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MotoGP, piloti burattini per lo spettacolo
La battaglia di Carlo Pernat
Chi ha la memoria lunga si può ricordare le polemiche di Carlo Pernat, manager di lungo corso nel motomondiale, che attualmente cura gli interessi di Enea Bastianini. Al momento dell’ufficializzazione del nuovo format, il genovese fu il primo a stigmatizzare il fatto che la scelta fu presa da Dorna e dalle case senza consultare i piloti e, in aggiunta, senza prevedere un aumento di ingaggio. In tanti l’avevano subito pensata come una mossa per fare più soldi (e non scomodiamo i luoghi comuni) ma, a conti fatti, nel ragionamento di Pernat c’era più di un fondo di verità. I piloti infatti rischiano molto di più la loro incolumità e sarebbero dovuti essere interpellati. In aggiunta, l’aumento di possibilità di infortunio deve essere in qualche modo compensata. Quale modo migliore e più rapido di un aumento di stipendio? In prima battuta, direi nessuno. In secondo luogo, bisognerebbe lavorare anche su altro.
Personalmente sono uno dei più strenui e fieri sostenitori del principio di profittabilità del motorsport, che non deve essere un giocattolo per ricchi annoiati con soldi da buttare, ma un’industria che dà lavoro e genera utili per chi ci investe. Questo però, non deve andare a discapito della salute dei protagonisti dello sport, ovvero dei piloti. Se sulle quattro ruote si può osare di più, per definizione (in MotoGP non esiste la cellula di sopravvivenza che c’è in F1, per intenderci), quando queste vengono dimezzate certi azzardi vanno ponderati e le conseguenze mai sottovalutate. Quindi bravina Dorna, ma c’è da fare di molto meglio. Un obiettivo è stato raggiunto, me ne hai un altro più importante: capire che i motociclisti sono ancora i cavalieri del rischio, non sono i tuoi burattini.
La battaglia di Carlo Pernat
Chi ha la memoria lunga si può ricordare le polemiche di Carlo Pernat, manager di lungo corso nel motomondiale, che attualmente cura gli interessi di Enea Bastianini. Al momento dell’ufficializzazione del nuovo format, il genovese fu il primo a stigmatizzare il fatto che la scelta fu presa da Dorna e dalle case senza consultare i piloti e, in aggiunta, senza prevedere un aumento di ingaggio. In tanti l’avevano subito pensata come una mossa per fare più soldi (e non scomodiamo i luoghi comuni) ma, a conti fatti, nel ragionamento di Pernat c’era più di un fondo di verità. I piloti infatti rischiano molto di più la loro incolumità e sarebbero dovuti essere interpellati. In aggiunta, l’aumento di possibilità di infortunio deve essere in qualche modo compensata. Quale modo migliore e più rapido di un aumento di stipendio? In prima battuta, direi nessuno. In secondo luogo, bisognerebbe lavorare anche su altro.
Personalmente sono uno dei più strenui e fieri sostenitori del principio di profittabilità del motorsport, che non deve essere un giocattolo per ricchi annoiati con soldi da buttare, ma un’industria che dà lavoro e genera utili per chi ci investe. Questo però, non deve andare a discapito della salute dei protagonisti dello sport, ovvero dei piloti. Se sulle quattro ruote si può osare di più, per definizione (in MotoGP non esiste la cellula di sopravvivenza che c’è in F1, per intenderci), quando queste vengono dimezzate certi azzardi vanno ponderati e le conseguenze mai sottovalutate. Quindi bravina Dorna, ma c’è da fare di molto meglio. Un obiettivo è stato raggiunto, me ne hai un altro più importante: capire che i motociclisti sono ancora i cavalieri del rischio, non sono i tuoi burattini.
Tutti giù per terra
«Giro giro tondo, casca la Dorna, inventa la Sprint… Tutti giù per terra!»
Purtroppo ogni modifica ha i suoi pro e i suoi contro. Nei primi cinque round, stando ai dato raccolti dalla Gazzetta dello Sport, le cadute in MotoGP sono state 114. A queste si sommano le 87 occorse in Moto2 e le 77 avvenute in Moto3. Per dare un termine di paragone, prendiamo i dati di tutto il 2022. La scorsa stagione si disputò su venti appuntamenti. Dopo la gara di Valencia, le cadute furono 335, per una media di 16,7 a GP. In questo inizio 2023 la statistica delle cadute per gara, prendendo in esame solo i primi cinque weekend, si è impennata a 22,8.
