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Chiacchiere da Bar…bieri – La 24 Ore di Le Mans 2021, un mito “dimenticato”

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Sono passate poche ore dal momento più triste dell’anno per un appassionato di motorsport che va oltre alle sole Formula 1 e MotoGP, ovvero il momento in cui la bandiera a scacchi pone fine all’annuale edizione della 24 Ore di Le Mans. Sì, triste, perché è l’istante in cui quell’appassionato capisce che dovrà attendere altri 364 giorni (o 365, negli anni bisestili) per toccare con mano la storia dell’automobilismo.

E’ un momento malinconico da vivere davanti alla TV, edulcorato dalle giuste celebrazioni per i vincitori, potete figurarvi come sia sulle tribune del rettifilo dei box del Circuit de la Sarthe, che improvvisamente ammutolisce di colpo, dopo ventiquattr’ore nelle quali l’unica colonna sonora è stata quella di oltre cinquanta auto che si danno battaglia sul filo dei 300 chilometri orari.

La 24 Ore di Le Mans è una delle corse più antiche e celebri del mondo, istituita da folli pionieri del motorsport negli anni venti e proseguita fino ai giorni nostri. Sull’iconico Circuit de la Sarthe, sensibilmente modificato durante gli anni, si sono scritte pagine felici e tristi delle competizioni automobilistiche: tante vite sono state spezzate mentre cercavano la gloria eterna, mentre tante esistenze sono state rese immortali per gli appassionati. E’ difficile spiegare perché questa gara sia così speciale, ci sono fior fior di libri che ve lo possono fornirvi aneddoti e fatti che vi faranno capire cosa significa questa maratona francese per l’automobilismo.

La prima edizione della 24 Ore di Le Mans datata 1923 (Source: eurosport.it, copyright: Foto Imago)

 

L’ingresso a Le Mans: la storia ti abbraccia e ti prende per mano

Sin dal primo momento, davanti all’ingresso del Circuit de la Sarthe, si capisce di essere dinanzi a un autentico monumento. Non è indispensabile far visita al museo dedicato per comprenderlo. La sola vista del tracciato e degli appassionati festanti sin dal venerdì permettono di sentirsi parte di qualcosa di grandioso. Il venerdì a Le Mans è giorno di pausa, di spasmodica attesa. Solitamente (pandemie permettendo) si svolge la pit walk in circuito, dove i fan possono osservare da vicino gli ultimi preparativi dei team, mentre nel centro della città francese si svolge la drivers parade, durante la quale i piloti sfilano tra due ali di folla raggiante. Il Circuit de la Sarthe è attualmente lungo oltre tredici chilometri e si snoda soprattutto su strade dedicate al normale traffico cittadino. E’ quindi possibile, sia tra una sessione di prove e l’altra che il giorno prima della gara, guidare con il proprio mezzo o percorrere a piedi lungo quelle strade che trasudano storia da ogni grano di asfalto, scoprendo tutte le insidie che questo tracciato nasconde.

L’ingresso del Circuit de la Sarthe: il portale per la storia delle corse (Copyright: lemans.org)

 

Al sabato il tutto si amplifica, in maniera esponenziale ad ogni minuto che passa, in attesa dell’inizio. Il Nirvana viene raggiunto durante il rituale che precede il via della gara. Il trofeo che verrà consegnato al costruttore vincente sfila a bordo di una vettura scoperta, il tricolore francese con il quale lo starter darà l’inizio alle danze viene calato da un elicottero dell’aviazione transalpina e, successivamente, la pattuglia acrobatica francese squarcia il cielo di Le Mans con i colori blu, bianco e rosso. Lo starter annuncia ai piloti, già dentro le loro vetture disposte a lisca di pesce, che possono avviare i motori: ha inizio il giro di ricognizione. Circa dieci minuti dopo, le vetture torneranno sul rettilineo di partenza, con il rombo dei motori che si mischierà indissolubilmente alle note di “Also Sprach Zarathustra” di Strauss, a simboleggiare l’epicità del momento. E’ il trionfo della Grandeur francese. E chissenefrega se i nostri cucini d’oltralpe ci stanno un po’ sulle scatole: quando son bravi, son bravi. Chapeau.

A Le Mans le ore scorrono veloci, tra una passeggiata in cerca di qualche memorabilia solitamente introvabile nei mercatini dietro le tribune centrali, una sosta nei numerosi punti ristoro e uno sguardo alla pista e alla classifica E’ d’obbligo avere sempre Radio Le Mans all’orecchio, pronti a cogliere un improvviso quanto certo terremoto che sconvolgerà la corsa. Sì perché durante la notte, alla ricerca di un punto ideale per vedere la gara da un’altra prospettiva, ti può capitare di sentire urlare alla radio due volte a distanza di poco tempo, con il cronista che annuncia il doppio ritiro di due delle tre Toyota in corsa per il successo, sfuggito incredibilmente l’anno prima a quattro minuti dal termine. Può anche capitare che, passeggiando nel paddock, ti sfiori un incazzato Nicolas Lapierre, che ha appena abbandonato l’abitacolo della sua Toyota numero 9, vedendosi infranto ogni sogno di gloria.

Le Mans è così, la storia ti sbatte addosso senza che tu te ne possa accorgere.

