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Una gara da Mito – GP del Brasile 2007, Kimi e Ferrari sul tetto del mondo

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Faccio una premessa: questo appuntamento con “Una gara da mito” non può limitarsi al racconto di una singola gara, che fu l’ultimo atto di un’annata storica per diversi motivi. Prima di fiondarci a Interlagos per rivivere quella corsa thrilling, è necessario fare un passo indietro, immergendoci in quella che fu una delle stagioni più caotiche e convulse della storia della Formula 1 moderna, durata oltre un mese dopo l’ultima goccia di champagne versata sul podio. 

 

Prologo di una stagione incredibile 

La Formula 1 nel 2007 visse un anno particolare, sin dalla fase pre-stagionale. Era il primo campionato, dopo sedici anni, senza Michael Schumacher, il grande mattatore dell’era post Senna e Prost. Il nuovo recordman per titoli vinti non catalizzava più l’attenzione di tutti, lasciando così largo ai giovani. Gli occhi erano dunque puntati su diverse novità: Fernando Alonso, dopo la conquista dei suoi primi due titoli mondiali, salutò Briatore e la Renault per passare alla corte di Ron Dennis in McLaren. Chi lasciò Woking e l’Inghilterra fu Kimi Raikkonen, erede designato del Kaiser come prima guida a Maranello. 

Le previsioni davano per scontata una lotta a due tra lo spagnolo e il finlandese, con entrambi che potevano contare su scudieri del quale si diceva un gran bene. In Ferrari la seconda guida rimase Felipe Massa, brasiliano di origini italiane da tempo tra le fila del cavallino rampante che debuttò in rosso nel 2006, vincendo nel suo primo anno in un top team i GP di Turchia e Interlagos, nel giorno dell’ultimo ballo (per il momento, ma all’epoca un ritorno non sembrava plausibile) di Schumi. 

Le frecce d’argento potevano contare sul giovane pilota di casa Lewis Hamilton, campione uscente della GP2 Series sotto l’ala di Ron Dennis da quando era poco più di un bambino. Se ne parlava un gran bene, ma nessuno poteva immaginarsi ciò che successe sin dalle prime battute. 

 

Il passaggio di consegne sul podio di Monza 2006 tra Schumacher e Raikkonen, sotto il tripudio dei tifosi della rossa (source: ldapost.com, copyright to the owners)

 

Peggio un Lewis in casa che un Kimi alla porta 

Ho rivisitato un antico modo di dire romagnolo per riassumere il quadro che si trovò ad affrontare Fernando Alonso. Quello che sembrava essere alla vigilia un valido alleato, seppur esordiente, si rivelò essere il primo rivale alla lotta per il titolo. Hamilton, dopo quattro gare, fu il primo rookie nella storia a comandare in solitaria la classifica di un mondiale della massima formula. Non pago, già in Canada, al sesto appuntamento stagionale, ottenne la sua prima vittoria, coronata dalla prima pole position siglata al sabato, prestazione bissata una settimana più tardi a Indianapolis. Nelle settimane successive la Ferrari tornò a farsi sotto, dopo un ottimo inizio di stagione e successiva flessione, in Francia e Gran Bretagna grazie alle due vittorie colte da Raikkonen. 

Tra la gara di Magny-Cours e quella di però, iniziò a esplodere un caso destinato a passare a segnare la storia del motorsport. 

 

 

Il campione e l’esordiente: l’idillio tra i due durò come un gatto in tangenziale (source: formulapassion.com, copyright to the owners)

 

La spy story e la guerra anglo-ispanica 

In un clima che stava cominciando a diventare sempre più teso, deflagrò una bomba. Ci sarebbe da versare fiumi di caratteri su questa faccenda, ma sarò breve. Prima della gara di Montecarlo la Ferrari scongiurò un tentativo di sabotaggio delle vetture, eseguito mettendo una polvere all’interno del serbatoio delle F2007. Dopo una perquisizione, le tracce della sostanza chimica ricondussero l’accaduto a Nigel Stepney, ingegnere della scuderia della Motor Valley infastidito per non essere stato nominato direttore tecnico al posto di Ross Brawn al termine del 2006, dopo avere per anni avuto un ruolo chiave nella progettazione delle auto che hanno caratterizzato l’epoca d’oro del cavallino. 

Quello fu solo il culmine di una vicenda molto più grande: l’ingegnere inglese, infatti, trafugò interi progetti passandoli al conoscente Mike Coughlan, anch’esso ingegnere ma assunto presso la McLaren. Fu un autentico cataclisma che scosse un’industria estremamente sensibile alla segretezza delle informazioni tecniche. Come se non bastasse, durante le qualifiche in Ungheria Alonso ostacolò appositamente Lewis Hamilton ai box, impedendogli di compiere un secondo giro veloce, conquistando così la partenza dal palo. 

 

 

L’ingegnere Nigel Stepney al muretto Ferrari (source: fuoritraiettoria.com, copyright to the owners)

 

21 ottobre: il giorno del giudizio

Il campionato proseguì con un occhio alla pista e un orecchio alle vicende giudiziarie, con colpi di scena degni di un film giallo. Si scoprì che Alonso sapeva delle informazioni in possesso di Coughlan, con il tester Pedro de la Rosa che faceva da tramite tra il pilota e l’ingegnere. A settembre, dopo che la FIA ebbe modo di appurare che in McLaren i piani alti sapevano molto di quanto accaduto, vennero tolti tutti i punti iridati nella classifica costruttori alla scuderia retta da Dennis. 