Per fare un confronto con le altre categorie, la media totale del 2022 in Moto2 era di 21,4 cadute a Gran Premio, mentre nella classe di minor cilindrata la media era, nell’anno completo, di 17,5. In questo 2023, invece, le prime cinque gare restituiscono rispettivamente una media di 17,4 (- 3%) e 15,4 (- 2,1%). C’è da dire, come elemento giustificativo, che la Moto3 gira per un totale di 20 minuti nelle libere e le qualifiche sono divise in Q1 e Q2 da 15 minuti l’una, rispetto ai 40 minuti dello scorso anno. Stesso discorso per la Moto2, che però a solamente dieci minuti in meno di prove libere, mentre ad entrambe è stato eliminato il warm-up, della durata 15 minuti.
Nella top class il numero di sessioni è il medesimo, è diminuito il tempo, ma è cambiata totalmente l’intensità dell’intero weekend. La gara sprint, possiamo dirlo con certezza, ha quindi aumentato drasticamente il rischio per i piloti. Questo lo si è visto anche negli infortuni: di fatto, non si è disputata ancora nessuna gara con tutti i piloti titolari presenti.
La battaglia di Carlo Pernat
Chi ha la memoria lunga si può ricordare le polemiche di Carlo Pernat, manager di lungo corso nel motomondiale, che attualmente cura gli interessi di Enea Bastianini. Al momento dell’ufficializzazione del nuovo format, il genovese fu il primo a stigmatizzare il fatto che la scelta fu presa da Dorna e dalle case senza consultare i piloti e, in aggiunta, senza prevedere un aumento di ingaggio. In tanti l’avevano subito pensata come una mossa per fare più soldi (e non scomodiamo i luoghi comuni) ma, a conti fatti, nel ragionamento di Pernat c’era più di un fondo di verità. I piloti infatti rischiano molto di più la loro incolumità e sarebbero dovuti essere interpellati. In aggiunta, l’aumento di possibilità di infortunio deve essere in qualche modo compensata. Quale modo migliore e più rapido di un aumento di stipendio? In prima battuta, direi nessuno. In secondo luogo, bisognerebbe lavorare anche su altro.
Personalmente sono uno dei più strenui e fieri sostenitori del principio di profittabilità del motorsport, che non deve essere un giocattolo per ricchi annoiati con soldi da buttare, ma un’industria che dà lavoro e genera utili per chi ci investe. Questo però, non deve andare a discapito della salute dei protagonisti dello sport, ovvero dei piloti. Se sulle quattro ruote si può osare di più, per definizione (in MotoGP non esiste la cellula di sopravvivenza che c’è in F1, per intenderci), quando queste vengono dimezzate certi azzardi vanno ponderati e le conseguenze mai sottovalutate. Quindi bravina Dorna, ma c’è da fare di molto meglio. Un obiettivo è stato raggiunto, me ne hai un altro più importante: capire che i motociclisti sono ancora i cavalieri del rischio, non sono i tuoi burattini.
Dorna sentiva che, una volta finita l’era di Valentino Rossi, bisognava rimboccarsi le maniche. Bene, è successo e questo avvio di stagione fa pendere l’ago della bilancia a favore dell’azienda diretta da Carmelo Ezpeleta. Il manager spagnolo, con un colpo di reni sta riuscendo a risollevare il suo business un tempo definito, anche su queste pagine, in inesorabile declino.
Tutti giù per terra
«Giro giro tondo, casca la Dorna, inventa la Sprint… Tutti giù per terra!»
Purtroppo ogni modifica ha i suoi pro e i suoi contro. Nei primi cinque round, stando ai dato raccolti dalla Gazzetta dello Sport, le cadute in MotoGP sono state 114. A queste si sommano le 87 occorse in Moto2 e le 77 avvenute in Moto3. Per dare un termine di paragone, prendiamo i dati di tutto il 2022. La scorsa stagione si disputò su venti appuntamenti. Dopo la gara di Valencia, le cadute furono 335, per una media di 16,7 a GP. In questo inizio 2023 la statistica delle cadute per gara, prendendo in esame solo i primi cinque weekend, si è impennata a 22,8.
