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Una gara da Mito – Le Mans 1999, la prima di BMW e l’ultima di Pierluigi Martini

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Dal manuale del campione del volante – Capitolo 38: “Come chiudere in bellezza una carriera”

Si potrebbe riassumere così la 24 Ore di Le Mans 1999, competizione che ha chiuso la carriera agonistica di un grande campione della Motor Valley come Pierluigi Martini.

E’ il 1999. Quattro anni dopo il ritiro dalla Formula 1, Pierluigi Martini è impegnato nelle gare dedicate alle vetture sport prototipi. E’ alla sua quinta Le Mans, che ha deciso che sarà anche la sua ultima gara, anche se non lo sa nessuno. Dall’anno precedente è impegnato con BMW, protagonista dal 1998 come costruttore nella massima categoria della 24 Ore di le Mans, dopo averla vinta da motorista nel 1995 equipaggiando la mitica McLaren F1 GTR.

La casa bavarese infatti aveva deciso nel ‘97 di produrre un suo prototipo, in collaborazione con la Williams, dato il ritiro della McLaren e delle sue F1 GTR a causa della scarsa competitività della vettura. Per farlo, si affidò a piloti di assoluto valore ed esperienza, come Hans-Joachim Stuck, Joachim Winkelhock e Yannik Dalmas, e giovani campioni sulla rampa di lancio come Tom Kristensen, reduce dalla vittoria nel 1997. Per portare avanti il programma di sviluppo fu scelto anche Pierluigi Martini, che aveva partecipato alla classica francese nel 1984 su Lancia e nel ‘96 e ‘97 su Porsche, avendo visto la scacchi solo una volta, nel 1997, concludendo all’ottavo posto assoluto.

Nel 1998 l’avventura della casa di Monaco di Baviera si chiuse con un doppio ritiro e le speranze di vittoria vennero riposte tutte nell’edizione 1999. I tedeschi volevano concentrare tutte le loro risorse per il ritorno in Formula 1, che sarebbe avvenuto nel 2000.

 

La partenza della 24 Ore di Le Mans 1998 (Source: motoremotion.it, copyright: Massimo Campi)

 

1999: L’odissea Mercedes alle Hunaudières

In quell’edizione l’interesse delle case costruttrici per la gara raggiunse il culmine. Nella categoria regina, la Le Mans Prototype, che si distinguevano tra vetture modello barchetta con l’abitacolo aperto, e chiuse, erano presenti Audi, BMW, Ferrari, Lola, Mercedes, Nissan (la quale partecipava con due modelli di auto diversi), Panoz, Riley e Toyota. Ben nove marchi erano rappresentati, un unicum nella storia della maratona de la Sarthe.

L’edizione 1999 è passata alla storia come quella delle Mercedes ‘volanti’. Le CLR della Casa di Stoccarda, infatti, avevano pochissima resistenza all’avanzamento, era molto lunga (4890 mm) ma con il passo cortissimo (2670 mm) e si affidava al carico aerodinamico generato dal posteriore della vettura. Per aumentare la velocità massima, l’assetto era quasi neutro, (-0,7°) quindi poco picchiato all’anteriore. Questo insieme di fattori, uniti ad alcuni dossi allora presenti nel rettilineo delle Hunaudières e le eventuali scie delle vetture che la precedevano, fecero sì che l’avantreno iniziò a divenire portante. L’intera vettura diveniva quindi un’autentica ala e spiccava letteralmente il volo. Successe tre volte: una volta durante le qualifiche del giovedì e una durante il warmup del sabato, sempre con Mark Webber alla guida e una durante la gara. Mercedes fu quindi costretta a ritirare il prototipo superstite, onde evitare ulteriori problemi.

 

Il volo della Mercedes numero 4 di Mark Webber (Source: roadandtrack.com, copyright: unknown)

 

La lotta serrata tra Toyota e BMW, entrambe alla ricerca della prima vittoria assoluta

Al sabato, le Toyota partivano in testa, con la numero 1 dell’equipaggio Collard-Brundle-Sospiri in pole position. Insieme alla vettura gemella numero 2 battagliarono ad inizio gara con le due Mercedes, fino all’incidente già citato che coinvolse la CLR di Dumbreck, che finì nel bosco a lato delle Hunaudières, costringendo al ritiro precauzionale della Mercedes numero 6 superstite. Nel frattempo la BMW numero 17, guidata da Kristensen insieme a JJ Lehto e a Jorg Muller, si inserì nella lotta per la leadership, aiutata dal minore consumo del propulsore bavarese. E’ proprio il caso di dire che i tedeschi sanno bere solo nei momenti più opportuni.