Per salvare la stagione e la faccia rimaneva un solo obiettivo: vincere la classifica piloti. 

Arrivati a San Paolo, per la prima volta dall’86 erano tre i piloti in lizza per il titolo prima dell’ultima gara: Hamilton comandava la graduatoria con 107 punti, frutto di quattro vittorie, cinque secondi posti e tre terzi. Secondo c’era il compagno di scuderia Alonso con 103 punti, maturati grazie a quattro vittorie, quattro secondi e tre terzi. Attardato di tre punti si trovava l’ultimo contendente, quel Kimi Raikkonen per la terza volta in lotta per l’iride. Era colui che aveva vinto di più, cinque; a corollario poteva contare su due argenti e quattro bronzi di gara. 

Nella gara precedente Lewis Hamilton, con la complicità di un’azzardata strategia del muretto McLaren, aveva sprecato il suo match point sulla ghiaia della via di fuga di ingresso pit-lane a Shanghai quando, in condizioni di pista via via sempre più asciutta, perse il controllo della sua MP4-22 con gli pneumatici consumati fino alle tele. Nonostante ciò, c’era ancora margine per diventare il primo esordiente (eccetto Nino Farina, naturalmente) a diventare Campione del Mondo F1. 

Alla partenza Hamilton, scattato al fianco di Massa in seconda posizione, si fece infilare da Raikkonen partito terzo accanto ad Alonso, che superò anch’esso il compagno-rivale britannico. Preso dalla foga di rimonta, Hamilton tentò subito di riguadagnare posizioni, incappando in un errore alla Descida do Lago che lo relegò in ottava posizione. Dopo aver guadagnato due posizioni, all’ottava tornata Hamilton accusò un clamoroso problema al cambio, forse anche derivato da una sua disattenzione. L’inglese, candidato ad essere anche il primo pilota di colore a vincere il titolo, sprofondò diciassettesimo, perdendo in quel frangente trenta secondi. 

Davanti le Ferrari si involarono con Massa seguito da Raikkonen mentre Alonso era terzo, momentaneamente primo nel mondiale. Ma consapevole che, se non fosse riuscito a riacciuffare le due rosse, non sarebbe stato lui a scrivere il suo destino. Cominciò la girandola dei rifornimenti e cambi gomme, con le soft che non offrirono grandi prestazioni alle McLaren-Mercedes. Mentre le Ferrari decisero di adottare una strategia a due soste che premiò Raikkonen, passato primo, Hamilton tentò la tattica con tre fermate ai box, conscio di dover compiere tutti giri da qualifica. Alonso non riuscì a ricucire lo strappo con i due ferraristi e Raikkonen tagliò per primo il traguardo, seguito da Massa e Alonso. Non era finita però, bisognava conoscere il piazzamento di Hamilton per capire chi potesse festeggiare. Il nativo di Stevenage non guadagnò i secondi necessari per riportarsi alle spalle di Nick Heidfeld e Robert Kubica, inseguiti come una chimera per tutto l’ultimo stint. Kimi Raikkonen era, in maniera insperata e rocambolesca, il campione, anche grazie a Felipe Massa, lui sì, vero scudiero e uomo squadra. Celebre fu il team radio dell’ingegnere Chris Dyer ad Iceman: “By my calculations we win the championship by one point”. Incredibile ma vero. L’anno dopo però, sarebbe stata un’altra storia.

Gli ultimi giri di gara e la festa Ferrari, (source: YouTube – Emanuele Monti, copyright to the owners)

 

Il podio surreale e il possibile terremoto post-gara

La scena del podio fu surreale per tutti gli spettatori. Raikkonen festeggiava gara e campionato con il compagno Massa e insieme ad Alonso che, seppur battuto, era sorridente. Sembrava felice. Da separato in casa, l’ultima cosa che voleva vedere era la faccia trionfante di Ron Dennis e del suo protetto Hamilton, cresciuto sin da piccolo come un figlio. 

Nella tarda serata italiana, si raggelò però il sangue di una buona parte dell’ambiente del Circus. Le temperature delle benzine all’interno delle Williams e delle BMW erano oltre i parametri consentiti dal regolamento tecnico, garantendo un aumento di prestazione quantificabile dai cinque ai dieci cavalli. Una squalifica di queste due scuderie, con Nico Rosberg giunto quarto sotto la bandiera a scacchi, avrebbe fatto salire Hamilton al quarto posto, consegnandogli l’alloro iridato. 

Subito dopo la gara le due scuderie non furono penalizzate, ma la McLaren presentò appello, ufficialmente rigettato dalla FIA il 16 novembre 2007. Questa data sancì che, sebbene non potessero stare tranquilli con i disegni tecnici, a Maranello potevano dormire finalmente sereni. La vittoria non gliel’avrebbe trafugata nessuno. 

Anche Jean Todt sembrava incredulo nel vedere il sorriso dello sconfitto Alonso (source: maxf1.net, copyright: ferrari)

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