Per fare un confronto con le altre categorie, la media totale del 2022 in Moto2 era di 21,4 cadute a Gran Premio, mentre nella classe di minor cilindrata la media era, nell’anno completo, di 17,5. In questo 2023, invece, le prime cinque gare restituiscono rispettivamente una media di 17,4 (- 3%) e 15,4 (- 2,1%). C’è da dire, come elemento giustificativo, che la Moto3 gira per un totale di 20 minuti nelle libere e le qualifiche sono divise in Q1 e Q2 da 15 minuti l’una, rispetto ai 40 minuti dello scorso anno. Stesso discorso per la Moto2, che però a solamente dieci minuti in meno di prove libere, mentre ad entrambe è stato eliminato il warm-up, della durata 15 minuti.
Nella top class il numero di sessioni è il medesimo, è diminuito il tempo, ma è cambiata totalmente l’intensità dell’intero weekend. La gara sprint, possiamo dirlo con certezza, ha quindi aumentato drasticamente il rischio per i piloti. Questo lo si è visto anche negli infortuni: di fatto, non si è disputata ancora nessuna gara con tutti i piloti titolari presenti.
La battaglia di Carlo Pernat
Chi ha la memoria lunga si può ricordare le polemiche di Carlo Pernat, manager di lungo corso nel motomondiale, che attualmente cura gli interessi di Enea Bastianini. Al momento dell’ufficializzazione del nuovo format, il genovese fu il primo a stigmatizzare il fatto che la scelta fu presa da Dorna e dalle case senza consultare i piloti e, in aggiunta, senza prevedere un aumento di ingaggio. In tanti l’avevano subito pensata come una mossa per fare più soldi (e non scomodiamo i luoghi comuni) ma, a conti fatti, nel ragionamento di Pernat c’era più di un fondo di verità. I piloti infatti rischiano molto di più la loro incolumità e sarebbero dovuti essere interpellati. In aggiunta, l’aumento di possibilità di infortunio deve essere in qualche modo compensata. Quale modo migliore e più rapido di un aumento di stipendio? In prima battuta, direi nessuno. In secondo luogo, bisognerebbe lavorare anche su altro.
Personalmente sono uno dei più strenui e fieri sostenitori del principio di profittabilità del motorsport, che non deve essere un giocattolo per ricchi annoiati con soldi da buttare, ma un’industria che dà lavoro e genera utili per chi ci investe. Questo però, non deve andare a discapito della salute dei protagonisti dello sport, ovvero dei piloti. Se sulle quattro ruote si può osare di più, per definizione (in MotoGP non esiste la cellula di sopravvivenza che c’è in F1, per intenderci), quando queste vengono dimezzate certi azzardi vanno ponderati e le conseguenze mai sottovalutate. Quindi bravina Dorna, ma c’è da fare di molto meglio. Un obiettivo è stato raggiunto, me ne hai un altro più importante: capire che i motociclisti sono ancora i cavalieri del rischio, non sono i tuoi burattini.
É inutile negare che tutto parta dalla scelta di aggiungere la tanta vituperata Sprint Race e di farlo, rispetto alla Formula 1, in maniera sistematica. La gara del sabato, nelle due ruote, coinvolge tutti gli appuntamenti ed è quindi parte integrante del weekend sportivo in maniera molto più coerente rispetto a quanto accade nell’Olimpo delle monoposto.
Dorna sentiva che, una volta finita l’era di Valentino Rossi, bisognava rimboccarsi le maniche. Bene, è successo e questo avvio di stagione fa pendere l’ago della bilancia a favore dell’azienda diretta da Carmelo Ezpeleta. Il manager spagnolo, con un colpo di reni sta riuscendo a risollevare il suo business un tempo definito, anche su queste pagine, in inesorabile declino.
Tutti giù per terra
«Giro giro tondo, casca la Dorna, inventa la Sprint… Tutti giù per terra!»