Non mi ero mai trovato in un vortice automobilistico simile. Dopo oltre cinque stagioni in pista, da commissario di percorso, mi sembrò di non aver mai visto una gara prima di quel momento. E’ questo l’effetto che ti fa la storia, quando la respiri a pieni polmoni. Questa sensazione si amplifica quando ti porti a qualche decina di metro dalla pista in pieno rettilineo delle Hunaudieres, in mezzo alla foresta. Rimasi qualche minuto a guardare, avvolto dalle tenebre, le auto che si sfiorano a trecento chilometri all’ora, con le vetture più veloci che doppiano quelle più lente, con i piloti attentissimi a non rovinare la propria gara. Davanti a quella folle danza, ho creduto per più di un momento di non essere mai stato in realtà in una pista prima di quel momento. Ho anche creduto di poter morire da un’istante all’altro, ad essere sincero, capendo che la mia esistenza non sarebbe più dipesa da me, ma dall’abilità dei piloti impegnati su quel rettilineo.

Le Mans è così, ti colpisce con una violenza inaudita, ti sveglia dal tuo torpore e ti fa capire che non hai capito proprio un cazzo. Già, perché, in fondo, a uno che è nato e cresciuto a Imola, a cinquecento metri da un Autodromo storico come l’Enzo e Dino Ferrari all’interno del quale alla storia devi dare del Voi, cosa gli vuoi spiegare? Eh…

 

Il nostro Claudio Fargione racconta la sua (e la mia) esperienza alla 24 Ore di Le Mans 2017 (Copyright: Auto Motor Fargio)

 

Mission 2023: far (ri)scoprire all’Italia e agli italiani una della gare più belle del mondo

Cosa gli vuoi spiegare? A quel ragazzo gli spieghi che la Formula Uno non è tutto. La Formula Uno non è il motorsport. C’è tanto altro.

Io non so se sia un’abitudine tutta italiana quella di considerare solo una specifica disciplina dello sport e tralasciare tutto il resto. C’è sempre qualcosa che fagocita tutto. Il calcio fagocita praticamente il resto dello sport, del quale ci ricordiamo solo venti giorni ogni quattro anni, così come F1 e MotoGP, all’interno di quella piccola nicchia, pasteggiano con tutto il resto del motorsport. Non vi so dire il motivo, non so nemmeno se sia così anche in altre nazioni del mondo. Fatto sta che, nel nostro Belpaese, la 24 Ore di Le Mans è una gara che solo pochi appassionati sembrano conoscere, visti da tutto il resto della nazione come un gruppetto di decerebrati che passano un giorno intero a guardare un fottìo di macchine che si inseguono disperate in tondo, buttando tutti insieme in allegria nel cassonetto un giorno prezioso della propria esistenza, piuttosto che andare al mare.

In base alla mia esperienza posso dire che, in Italia, anche i non appassionati sanno cosa sia la Formula 1. Inspiegabilmente, di contro, gli appassionati della Formula 1 non conoscono la 24 Ore di Le Mans. A molti di loro non interessa nemmeno saperne di più. Sarò elitario ma, avendo fatto parte fino a poco tempo fa di quest’ultima schiera di persone, considero questo atteggiamento un vero e proprio analfabetismo automobilistico.

Io non c’ero negli anni in cui la Ferrari asfaltava i propri concorrenti in terra francese. Non c’ero nel periodo in cui Enzo Ferrari considerava la 24 Ore di Le Mans una gara importante più dell’intero mondiale di Formula 1. Era un’altra epoca, certo. Il Circus delle monoposto esisteva da poco più di dieci anni, la Le Mans da quaranta. Sono però certo che all’epoca l’attenzione degli appassionati fosse uguale sia per la Formula 1 che per la celebre maratona transalpina. Ora non è più così. I grandi media hanno spostato l’attenzione verso altri lidi, risparmiandosi la fatica di spiegare agli appassionati il perché questa gara è un monumento da studiare, ammirare e preservare. Quell’energia è stata poi usata per trattare alcuni campionati alla stregua delle peggiori soap opera, ma vabbè. Nel frattempo si sono smarriti nell’etere i grandi successi assoluti e di categoria di moltissimi piloti italiani e case italiane. Tanti “appassionati” definiscono “uno che non capisce nulla di corse”  un cinque volte vincitore della 24 Ore di Le Mans come Emanuele Pirro. E’ una cosa che non è possibile tollerare.

Mi racconta l’amico Claudio Fargione che, alla sua prima volta a Le Mans, incontrò Pirro nel paddock. Gli disse che il giorno dopo avrebbe fatto il commissario. Pirro chiese: “in che zona della pista?” Claudio: “Alle Hunaudieres.”  Pirro trasalì, capendo il rischio che avrebbe corso il giorno seguente. A Le Mans c’è anche rispetto, di tutti verso tutti. Forse è questo che rende ancor più incomprensibile questa corsa agli occhi dei fan superficiali.

Io non credo alla storia che i media si spostano dove vuole il pubblico. E’ il contrario: il pubblico rivolge l’attenzione là dove i media puntano i propri occhi di bue. Non credo nemmeno che l’audience possa essere maleducata di suo. Lo spettatore si può, e si deve, educare a seguire in maniera adeguata una manifestazione sportiva. E’ per questo che credo e spero che, a partire dal 2023, con il ritorno della Ferrari nella lotta per la classifica assoluta a Le Mans, si riesca a far riscoprire agli italiani l’inestimabile valore di questa corsa, che tanto onore ha dato anche alla nostra Motor Valley, e degli italiani che hanno compiuto l’impresa di conquistarla.

 

La Ferrari 250 LM taglia il traguardo, vincendo la 24 Ore del 1965. E’ stato l’ultimo trionfo assoluto a la Sarthe (Source: snaplap.net Copyright: unknown)

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