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Il Personaggio Della Settimana – Eugenio Castellotti
AMORE A PRIMA VISTA
Bello, ricco e aitante oltre che smisuratamente veloce. Se si dovesse trovare quattro parole per descrivere colui che è stato designato come l’erede di Ascari, queste sarebbero quelle giuste. Purtroppo con il suo idolo non condivideva solo piste e gloria, ma anche un destino simile e troppo precoce. Castellotti rientrava in quella Ferrari Primavera dove la Dea Bendata ci aveva visto anche fin troppo bene e come tutti i suoi colleghi anche lui incontrò la sua fine facendo ciò che più amava, correre più veloce di tutti.
Eugenio nacque e crebbe in una famiglia di proprietari terrieri lombarda. I soldi non furono mai un problema anzi furono il suo più grande aiuto quando a soli 13 anni si scopri un amante folle dei motori. La scintilla scoppiò quando arrivò la prima auto a casa. Una Lancia Artena, guidata dall’autista della famiglia che lo faceva giocare mettendolo sulle sue gambe e simulando la guida. Il piccolo Eugenio non arrivava ancora ai pedali, ma solo la sensazione lo inebriava di una gioia mai provata prima. La sua vita era già indirizzata agli studi, per lui suo padre aveva scelto il collegio prima a Lodi e poi a Treviglio, ma Castellotti aveva altri piani in testa. Provarono a fargli finire il percorso scolastico privatamente ma senza successo, ormai il suo cervello ruggiva come i motori delle auto da corsa e i suoi occhi disegnavano traiettorie da percorrere a tutta velocità senza mai togliere il piede dall’acceleratore. Nel 1949 venne a mancare suo padre e da quel momento Eugenio non perse l’occasione. Comprò una Ferrari con la quale prese parte alla sua prima gara in assoluto: la Mille Miglia 1951, competizione che lo renderà celebre molto più avanti. Debutta con un sesto posto al traguardo nella sua categoria e da lì cominciò a spaziare tra diverse gare. Ruote scoperte con la Formula 2 e la Formula 1, Targa Florio, Carrera Panamericana, 1000 Km del Nurburgring, 12 Ore di Sebring, 24h di Le Mans e Campionato Sportprototipi.
IL MAESTRO E L’ALLIEVO
L’incontro che gli cambiò la vita fu quello di Monza nel 1950. Presso il circuito brianzolo conobbe Alberto Ascari, all’epoca già famoso e idolo del giovane Castellotti. Il pilota milanese rimase colpito dalla voglia straripante del ragazzo di voler diventare un pilota da corsa. Fu proprio quel momento che fece sparire ogni dubbio rimasto. Dopo aver conosciuto Ascari, Eugenio comprò l’auto con la quale corse per la prima volta, convincendo anche la madre a mettere da parte i suoi timori. Castellotti inizia così a farsi conoscere, per il suo stile ricordava Nuvolari, mentre il suo maestro lo seguiva nelle gare, osservandolo dallo specchietto per cogliere tutto ciò che non gli piaceva e poi riportarglielo a fine corsa per aiutarlo a crescere. Ascari lo prese sotto la sua ala e oltre ad un amico divenne un vero e proprio mentore per Eugenio che cercava di carpire i segreti di un grande campione. Sotto la sua supervisione Castellotti divenne sempre più forte e rapido, una vera spina nel fianco per tutti i suoi avversari, ma nel 1955 ancora una volta il destino giocò la carta dell’imprevisto. Ascari andò a Monza a trovare Eugenio e Luigi Villoresi che stavano provando la Ferrari 750 per il Gran Premio successivo. Alberto non doveva salire in macchina in quanto aveva addosso ancora i postumi dell’incidente di Monaco, ma la voglia fu troppa. Chiese a Castellotti di prestargli i vestiti e il casco per fare un giro, del quale non vide mai la fine. Per Castellotti fu un colpo durissimo e continuò a correre solo aggrappandosi a quel sogno di diventare un campione automobilistico, anche nel nome dell’amico scomparso che per lui significava molto di più.
Eugenio Castellotti insieme alla madre che lo seguiva sempre alle gare quando si tenevano nelle vicinanze di casa – Credits to Scuderia Castellotti
UN GIRO ANCORA
Il 1956 fu l’anno della sua consacrazione. Dopo aver debuttato in Formula 1 l’anno precedente con la Lancia D50 per poi finire la stagione sul sedile della Rossa di Maranello, nella stagione successiva arrivano le prime grandi vittorie. Vince la 12 Ore Sebring su una Ferrari 860 Monza insieme al maestro Juan Manuel Fangio, ma la corona che lo consacra tra i grandi è quella della Mille Miglia. Alla guida di una Ferrari 290 MM va e torna da Brescia in 11 ore e 30 minuti, un ora in meno del pilota argentino che aveva segnato la storia del motorsport. Si dice che quella macchina sembrava fatta apposta per Castellotti e i risultati gli diedero ragione. In quello stesso anno ottenne discreti risultati anche nella classe regina delle quattro ruote salendo più volte dul podio. Ormai tutti conoscevano Eugenio e la stampa italiana ne esaltava le incredibili doti in pista. Purtroppo il pilota lodigiano è riuscito a toccare il cielo per poco, prima terminare la sua corsa. Nel 1957 ebbe tempo di disputare il suo ultimo Gran Premio di Formula 1 in Argentina. Stava lottando per il terzo posto quando un problema meccanico lo costrinse al ritiro. Rientrato in Italia passa da Firenze dove la sua amata, Delia, aveva uno spettacolo. Arriva però una chiamata. È Enzo Ferrari, Castellotti deve correre a Modena, c’è il record di Fangio da battere su circuito emiliano. La Ferrari 801 è veloce, potente e risponde bene alle manovre del pilota lombardo, ma il record non arriva. La differenza andava fatta in staccata alla prima curva ed è lì che Castellotti cerca di mettere tutto sé stesso. Forse anche troppo. Al momento della frenata la macchina reagisce male e sbanda portando Eugenio fuori strada. Niente che non fosse già successo, ma stavolta a sbarrargli il percorso c’è un cartellone pubblicitario che prese in pieno. Non ci fu nulla da fare per Castellotti che morì sul colpo, come il suo maestro due anni prima in prova e con la stessa maglia di lana azzurra che i due indossavano per scaramanzia.
La Ferrari 290 MM che Castellotti guidò alla Mille Miglia del 1956 che vinse battendo il record di Fangio di un ora – Credits to Ferrari.com
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