Purtroppo ogni modifica ha i suoi pro e i suoi contro. Nei primi cinque round, stando ai dato raccolti dalla Gazzetta dello Sport, le cadute in MotoGP sono state 114. A queste si sommano le 87 occorse in Moto2 e le 77 avvenute in Moto3. Per dare un termine di paragone, prendiamo i dati di tutto il 2022. La scorsa stagione si disputò su venti appuntamenti. Dopo la gara di Valencia, le cadute furono 335, per una media di 16,7 a GP. In questo inizio 2023 la statistica delle cadute per gara, prendendo in esame solo i primi cinque weekend, si è impennata a 22,8.
Per fare un confronto con le altre categorie, la media totale del 2022 in Moto2 era di 21,4 cadute a Gran Premio, mentre nella classe di minor cilindrata la media era, nell’anno completo, di 17,5. In questo 2023, invece, le prime cinque gare restituiscono rispettivamente una media di 17,4 (- 3%) e 15,4 (- 2,1%). C’è da dire, come elemento giustificativo, che la Moto3 gira per un totale di 20 minuti nelle libere e le qualifiche sono divise in Q1 e Q2 da 15 minuti l’una, rispetto ai 40 minuti dello scorso anno. Stesso discorso per la Moto2, che però a solamente dieci minuti in meno di prove libere, mentre ad entrambe è stato eliminato il warm-up, della durata 15 minuti.
Nella top class il numero di sessioni è il medesimo, è diminuito il tempo, ma è cambiata totalmente l’intensità dell’intero weekend. La gara sprint, possiamo dirlo con certezza, ha quindi aumentato drasticamente il rischio per i piloti. Questo lo si è visto anche negli infortuni: di fatto, non si è disputata ancora nessuna gara con tutti i piloti titolari presenti.
La battaglia di Carlo Pernat
Chi ha la memoria lunga si può ricordare le polemiche di Carlo Pernat, manager di lungo corso nel motomondiale, che attualmente cura gli interessi di Enea Bastianini. Al momento dell’ufficializzazione del nuovo format, il genovese fu il primo a stigmatizzare il fatto che la scelta fu presa da Dorna e dalle case senza consultare i piloti e, in aggiunta, senza prevedere un aumento di ingaggio. In tanti l’avevano subito pensata come una mossa per fare più soldi (e non scomodiamo i luoghi comuni) ma, a conti fatti, nel ragionamento di Pernat c’era più di un fondo di verità. I piloti infatti rischiano molto di più la loro incolumità e sarebbero dovuti essere interpellati. In aggiunta, l’aumento di possibilità di infortunio deve essere in qualche modo compensata. Quale modo migliore e più rapido di un aumento di stipendio? In prima battuta, direi nessuno. In secondo luogo, bisognerebbe lavorare anche su altro.
Personalmente sono uno dei più strenui e fieri sostenitori del principio di profittabilità del motorsport, che non deve essere un giocattolo per ricchi annoiati con soldi da buttare, ma un’industria che dà lavoro e genera utili per chi ci investe. Questo però, non deve andare a discapito della salute dei protagonisti dello sport, ovvero dei piloti. Se sulle quattro ruote si può osare di più, per definizione (in MotoGP non esiste la cellula di sopravvivenza che c’è in F1, per intenderci), quando queste vengono dimezzate certi azzardi vanno ponderati e le conseguenze mai sottovalutate. Quindi bravina Dorna, ma c’è da fare di molto meglio. Un obiettivo è stato raggiunto, me ne hai un altro più importante: capire che i motociclisti sono ancora i cavalieri del rischio, non sono i tuoi burattini.
Andiamo con ordine. La gara corta è stata introdotta per ravvivare il format del weekend della MotoGP, dando agli spettatori un’occasione in occasione in più per godere di un po’ di spettacolo. A parte le opinioni, è ora di guardare ai dati, che sono l’unico vero indicatore per vedere se una scelta, commercialmente parlando, ha avuto successo. Un’altra doverosa premessa è la seguente: un conto è il tribunale social, un conto è il successo commerciale. Questo spesso non va di pari passo, perchè, come dice la frase attribuita al filosofo cinese Laozi, «fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce». Poi lo so che questo concetto vale sempre per un contesto in cui ci sentiamo protagonisti e (quasi) mai per gli altri. Cerchiamo di fare uno sforzo tutti insieme, analizzando i numeri.
