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Chiacchiere da Bar…bieri – Ferrari, non ti resta che Vasseur
Il popolo ferrarista sta cominciando a mugugnare sempre di più. La rossa non va, c’è poco da fare. Le prestazioni sul giro secco sono buone, ma in gara la SF-23 mostra tutti i suoi limiti. Ad ogni GP si parla di resurrezione, che, come dice un nostro lettore su Facebook, si trasforma puntualmente in umiliazione. Qualcuno comincia a pensare che, alla fine, con Mattia Binotto non si stesse poi così male.
Prima di iniziare con i miei ragionamenti, che qualcuno può legittimamente bollare come elucubrazioni, non mi offendo, apro una parentesi. Da alcuni anni ho scelto di staccarmi dai drappi rossi e cercare di vivere il motorsport con un coinvolgimento diverso. Qualche anno fa incontrai nel paddock di Imola Juan Pablo Montoya. In quell’occasione, presi a due mani il coraggio e sfoderando il mio zoppicante inglese mi scusai con il pilota colombiano, già due volte vincitore della 500 Miglia di Indianapolis, per il mio “odio” sportivo riversato verso di lui nei primi anni 2000, quando si contrapponeva con la sua Williams al mio beniamino Michael Schumacher.
Questo per dire cosa? Chi scrive non è ferrarista o anti-ferrarista, semplicemente è una persona, se vogliamo marginalmente addetta ai lavori, che cerca di analizzare quello che succede prendendo in considerazione quanti più elementi possibili. Quella che scrivo è la verità assoluta? No, è semplicemente il punto di vista di chi accende la TV per vedere cosa succede durante il GP a tutte e dieci le scuderie in pista: se la Ferrari va bene, sono contento per gli amici tifosi ferraristi, se va male… c’è da capire.
Da alcuni anni infatti c’è molto da capire e non è un caso che la frase mantra di Mattia Binotto sia ricorrente anche nel glossario di Frederic Vasseur. I momenti difficili, come quello che sta vivendo la Ferrari ormai da tre lustri, vanno analizzati a mio avviso nella maniera meno emotiva possibile, cercando di attenersi a quello che sta succedendo e, a volte, facendo affidamento anche sulla storia passata. Con un bel respiro e tanta pazienza cerchiamo di capire anche noi cosa sta succedendo in casa Ferrari, lasciando da una parte l’occhiale dell’appassionato voglioso di vedere la Scuderia trionfare come nell’era Montezemolo-Todt-Schumacher.
Poche settimane fa proprio il manager francese disse, intervistato da L’Equipe: “Al mio arrivo, la Ferrari era una sorta di opera d’arte in rovina. Tutto versava in pessime condizioni: dalla parte del telaio completamente abbandonata alla galleria del vento piena di polvere e usata come magazzino. C’erano molte aspettative e la stampa esercitava una certa pressione. Anche per questo ho dovuto imparare l’italiano”. A questo aggiunse poi, riferendosi a Schumacher: “Lui aveva chiesto di inserire una clausola rescissoria nel suo contratto che gli avrebbe permesso di andare via se me ne fossi andato anch’io. Infatti, nel 1996, si diceva che sarei stato cacciato. Quando lo seppe dai giornalisti, Michael rispose: ‘Se Jean se ne va, me ne andrò anch’io’”.
Torno all’epoca di Todt perché secondo me è la più simile a quella odierna, fatto salvo per i dettagli sull’ordine dei locali aziendali forniti dall’ex Direttore Generale del Cavallino Rampante. A livello di clima, nell’accezione umana del termine, credo che la Scuderia Ferrari sia attualmente una realtà con tante macerie, derivanti ancora dall’epurazione di Luca Cordero di Montezemolo voluta da Sergio Marchionne, che prese poi in mano l’azienda in tutto e per tutto. Se la parte di prodotto, da quel 2014 in avanti è sempre cresciuta, la GES non ha celebrato grossi successi, anche a causa dell’interruzione improvvisa del processo iniziato dal manager canadese, cessato con la sua morte nel 2018. Marchionne, che poteva piacere o non piacere, nel corso del tempo ha cercato di ristrutturare, con il suo stile e le sue idee, la Scuderia, lacerata dal periodo di mancati successi e fallimenti tecnici occorso dal 2009 al 2014. Lo fece grazie al suo ruolo plenipotenziario, scegliendo un manager, Maurizio Arrivabene, che con pazienza e con fatica riuscì a riportare la Ferrari a lottare per i titoli piloti e costruttori. Certo, in quel momento non arrivarono nessuno dei due allori e gli errori furono tanti, ma la strada sembrava quella giusta.
