini ed è anche grazie a loro che si sono ottenute numerose tutele prima assenti, anche se a volte frutto di compromessi non graditi alle frange più rivoluzionarie. I calciatori nel 1968 erano ancora sprovvisti di un loro sindacato, segno di come la loro professione, sebbene fosse ben stipendiata, non era ancora a pieno riconosciuta. In un momento di subbuglio e grandi cambiamenti, come quello precedentemente descritto, alcuni di loro si riunirono per creare il proprio organo rappresentativo.
Nella storia della nascita dell’Associazione Italiana Calciatori c’è tanto rossoblù. L’atto notarile che attesta la nascita dell’AIC è stato firmato a Milano il 3 luglio 1968, ma la riunione in cui si trovò l’accordo tra giocatori avvenne il 17 maggio a Bologna, in un incontro che Gianni Mura definì «quasi tra carbonari». I firmatari furono undici, meno di quanti realmente animarono questa rivoluzione, e tra essi ci sono Sergio Campana e Giacomo Bulgarelli. Il primo, già ritirato, in una carriera quasi interamente dedicata ai colori della sua Vicenza vestì tra il 1959 e il 1961 la divisa rossoblù con cui vinse, nel corso della seconda stagione, la Coppa Mitropa. Campana aveva una caratteristica rara all’epoca che, insieme al non essere più in attività e quindi maggiormente credibile come figura di mediazione, fece di lui l’uomo perfetto per diventare il primo presidente dell’AIC, carica mantenuta per quarantatré anni: possedeva una laurea e esercitava la professione di avvocato. L’ex attaccante rossoblù grazie ai suoi studi aveva ben chiare tutte le ingiustizie presenti nei contratti e i ricatti a cui le società sottoponevano i propri giocatori e il suo sguardo tecnico fu fondamentale in sede di contrattazioni. Campana, inoltre, intuì che la lotta doveva essere anche extracampo e così negli anni Settanta sostenne progetti artistici e le opere letterarie di Paolo Sollier, calciatore, scrittore e fervente comunista che con le sue esultanze e il suo modo di essere portò scompiglio nel calcio italiano. La presenza di Bulgarelli, invece, offre due spunti interessanti sull’importanza dell’immagine e sulla complessità del periodo storico. La creazione di un sindacato inizialmente non era cosa gradita ai più e, allora, nei ritiri della nazionale nacque l’idea di utilizzare figure di spicco come lui, Mazzola, Rivera e Losi per fare da traino. Idea che si rivelò vincente. Inoltre, il sessantotto con le sue lotte e i movimenti sindacali vengono normalmente associati alla sinistra, ma in un periodo così pieno di sfaccettature questo non sempre coincide con la realtà. Bulgarelli, infatti, pur avendo mantenuto un’immagine pubblica tendenzialmente apolitica, venne spesso avvicinato alla destra ed ebbe rapporti d’amicizia con alcuni dei suoi esponenti. Questo fa pensare a come le lotte per i diritti non dovrebbero avere colori e fazioni, perché essi dovrebbero essere la base della società.
La nascita dell’AIC, fu un momento di rivoluzione fondamentale per il calcio italiano, un pezzo di storia di diritti e di libertà che non poteva non passare da una città simbolo come Bologna.

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