Secondo quanto diramato da Dorna il 22 maggio scorso, i dati relativi al primo trimestre di gare (marzo, aprile e maggio) parlano di un aumento di pubblico televisivo del 27% nell’arco del weekend. In pista, la media dei cinque appuntamenti iniziali, quindi al GP di Francia, parla invece di un + 40%. La giornata del sabato, la più rivoluzionata da questa nuova era, ha visto un + 51% di pubblico televisivo.
Sprint Race scelta vincente
É inutile negare che tutto parta dalla scelta di aggiungere la tanta vituperata Sprint Race e di farlo, rispetto alla Formula 1, in maniera sistematica. La gara del sabato, nelle due ruote, coinvolge tutti gli appuntamenti ed è quindi parte integrante del weekend sportivo in maniera molto più coerente rispetto a quanto accade nell’Olimpo delle monoposto.
Dorna sentiva che, una volta finita l’era di Valentino Rossi, bisognava rimboccarsi le maniche. Bene, è successo e questo avvio di stagione fa pendere l’ago della bilancia a favore dell’azienda diretta da Carmelo Ezpeleta. Il manager spagnolo, con un colpo di reni sta riuscendo a risollevare il suo business un tempo definito, anche su queste pagine, in inesorabile declino.
Tutti giù per terra
«Giro giro tondo, casca la Dorna, inventa la Sprint… Tutti giù per terra!»
Purtroppo ogni modifica ha i suoi pro e i suoi contro. Nei primi cinque round, stando ai dato raccolti dalla Gazzetta dello Sport, le cadute in MotoGP sono state 114. A queste si sommano le 87 occorse in Moto2 e le 77 avvenute in Moto3. Per dare un termine di paragone, prendiamo i dati di tutto il 2022. La scorsa stagione si disputò su venti appuntamenti. Dopo la gara di Valencia, le cadute furono 335, per una media di 16,7 a GP. In questo inizio 2023 la statistica delle cadute per gara, prendendo in esame solo i primi cinque weekend, si è impennata a 22,8.
Per fare un confronto con le altre categorie, la media totale del 2022 in Moto2 era di 21,4 cadute a Gran Premio, mentre nella classe di minor cilindrata la media era, nell’anno completo, di 17,5. In questo 2023, invece, le prime cinque gare restituiscono rispettivamente una media di 17,4 (- 3%) e 15,4 (- 2,1%). C’è da dire, come elemento giustificativo, che la Moto3 gira per un totale di 20 minuti nelle libere e le qualifiche sono divise in Q1 e Q2 da 15 minuti l’una, rispetto ai 40 minuti dello scorso anno. Stesso discorso per la Moto2, che però a solamente dieci minuti in meno di prove libere, mentre ad entrambe è stato eliminato il warm-up, della durata 15 minuti.
Nella top class il numero di sessioni è il medesimo, è diminuito il tempo, ma è cambiata totalmente l’intensità dell’intero weekend. La gara sprint, possiamo dirlo con certezza, ha quindi aumentato drasticamente il rischio per i piloti. Questo lo si è visto anche negli infortuni: di fatto, non si è disputata ancora nessuna gara con tutti i piloti titolari presenti.
La battaglia di Carlo Pernat
Chi ha la memoria lunga si può ricordare le polemiche di Carlo Pernat, manager di lungo corso nel motomondiale, che attualmente cura gli interessi di Enea Bastianini. Al momento dell’ufficializzazione del nuovo format, il genovese fu il primo a stigmatizzare il fatto che la scelta fu presa da Dorna e dalle case senza consultare i piloti e, in aggiunta, senza prevedere un aumento di ingaggio. In tanti l’avevano subito pensata come una mossa per fare più soldi (e non scomodiamo i luoghi comuni) ma, a conti fatti, nel ragionamento di Pernat c’era più di un fondo di verità. I piloti infatti rischiano molto di più la loro incolumità e sarebbero dovuti essere interpellati. In aggiunta, l’aumento di possibilità di infortunio deve essere in qualche modo compensata. Quale modo migliore e più rapido di un aumento di stipendio? In prima battuta, direi nessuno. In secondo luogo, bisognerebbe lavorare anche su altro.
