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Ducati 500 Pantah, una nuova era

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Ducati.com

Uno spartiacque nella storia di Borgo Panigale: la 500 Pantah segna l’inizio di una nuova era per la Ducati, creando i presupposti per il successo internazionale della casa bolognese. Un progetto tortuoso che risollevò l’azienda, nel momento più buio della sua vita.

Un periodo difficile

La Ducati vive verso la fine degli Settanta quello che probabilmente è il periodo più complicato della sua storia. Il momento di difficoltà è causato da due ragioni principali: uno è sicuramente l’ascesa delle moto giapponesi, che cominciano a farsi prepotentemente strada anche nel mercato europeo; l’altro, forse ancora più preoccupante, è il fiasco delle bicilindriche 350/500 lanciate intorno al 1975 dalla casa bolognese. I problemi meccanici di questa serie di modelli fanno sì che gli venga appioppato il fastidioso nomignolo di “Demonio”; il loro scarso successo lascia scoperta la Ducati nel mercato delle moto di media cilindrata: è quindi urgente pensare a un nuovo, efficace modello.

L’evoluzione del bicilindrico

Lo sviluppo della Pantah si rivela tutt’altro che semplice. Gli ingegneri di Borgo Panigale si mettono al lavoro nel 1976; lo storico capo progettistista Fabio Taglioni definisce i connotati del nuovo propulsore, ma lascia grandi responsabilità alle “nuove leve” Gianluigi Mengoli e Renzo Neri. Il modello su cui lavorano è il bicilindrico a L progettato dallo stesso Taglioni sul finire degli Sessanta; vengono però rivoluzionati sia il cambio che la distribuzione.

Il nuovo propulsore è quindi un bicilindrico a L da 498,9 cc, che implementa un sistema desmodromico a 2 valvole comandato mediante cinghie dentate in gomma. Quest’ultima soluzione è una novità per Taglioni, che ha sempre preferito le coppie coniche; viene adottato soprattutto per abbattere i costi di produzione, mantenendo comunque una buona precisione nel funzionamento. Nel 1977, il primo prototipo è pronto al collaudo.

I problemi e la riprogettazione

Nel primo test la moto presenta evidenti problemi di affidabilità: il primo risultato è la fusione delle bobine, che porta Fabio Taglioni a pensare a una nuova soluzione. L’ingegnere trova la chiave inserendo dei distanziali in alluminio, ma i problemi non finiscono qui. Infatti, la catena di trasmissione Morse che era stata scelta per ridurre la rumorosità meccanica non dà gli effetti desiderati; a questo punto la Ducati decide di fare un passo indietro e ridisegnare tutto il basamento, lavoro preso in carico da Gianluigi Mengoli. Quando nel 1978 il motore viene riportato al banco presenta risultati notevoli, sviluppando una potenza di 48 cv. Nel frattempo, nonostante i lavori in corso riguardanti il propulsore, il prototipo viene inviato al Salone di Milano, dove fa la sua prima apparizione; la parte telaistica era infatti già stata ultimata.

La “pantera”

Per il secondo prototipo bisogna attendere la fine del 1978; inoltre, la messa a punto richiede un altro anno di attesa, in cui la casa bolognese collabora anche con la Bosch per risolvere i problemi di accensione. Nel 1979 la Pantah viene finalmente omologata e lanciata sul mercato. L’estetica è curata da Marco Cuppini, cestista dell’ambiente bolognese con una forte passione per le moto; è lui stesso a scegliere anche il nome: “Pantah”, contrazione di pantera. Il design, lo stile del telaio a traliccio, il sound del motore: con la Pantah la Ducati fonda le basi su cui costruirà il suo successo negli anni futuri, segnando così l’inizio di una nuova era, che tra l’altro coincide con la fine della gestione statale dell’azienda.

L’eredità della Pantah

Il successo della Pantah risolleva le sorti della casa di Borgo Panigale; viene prodotta in diverse cilindrate, 350, 500, 600 e 650, tra il 1979 e il 1984. La generazione di Ducati ispirate alla Pantah si apre con la 600 TT2, moto che diventa assoluta protagonista negli anni Ottanta. Il telaio a traliccio, per la prima volta impiegato su una moto da competizione, è chiaramente ispirato dalla Pantah, ma viene adattato ai regolamenti del Campionato mondiale Formula TT, in cui la 600 TT2 trionfa consecutivamente per quattro anni tra il 1981 e il 1984 nelle mani del britannico Tony Rutter; questo anche grazie al ruggente propulsore, oggetto di una modifica che lo spinge fino a una cilindrata di 597 cc

La Ducati 600 TT2 che vinse per quattro anni di fila il Campionato del mondo Formula TT
La Ducati 600 TT2 che vinse per quattro anni di fila il Campionato del mondo Formula TT (source: ducati.com)

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