Poi, in quel 2018, Marchionne era sempre più indebolito dalla malattia e la politica interna, da sempre protagonista a Maranello, iniziò a galoppare. Il vuoto lasciato da Marchionne, colmato solo parzialmente da Louis Camilleri, e la lontananza della proprietà dall’azienda e dalla GES, hanno consentito un ribaltone storico, con un accentramento di poteri quasi senza precedenti. Binotto, dal 2019, prese il posto di Arrivabene, diventando Team Principal e mantenendo nelle sue mani tutte le funzioni di Direttore Tecnico. Alcune voci autorevoli, arrivate alle mie orecchie, parlano di una persona che non si fidava di nessuno, tant’è che anche il reparto comunicazione, guidato da Silvia Hoffer, era di fatto commissariato. Già su queste pagine virtuali, a suo tempo, stigmatizzai la scelta dell’autosmentita fatta dalla Scuderia Ferrari in merito alla sostituzione di Binotto: queste prese di posizione, per essere credibili, devono infatti arrivare dalla proprietà e non dalla parte direttamente interessata. Vi immaginate un allenatore di calcio che, nascondendosi dietro ai profili social della sua squadra, dice che la sua società non cambierà guida tecnica? A fine 2022 poi l’ingegnere regio-svizzero e la Ferrari hanno separato infatti le loro strade, palesando l’estrema “credibilità” della comunicazione di cui sopra, con John Elkann e il nuovo CEO Benedetto Vigna, subentrato a Camilleri il 1° settembre 2021, che hanno scelto come suo successore Vasseur.
Da questo breve riassunto delle puntate precedenti, non completo di mille sfaccettature, si può capire quante difficoltà abbia incontrato la Ferrari degli ultimi anni, ostacoli che si sono ripercosse soprattutto sulla GES, l’area che si occupa del progetto F1 e, per definizione, il settore più in vista della Casa emiliana. Nella Gestione Sportiva le pressioni sono costanti e il disordine, si sa, non aiuta a vincere. In questo scenario il buon Vasseur si è inserito solo a partire dal gennaio di quest’anno. Di fatto, sono cinque mesi che sta lavorando in azienda. Considerando che, presumibilmente, si ritrova con un reparto tecnico se non altro moralmente a pezzi e destabilizzato dalla gestione degli ultimi anni, l’ingegnere e manager francese ha molto da ricostruire.
In aggiunta, c’è da dire un altro elemento da considerare: il progetto della monoposto in mano a Leclerc e Sainz è quello di Binotto che, seppur capacissimo come ingegnere, nella situazione del 2022 potrebbe esser stato nelle condizioni di lavorare male; inoltre la linea di sviluppi è stata imbastita da un gruppo di tecnici che via via si sta dissolvendo. La mia impressione è che in Ferrari si stia facendo con quello che si ha e la campagna acquisti è solo agli inizi. Fermo restando che, e questo è un mio dubbio non avvalorato da nessuna certezza, la GES in questo momento potrebbe essere poco appetibile da parte dei tecnici di altre scuderie che, uso sempre il condizionale, potrebbero vedere Maranello come un mostro a tre teste che ti mastica e ti sputa via.
Vasseur non dovrà far togliere la polvere dalla galleria del vento, certo, la struttura è più splendida che mai, ma dovrà rimettere insieme i cocci di uomini che, in questi anni, ne devono aver viste di tutti i colori, con una politica interna fuori controllo e che presumo abbia mietuto diverse vittime. Se con Todt, in un’era nella quale i social network non esistevano, fosse stata chiesta (e ottenuta) la sua testa dopo cinque mesi, il francese non avrebbe nemmeno cominciato il campionato 1994 e sicuramente il mondo non avrebbe ammirato quella Ferrari schiacciasassi vista dal 2000 al 2004. Per vincere un titolo quella Ferrari impiegò sei stagioni e mezzo, nel nuovo assetto voluto da Montezemolo e Todt. Il pilota giusto mise piede a Maranello dopo due stagioni e mezzo e vinse il titolo solo al quinto tentativo, dopo un po’ di sfortuna e un errore madornale a Jerez nel 1997 che gli costò addirittura la squalifica dal campionato.
Questo per dire cosa? Il mondo della Formula 1 è un mondo che va veloce, è vero, ma i cambiamenti necessari per diventare vincenti possono richiedere molto tempo. Non si cambia una situazione di questo tipo dalla sera alla mattina e spesso, per fare tre passi avanti, bisogna prima farne qualcuno indietro. Vasseur a mio avviso è l’uomo giusto per la Ferrari: è distaccato dall’azienda, nel senso che la conosce bene, la rispetta, ma non è così emotivamente coinvolto come altri. Non è italiano, e questo può aiutare ad essere più lucidi, è un uomo di corse di successo, basti pensare a quello che ha fatto con la sua ART, ed è un imprenditore, abituato ad assumersi il rischio d’impresa. Tutte queste caratteristiche gli consentiranno di prendere le decisioni giuste, nei tempi giusti. E’ vero, in F1 non ha mai vinto, lo dissi anche io nel novembre scorso, gestisce anche altre due aziende e il suo nome sembrava una soluzione di ripiego: avendolo visto all’opera mi sono convinto che, con il giusto quantitativo di tempo, almeno cinque stagioni non contando quella 2023, può essere l’uomo della provvidenza.
Agli osservatori e ai tifosi non resta che fare un paio di cose: fidarsi di chi ne sa di più, perché sono in pochi al mondo che possono dire di avere un curriculum migliore rispetto a quello di Vasseur e avere pazienza. Non si vince da quindici anni, stagione più stagione meno, il digiuno è già lungo: la bacchetta magica non ce l’ha nessuno e, se per caso l’aveste, vi consiglio di andare in Via Abetone Inferiore n. 4, a Maranello, e chiedere dell’Ing. Vigna. Sono sicuro che, dopo un paio di dimostrazioni pratiche, in caso di successo vi assumerebbe al volo, mettendovi in tasca un assegno in bianco.
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