Personalmente sono uno dei più strenui e fieri sostenitori del principio di profittabilità del motorsport, che non deve essere un giocattolo per ricchi annoiati con soldi da buttare, ma un’industria che dà lavoro e genera utili per chi ci investe. Questo però, non deve andare a discapito della salute dei protagonisti dello sport, ovvero dei piloti. Se sulle quattro ruote si può osare di più, per definizione (in MotoGP non esiste la cellula di sopravvivenza che c’è in F1, per intenderci), quando queste vengono dimezzate certi azzardi vanno ponderati e le conseguenze mai sottovalutate. Quindi bravina Dorna, ma c’è da fare di molto meglio. Un obiettivo è stato raggiunto, me ne hai un altro più importante: capire che i motociclisti sono ancora i cavalieri del rischio, non sono i tuoi burattini.
I dati di ascolto e presenze
Andiamo con ordine. La gara corta è stata introdotta per ravvivare il format del weekend della MotoGP, dando agli spettatori un’occasione in occasione in più per godere di un po’ di spettacolo. A parte le opinioni, è ora di guardare ai dati, che sono l’unico vero indicatore per vedere se una scelta, commercialmente parlando, ha avuto successo. Un’altra doverosa premessa è la seguente: un conto è il tribunale social, un conto è il successo commerciale. Questo spesso non va di pari passo, perchè, come dice la frase attribuita al filosofo cinese Laozi, «fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce». Poi lo so che questo concetto vale sempre per un contesto in cui ci sentiamo protagonisti e (quasi) mai per gli altri. Cerchiamo di fare uno sforzo tutti insieme, analizzando i numeri.
Secondo quanto diramato da Dorna il 22 maggio scorso, i dati relativi al primo trimestre di gare (marzo, aprile e maggio) parlano di un aumento di pubblico televisivo del 27% nell’arco del weekend. In pista, la media dei cinque appuntamenti iniziali, quindi al GP di Francia, parla invece di un + 40%. La giornata del sabato, la più rivoluzionata da questa nuova era, ha visto un + 51% di pubblico televisivo.
Sprint Race scelta vincente
É inutile negare che tutto parta dalla scelta di aggiungere la tanta vituperata Sprint Race e di farlo, rispetto alla Formula 1, in maniera sistematica. La gara del sabato, nelle due ruote, coinvolge tutti gli appuntamenti ed è quindi parte integrante del weekend sportivo in maniera molto più coerente rispetto a quanto accade nell’Olimpo delle monoposto.
Dorna sentiva che, una volta finita l’era di Valentino Rossi, bisognava rimboccarsi le maniche. Bene, è successo e questo avvio di stagione fa pendere l’ago della bilancia a favore dell’azienda diretta da Carmelo Ezpeleta. Il manager spagnolo, con un colpo di reni sta riuscendo a risollevare il suo business un tempo definito, anche su queste pagine, in inesorabile declino.
Tutti giù per terra
«Giro giro tondo, casca la Dorna, inventa la Sprint… Tutti giù per terra!»
Purtroppo ogni modifica ha i suoi pro e i suoi contro. Nei primi cinque round, stando ai dato raccolti dalla Gazzetta dello Sport, le cadute in MotoGP sono state 114. A queste si sommano le 87 occorse in Moto2 e le 77 avvenute in Moto3. Per dare un termine di paragone, prendiamo i dati di tutto il 2022. La scorsa stagione si disputò su venti appuntamenti. Dopo la gara di Valencia, le cadute furono 335, per una media di 16,7 a GP. In questo inizio 2023 la statistica delle cadute per gara, prendendo in esame solo i primi cinque weekend, si è impennata a 22,8.
Per fare un confronto con le altre categorie, la media totale del 2022 in Moto2 era di 21,4 cadute a Gran Premio, mentre nella classe di minor cilindrata la media era, nell’anno completo, di 17,5. In questo 2023, invece, le prime cinque gare restituiscono rispettivamente una media di 17,4 (- 3%) e 15,4 (- 2,1%). C’è da dire, come elemento giustificativo, che la Moto3 gira per un totale di 20 minuti nelle libere e le qualifiche sono divise in Q1 e Q2 da 15 minuti l’una, rispetto ai 40 minuti dello scorso anno. Stesso discorso per la Moto2, che però a solamente dieci minuti in meno di prove libere, mentre ad entrambe è stato eliminato il warm-up, della durata 15 minuti.