Dopo la Safety Car entrata per ripristinare la pista (e le sue immediate vicinanze) a causa dell’incidente occorso a Dumbreck, si ritirò la Toyota numero 1, vittima di un’uscita di pista a causa di una foratura, fermandosi poi ad Arnage dopo aver tentato di rientrare ai box per le opportune riparazioni. La battaglia per la vittoria continuò a coinvolgere la BMW numero 17 e la Toyota numero 2, seguite dalla BMW numero 15 e dalla Toyota numero 3. Le Toyota avevano un miglior passo, ma consumava molto di più rispetto alle rivali della Casa dell’elica, che guadagnavano secondi facendo stint più lunghi. Alle due di notte Boutsen, alla guida della numero 2, uscì di strada ad alta velocità sotto il ponte Dunlop e uscì sofferente dai rottami della sua auto. Questo crash si rivelerà poi essere la causa del ritiro del pilota belga dalle competizioni.

All’alba della domenica la BMW numero 17 era in prima posizione, con un vantaggio di ben quattro giri dall’auto gemella. Al mattino Lehto fu vittima di un guasto meccanico che lasciò accelerato il suo prototipo. Andò a muro alle curve Porsche e la sua gara terminò lì. In quella che divenne una corsa ad eliminazione, come spesso succede nelle gare endurance, rimasero in lotta la BMW numero 15 e la Toyota numero 3, guidata dall’equipaggio tutto giapponese formato da Ukyo Katayama-Keiichi Tsuchiya-Toshio Suzuki, secondo in graduatoria e distanziato di quasi un giro.

La fine della corsa ce l’ha raccontata nel 2019 direttamente Pierluigi Martini, al microfono di Claudio Fargione: “Alle 12 avevo finito i miei stint. A poco più di tre ore dalla fine arriva Gerhard Berger, che era il mio capo all’epoca, a chiedermi se potevo finire la corsa perché i miei compagni erano scoppiati. Mi cambiai e risalii in macchina, con tutto il box BMW che mi incitava perché avevo Katayama alle costole. A loro interessava solo vincere, non volevano un piazzamento. Furono due ore e mezza da qualifica. Per strategie Toyota non cambiò le gomme all’ultima ora, per crearmi pressione. Ero riuscito a portarli a venti secondi di distacco ma, non sostituendo gli pneumatici, me li ritrovai dietro. Con questa scelta ebbero un esplosione di una gomma a tre-quattro giri dalla fine e, nonostante avessi riportato a 20 i secondi di vantaggio, riuscii a vincere la gara. Fu molto sofferta, molto intensa. Uno dice ‘è una ventiquattr’ore’, ma già quando correvo io partivi al massimo e finivi al massimo. Sono gara di durata, ma in realtà sono gare sprint. Fu una bella Le Mans”.

 

Da sinistra Winkelhock, Dalmas e Martini celebrano il successo sul gradino più alto del podio (Source: f1world.it, copyright: LAT Images)

 

La vittoria più dolce

La BMW raggiunse il suo obiettivo e si ritirò al termine della stagione come scuderia ufficiale, potendo dedicare anima e corpo alla nascente avventura in Formula 1, sempre in partnership con la Williams. Per Pierluigi Martini fu l’ultima gara della sua vita: “Quella fu la ciliegina sulla torta per me, baratterei quel successo solo con una vittoria in Formula 1 a bordo di una MinardiAvevo già detto prima della partenza al mio amico Beppe, che mi seguiva in tutte le gare, che sarebbe stata la mia ultima corsa. Iniziavo a fare troppi ragionamenti durante il giro. Avevo a casa due bambini, una di due anni e il piccolo di dieci mesi. La cosa mi pesava un po’. Le Mans era un po’ ‘vigliacca’: potevi fare tutti i test che volevi, ma le caratteristiche della pista facevano sì che i venti km/h che si raggiungevano in più a Le Mans fossero poi fonte di problemi meccanici, sin dalle prime prove. Avevo già visti troppi incidenti importanti, quindi decisi che fosse l’ultima. Andò poi bene. Quell’anno le macchine decollavano,” continua Martini. “Le qualifiche non mi interessavano, avevo già fatto la pole nel ‘96. In qualifica mi superò una Mercedes nel rettilineo lungo e decisi di prenderne la scia. Appena mi accodai, mi accorsi, per esperienza, di non aver più lo sterzo in mano, quindi frenai e feci solo il sesto tempo. Però mi salvai. Fossi stato inesperto e accecato dalla scia, sarebbe bastato un secondo in più e mi sarei ritrovato in volo”.

In realtà quella volta il volo Pierluigi Martini lo fece con la sua BMW, quello nell’Olimpo del Motorsport.

 

Pierluigi Martini racconta la sua esperienza a Le Mans (Copyright: Auto Motor Fargio)

 

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