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I racconti del Commissario – Una Brabham “ventilata”
Lauda non basta
Anderstorp, 17 giugno 1978. Sul circuito scandinavo si disputava quella che sarebbe stata l’ultima edizione del Gran Premio di Svezia. Le Lotus 79 di Mario Andretti e Ronnie Peterson dominavano il mondiale grazie alle fiancate ad ala rovesciata sigillate a terra dalle “minigonne” laterali, costringendo le altre scuderie a rincorrere. Bernie Ecclestone stava costruendo la sua scalata ai vertici della Formula 1, ma in primis era ancora il “patron” della Brabham. Il manager britannico aveva appena strappato alla Ferrari il campione del mondo Niki Lauda grazie alla generosa sponsorizzazione di un finanziatore della Motor Valley, la Parmalat di Callisto Tanzi. Non potendo permettersi di venire surclassato in pista chiese al suo progettista Gordon Murray di applicare l’effetto suolo alla monoposto esistente ed il talentuoso tecnico sudafricano si mise al lavoro. Fu così che in Svezia arrivò la Brabham BT46
Un’idea geniale
Murray aveva dovuto aggirare un problema di non poco conto: la BT46 nasceva con il motore Alfa Romeo 115-12 nato per i prototipi e quindi adattato alla Formula 1. Un “cuore” capace di 540 cavalli a 12000 giri/minuto ma con un problema fondamentale: era un 12 cilindri piatto, architettura che non consentiva la realizzazione dei canali Venturi ai lati del telaio per sfruttare l’effetto suolo. Murray con gli assistenti Anderson e Cox ebbe un’idea: non potendo creare naturalmente la depressione sui lati della vettura, la si sarebbe creata artificialmente aspirando l’aria dal fondo dopo averlo sigillato a terra. Come? Utilizzando un’enorme ventola mossa da una cinghia dentata verticale e posizionata sul posteriore della vettura. Questa cinghia era inserita in una puleggia collegata all’alberino primario del cambio attraverso un riduttore tarato al 25%. Il ventilatore era tenuto da due cuscinetti posti sulla culatta e carenato dalla carrozzeria, mentre il retrotreno era perfettamente sigillato da bandelle a 45° ed anteriormente da un “cuscino” di kevlar che con la velocità si gonfiava garantendo la tenuta.
Ai confini della legge
Il sistema appariva molto ingegnoso ma c’era un “però” grande come una casa. Il regolamento dal 1969 vietava qualsiasi dispositivo aerodinamico mobile che avesse un effetto aerodinamico sulla monoposto, a patto che la sua funzione primaria non fosse diversa. Murray fece posizionare sopra il motore un unico radiatore per l’acqua spacciando la ventola come sistema di raffreddamento per questo particolare. Con questa giustificazione la CSI (Commissione Sportiva Internazionale) legalizzò la BT46 B, che si presentò in Svezia nell’incredulità generale. In realtà altri particolari rendevano illegali le Brabham. Le bandelle di tenuta applicate ai portamozzi per seguire le oscillazioni delle ruote erano in pratica dispositivi aerodinamici mobili, mentre il ventilatore assicurava anche un certo effetto a reazione “sputando” aria dal posteriore, contravvenendo alla norma che delegava la trazione alle sole ruote motrici. Ma nessuno ci fece troppo caso.
Punto di non ritorno
La validità della soluzione fu subito evidente. Appena accesa la monoposto venne schiacciata a terra dal risucchio creato dalla ventola. I meccanici dovettero correre ai ripari montando molle più dure, evitando così che il fondo si distruggesse strisciando sulla pista. In ogni caso le Brabham erano incollate all’asfalto come delle enormi ventose applicate sui curvoni di Anderstorp, con un vantaggio incolmabile sulle concorrenti. Per non destare sospetti, Murray fece scendere in pista Lauda e Watson a qualificarsi con gomme dure ed il pieno di benzina, ottenendo comunque il secondo e terzo tempo. L’attivazione della ventola con il collegamento all’alberino del cambio costava una cinquantina di cavalli, ma il guadagno in aderenza compensava ampiamente la perdita di potenza. Fu un passaggio epocale: l’aerodinamica stava prendendo il sopravvento sulla meccanica in un processo irreversibile.
Giorgio Piola spiega il concetto tecnico alla base della Brabham BT46 B (Alfetta Unocinquenove su YouTube)
Una gara senza storia
Alla partenza le Brabham erano pronte a sfruttare le potenzialità del ventilatore senza forzare i tempi. Per i primi trentotto giri infatti Mario Andretti menò le danze, mentre alle sue spalle Niki Lauda lo controllava dopo avere sopravanzato il compagno Watson al via. Alla tornata numero trentanove si giunse all’ episodio decisivo: Andretti scivolò in curva sull’olio perso dalla Tyrrell di Didier Pironi, mentre la Brabham accelerò anche sulla superficie viscida, schiacciata a terra dalla depressione creata sul posteriore dal ventolone. Andretti si ritirò al quantasettesimo giro per il cedimento del motore e la gara virtualmente finì lì, con Lauda che chiuse primo davanti all’Arrows di Patrese ed alla Lotus di Peterson.
La sparizione misteriosa
Ovviamente dopo la vittoria le polemiche esplosero: se il ventilatore fosse rimasto legale tutte le squadre sarebbero avrebbero realizzato dispositivi simili ma sempre più sovradimensionati, mentre le velocità raggiunte in curva avrebbero reso inadeguate le vie di fuga e messo a repentaglio la tenuta degli pneumatici. Inoltre il “ventolone” sparava sassolini e sporco sollevato verso gli inseguitori, come aveva fatto subito notare Andretti. Lauda invece si limitò ad affermare che se lo sporco veniva “sputato” dalla sua vettura non era certo colpa della monoposto quanto della pista che doveva essere pulita. Ecclestone, da abile politico, tentò di mantenere invariata la situazione tecnica fino all’1 agosto successivo (cioè per altre tre gare in cui le Brabham sarebbero state imprendibili) ma alla fine accettò le decisioni della CSI senza battere ciglio. Il 23 giugno il ventilatore venne dichiarato illegale, pur convalidando il risultato del Gran Premio di Svezia. A posteriori è difficile pensare che Bernie non fosse riuscito ad ottenere una valida contropartita politica in cambio della messa al bando delle sue imprendibili vetture “soffiate”, ma non lo sapremo mai. Al termine di questa storia restò comunque una sola parte lesa. Nei giorni della gara infatti un albergatore di Gislaved denunciò alla polizia un furto piuttosto singolare: erano stati rubati i coperchi dei contenitori della spazzatura davanti al suo hotel. Curiosamente essi avevano la stessa forma e diametro di quelli utilizzati dalla Brabham per tenere al riparo dagli sguardi indiscreti le grandi ventole montate al posteriore delle BT46. Secondo voi c’è un collegamento tra i due fatti? Per informazioni, citofonare Ecclestone.
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