Nella top class il numero di sessioni è il medesimo, è diminuito il tempo, ma è cambiata totalmente l’intensità dell’intero weekend. La gara sprint, possiamo dirlo con certezza, ha quindi aumentato drasticamente il rischio per i piloti. Questo lo si è visto anche negli infortuni: di fatto, non si è disputata ancora nessuna gara con tutti i piloti titolari presenti.
La battaglia di Carlo Pernat
Chi ha la memoria lunga si può ricordare le polemiche di Carlo Pernat, manager di lungo corso nel motomondiale, che attualmente cura gli interessi di Enea Bastianini. Al momento dell’ufficializzazione del nuovo format, il genovese fu il primo a stigmatizzare il fatto che la scelta fu presa da Dorna e dalle case senza consultare i piloti e, in aggiunta, senza prevedere un aumento di ingaggio. In tanti l’avevano subito pensata come una mossa per fare più soldi (e non scomodiamo i luoghi comuni) ma, a conti fatti, nel ragionamento di Pernat c’era più di un fondo di verità. I piloti infatti rischiano molto di più la loro incolumità e sarebbero dovuti essere interpellati. In aggiunta, l’aumento di possibilità di infortunio deve essere in qualche modo compensata. Quale modo migliore e più rapido di un aumento di stipendio? In prima battuta, direi nessuno. In secondo luogo, bisognerebbe lavorare anche su altro.
Personalmente sono uno dei più strenui e fieri sostenitori del principio di profittabilità del motorsport, che non deve essere un giocattolo per ricchi annoiati con soldi da buttare, ma un’industria che dà lavoro e genera utili per chi ci investe. Questo però, non deve andare a discapito della salute dei protagonisti dello sport, ovvero dei piloti. Se sulle quattro ruote si può osare di più, per definizione (in MotoGP non esiste la cellula di sopravvivenza che c’è in F1, per intenderci), quando queste vengono dimezzate certi azzardi vanno ponderati e le conseguenze mai sottovalutate. Quindi bravina Dorna, ma c’è da fare di molto meglio. Un obiettivo è stato raggiunto, me ne hai un altro più importante: capire che i motociclisti sono ancora i cavalieri del rischio, non sono i tuoi burattini.
Si è da poco conclusa la prima parte della stagione 2023 della MotoGP. La prima della nuova era, quella della Sprint Race. Sin da subito, la gara del sabato ha mostrato tantissimo agonismo che, giocoforza, si è tradotto in un aumento di incidenti, termine traducibile sulle due ruote in cadute. Da queste, purtroppo, scaturiscono gli infortuni, più o meno gravi. Già la prima gara corta, corsa in Portogallo, aveva mostrato la sua capacità di influire non solo sul risultato della domenica, ma anche sull’andamento della stagione. Quella che sembrava un’impressione, è ormai una realtà dopo otto gran premi.
I dati di ascolto e presenze
Andiamo con ordine. La gara corta è stata introdotta per ravvivare il format del weekend della MotoGP, dando agli spettatori un’occasione in occasione in più per godere di un po’ di spettacolo. A parte le opinioni, è ora di guardare ai dati, che sono l’unico vero indicatore per vedere se una scelta, commercialmente parlando, ha avuto successo. Un’altra doverosa premessa è la seguente: un conto è il tribunale social, un conto è il successo commerciale. Questo spesso non va di pari passo, perchè, come dice la frase attribuita al filosofo cinese Laozi, «fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce». Poi lo so che questo concetto vale sempre per un contesto in cui ci sentiamo protagonisti e (quasi) mai per gli altri. Cerchiamo di fare uno sforzo tutti insieme, analizzando i numeri.
Secondo quanto diramato da Dorna il 22 maggio scorso, i dati relativi al primo trimestre di gare (marzo, aprile e maggio) parlano di un aumento di pubblico televisivo del 27% nell’arco del weekend. In pista, la media dei cinque appuntamenti iniziali, quindi al GP di Francia, parla invece di un + 40%. La giornata del sabato, la più rivoluzionata da questa nuova era, ha visto un + 51% di pubblico televisivo.
Sprint Race scelta vincente
É inutile negare che tutto parta dalla scelta di aggiungere la tanta vituperata Sprint Race e di farlo, rispetto alla Formula 1, in maniera sistematica. La gara del sabato, nelle due ruote, coinvolge tutti gli appuntamenti ed è quindi parte integrante del weekend sportivo in maniera molto più coerente rispetto a quanto accade nell’Olimpo delle monoposto.
