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Il Motor Show di Bologna raccontato da un bambino

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Il Motor Show di Bologna era un Salone espositivo per auto e moto che si teneva a Bologna Fiere nella prima metà di dicembre. Si svolse, con qualche pausa, dal 1976 al 2017 e, negli anni, diventò un evento di fine anno imperdibile, sia per gli appassionati che per i costruttori e le aziende del settore e non solo.

Nato a metà degli anni ’70 su iniziativa del giovane imprenditore bolognese Mario Zodiaco, che coinvolse il campione rallysta Sandro Munari e il sedici volte iridato di motociclismo Giacomo Agostini, voleva essere un’alternativa al Salone di Torino, proponendo un format che unisse l’esposizione allo spettacolo, con un’area dedicata agli show di intrattenimento a due e quattro ruote. Inizialmente fu snobbato dalle Case, ma il pubblico sembrò man mano premiare questa nuova modalità. Nel 1981 subentrò a Zodiaco nell’organizzazione un altro rampante imprenditore bolognese: Alfredo Cazzola, allora trentunenne, traghettò il Motor Show verso l’olimpo dei saloni, cavalcando il format innovativo del debutto. Negli anni furono introdotte delle vere e proprie competizioni come il Memorial Attilio Bettega, che prevedeva sfide di rally su circuito chiuso uno contro uno che garantivano enorme spettacolo e che arrivarono addirittura ad avere la copertura televisiva in diretta della RAI. Tra i vincitori, su trenta edizioni disputate, ci sono piloti del calibro di Markku Alen, Miki Biasion, Colin McRae, Andrea Navarra, Sebastien Ogier, Petter Solberg e Kalle Rovanpera. Non sono mancate nemmeno le Formula 1, con un Trofeo a loro dedicato corso dal 1988 al 1996 che ha visto dare spettacolo protagonisti come, tra gli altri, Luis Perez-Sala, Gianni Morbidelli, Gabriele Tarquini, Johnny Herbert, Giancarlo Fisichella, Olivier Panis, Jarno Trulli e Rubens Barrichello.

Era un evento che catalizzava l’attenzione di tutti richiamando, tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni ’00, oltre 1.000.000 di visitatori in circa dieci giorni, richiamati anche dal tradizionale spettacolo che Ferrari, negli anni d’oro di Michael Schumacher, metteva in scena nell’area 48, l’arena a cielo aperto dove veniva allestito il circuito utilizzato per queste manifestazioni.

Anche a livello mediatico l’attenzione era focalizzata su questo evento, in un periodo dove i motori erano spenti o comunque lontani dai riflettori in vista della stagione successiva. Per un bambino appassionato di motori, ogni anno cresceva sempre di più la voglia di entrare all’interno di quello che sembrava un Paradiso in terra. Dai uno, dai due, dai tre, cogliendo anche l’occasione di essere vicini al Natale, riuscii nel 2003 a convincere i miei genitori a portarmi, undicenne, al Motor Show.

La prima cosa che colpiva era naturalmente la folla che accorreva in massa a prendere d’assalto i botteghini già prima dell’apertura delle porte del salone. Una volta all’interno, la manifestazione era talmente grande da perdersi, al punto di prendere la mappa degli espositori, penna e scegliere e cerchiare cosa andare a vedere. Le cose impressionanti erano più di una: dalla quantità incredibile di gadget data dagli espositori, all’incredibile numero di marchi presenti e di automobili e motociclette da sogno in bella mostra, a due passi.

Un fermo immagine che ho stampato nella mente è la Porsche Carrera GT, presentata pochi mesi prima dalla Casa di Zuffenhausen, che spiccava in mezzo a qualunque cosa. Ricordi più o meno vividi mi richiamano alla memoria una Ferrari Enzo e una Ferrari F2003-GA su cui mi sedetti, sulla gomma anteriore sinistra, per fare una foto ricordo. Fu anche la prima volta che vidi delle MotoGP, tra cui quella Ducati Desmosedici che stavo orribilmente dipingendo, alle scuole medie, per farne un appendichiavi da parete durante le ore di laboratorio di Educazione Tecnica, o la RC 211V campionessa del mondo con il numero ’46’ sul cupolino e sul codone.

C’è un’altro ricordo impresso nella memoria, come se fosse oggi: la sensazione di smarrimento giunte le 18, quando fu ora di tornare a casa. Avevo visto le auto e le moto che ammiravo da davanti alla TV, visto le gare di motard nell’area 48 con i piloti del motomondiale e stando a due passi da Loris Capirossi, che non mi immaginavo potesse essere alto quasi quanto me, ma velocissimo su quella bestia rossa. Non ne volevo sapere di tornare a casa, non mi sembrava vero di dover tornare nel mondo reale dopo aver toccato il cielo con un dito. Anche i miei genitori rimasero piacevolmente colpiti da ciò che videro durante quella giornata, anche loro alla prima volta al salone. Questo era ciò che riusciva a fare il Motor Show di Bologna degli anni d’oro: proiettare bambini, ragazzini e adulti in un mondo da sogno, forse addirittura troppo bello per essere reale. 

Oggi, purtroppo, di quel Motor Show si fa fatica quasi a trovare il logo su internet. Non ci sono canali ufficiali che ne tengono in vita la storia, lasciando tutto il compito alle emozioni ancora scolpite nei ricordi degli undicenni di allora, che vorrebbero non essere mai usciti da BolognaFiere.

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