Dorna sentiva che, una volta finita l’era di Valentino Rossi, bisognava rimboccarsi le maniche. Bene, è successo e questo avvio di stagione fa pendere l’ago della bilancia a favore dell’azienda diretta da Carmelo Ezpeleta. Il manager spagnolo, con un colpo di reni sta riuscendo a risollevare il suo business un tempo definito, anche su queste pagine, in inesorabile declino.
Tutti giù per terra
«Giro giro tondo, casca la Dorna, inventa la Sprint… Tutti giù per terra!»
Purtroppo ogni modifica ha i suoi pro e i suoi contro. Nei primi cinque round, stando ai dato raccolti dalla Gazzetta dello Sport, le cadute in MotoGP sono state 114. A queste si sommano le 87 occorse in Moto2 e le 77 avvenute in Moto3. Per dare un termine di paragone, prendiamo i dati di tutto il 2022. La scorsa stagione si disputò su venti appuntamenti. Dopo la gara di Valencia, le cadute furono 335, per una media di 16,7 a GP. In questo inizio 2023 la statistica delle cadute per gara, prendendo in esame solo i primi cinque weekend, si è impennata a 22,8.
Per fare un confronto con le altre categorie, la media totale del 2022 in Moto2 era di 21,4 cadute a Gran Premio, mentre nella classe di minor cilindrata la media era, nell’anno completo, di 17,5. In questo 2023, invece, le prime cinque gare restituiscono rispettivamente una media di 17,4 (- 3%) e 15,4 (- 2,1%). C’è da dire, come elemento giustificativo, che la Moto3 gira per un totale di 20 minuti nelle libere e le qualifiche sono divise in Q1 e Q2 da 15 minuti l’una, rispetto ai 40 minuti dello scorso anno. Stesso discorso per la Moto2, che però a solamente dieci minuti in meno di prove libere, mentre ad entrambe è stato eliminato il warm-up, della durata 15 minuti.
Nella top class il numero di sessioni è il medesimo, è diminuito il tempo, ma è cambiata totalmente l’intensità dell’intero weekend. La gara sprint, possiamo dirlo con certezza, ha quindi aumentato drasticamente il rischio per i piloti. Questo lo si è visto anche negli infortuni: di fatto, non si è disputata ancora nessuna gara con tutti i piloti titolari presenti.
La battaglia di Carlo Pernat
Chi ha la memoria lunga si può ricordare le polemiche di Carlo Pernat, manager di lungo corso nel motomondiale, che attualmente cura gli interessi di Enea Bastianini. Al momento dell’ufficializzazione del nuovo format, il genovese fu il primo a stigmatizzare il fatto che la scelta fu presa da Dorna e dalle case senza consultare i piloti e, in aggiunta, senza prevedere un aumento di ingaggio. In tanti l’avevano subito pensata come una mossa per fare più soldi (e non scomodiamo i luoghi comuni) ma, a conti fatti, nel ragionamento di Pernat c’era più di un fondo di verità. I piloti infatti rischiano molto di più la loro incolumità e sarebbero dovuti essere interpellati. In aggiunta, l’aumento di possibilità di infortunio deve essere in qualche modo compensata. Quale modo migliore e più rapido di un aumento di stipendio? In prima battuta, direi nessuno. In secondo luogo, bisognerebbe lavorare anche su altro.
Personalmente sono uno dei più strenui e fieri sostenitori del principio di profittabilità del motorsport, che non deve essere un giocattolo per ricchi annoiati con soldi da buttare, ma un’industria che dà lavoro e genera utili per chi ci investe. Questo però, non deve andare a discapito della salute dei protagonisti dello sport, ovvero dei piloti. Se sulle quattro ruote si può osare di più, per definizione (in MotoGP non esiste la cellula di sopravvivenza che c’è in F1, per intenderci), quando queste vengono dimezzate certi azzardi vanno ponderati e le conseguenze mai sottovalutate. Quindi bravina Dorna, ma c’è da fare di molto meglio. Un obiettivo è stato raggiunto, me ne hai un altro più importante: capire che i motociclisti sono ancora i cavalieri del rischio, non sono i tuoi burattini.
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