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Il personaggio della settimana – Juan Manuel Fangio, “il maestro” che ha ispirato generazioni

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51 Gran Premi di Formula 1 disputati, 24 vittorie, 35 podi totali, 29 pole position, 23 giri veloci, 5 titoli mondiali nell’arco di otto stagioni e campione del mondo più anziano della storia, a 46 anni e 41 giorni.

Bastano questi numeri per capire che stiamo parlando di un pilastro dell’automobilismo mondiale, nonché di uno dei più forti e vincenti piloti di tutti i tempi.

Non c’è da stupirsi se, tanti piloti, nominano Juan Manuel Fangio come uno dei più grandi. Per Lewis Hamilton, tanto per citarne uno, è “un mito”.

Juan Manuel Fangio nacque a Balcarce, in Argentina, nel 1911 ed era figlio di italiani emigrati in Sud America. Le sue radici infatti sono abruzzesi e i suoi genitori provenivano dalla provincia di Chieti. Cominciò a guidare automobili all’età di dieci anni, grazie al padrone dell’officina per la quale riparava carrozze come apprendista, mentre a dodici anni iniziò a lavorare come meccanico nell’ambito dei macchinari agricoli. Nel 1924 cominciò a prendere confidenza con le automobili, lavorando in un’autoconcessionaria Ford. Il suo debutto nelle corse però arrivò più tardi. Nel frattempo, infatti, il giovane Fangio giocò come centrocampista nella squadra di calcio del Rivadavia Club, affiancando a questo sport la nobile arte della boxe.

 

Juan Manuel Fangio nell’inedita veste di calciatore. Per fortuna di tutti, passò all’automobilismo (credits carburando.com, copyright unknown)

 

Il debutto nel motorsport

Il primo approccio di Fangio con le corse automobilistiche fu nel 1929, ma i risultati non furono eccezionali e le sue partecipazioni furono sporadiche, dal momento che Juan Manuel era impegnato nella sua officina meccanica, fondata insieme all’amico Josè Duffard. Alla fine del 1938, Fangio debuttò nel Turismo Carretera sotto lo pseudonimo di Rivadavia, dal nome della sua squadra di calcio. Al tempo le gare del Turismo Carretera erano vere e proprie corse a tappe che impegnavano gli equipaggi su più giorni, inoltre ogni pilota aveva un co-pilota. L’esordio di Fangio fu proprio in questa veste, ma nonostante questo si trovò al volante per gran parte della gara, conclusa al settimo posto finale. La sua prima gara corsa ufficialmente come pilota fu il Gran Premio Argentino, che venne interrotto a causa di una forte pioggia e ripreso successivamente con il nome di Gran Premio Straordinario della provincia di Cordoba, durante il quale si aggiudicò la quarta tappa. Questa vittoria convinse Fangio che le corse potessero dare prestigio alla sua azienda, che cominciò a svilupparsi sempre più. Nel 1940 vinse la prima gara nel Turismo Carretera, il Gran Premio Internazionale del Nord, a bordo di una Chevrolet acquistata in parte con i proventi di una lotteria. A fine anno vinse il campionato, portando il primo allora alla Chevrolet. Dopo il bis nell’edizione del 1941, la carriera motoristica di Fangio ebbe un brusco stop a causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. In questo periodo l’argentino, insieme all’amico Héctor Barragán, girò in lungo e in largo il paese per acquistare camion al solo scopo di commercializzarne gli pneumatici, che scarseggiavano. Tornò alle corse nel ‘46 a bordo di una Ford T.

In un periodo dove gli incidenti mortali erano all’ordine del giorno, era impressionate l’abilità di Fangio di evitare guai. “Quando arrivo nel punto dell’incidente riesco, piano piano piano piano piano, tic, a scivolare tra una macchina e l’altra e a scappare via”. Fu così che si salvò a Le Mans, nel terribile schianto della 24 Ore del 1955 che costò la vita a 84 persone, ferendone 120. Furono quindi pochi gli incidenti che coinvolsero “El Chueco”, “lo storto”, soprannome datogli per via delle gambe arcuate. Quello forse più grave avvenne nel 1948 durante il Gran Premio del Sud America, gara lunga ben 9.579 chilometri che si correva tra Buenos Aires e Caracas. Durante la notte a Huanchaco, in Perù, uscì di strada, rovinando in un pendio. Fangio rimase incastrato all’interno dell’abitacolo, dotato di un primitivo rollbar, e si salvò. Ebbe la peggio il suo copilota e amico Daniel Urrutia, che venne sbalzato fuori dall’auto e morì. Questo incidente fece riflettere Juan Manuel Fangio sull’opportunità di abbandonare le corse, ma decise poi di continuare.

 

Fangio e lo sfortunato copilota Daniel Urrutia (creditsfutbolfierrosytango.files.wordpress.com, copyright unknown)

 

L’incontro con Achille Varzi, lo sbarco in Europa e il primo mondiale

Facendo un passo indietro, nel 1946 Achille Varzi arrivò in Sud America per partecipare alla Temporada Argentina e, dopo la richiesta del presidente Juan Domingo Perón, il famoso pilota italiano accettò di organizzare una squadra nazionale motoristica che gareggiasse in Europa. Varzi non riuscì a vedere la nascita di quel progetto, a causa della morte nel Gran Premio di Svizzera del 1948, ma il testimone fu raccolto dal fidato Amedeo Bignami, che divenne direttore tecnico dell’Equipo Argentino. Il quartier generale della squadra venne stabilito a Galliate, presso Villa Varzi. Nel 1949 Fangio vinse sei delle dieci gare disputate in Europa trionfando a Sanremo, Pau, Perpignan, Marsiglia, Monza e Albi al volante di auto quali Maserati, Ferrari e Simca.

Tutti gli addetti ai lavori non poterono far altro che notare l’indiscutibile talento di quest’uomo proveniente dall’altra parte del mondo. Nel 1950 ebbe luogo la prima edizione del Campionato del Mondo di Formula 1 alla quale Fangio partecipò con Alfa Romeo che schierava Farina, Fagioli e Josè Froilan Gonzalez, anch’esso parte dell’Equipo Argentino. Dopo il ritiro nella gara inaugurale di Silverstone, Fangio si aggiudicò il Gran Premio di Monaco, successo bissato a Spa due appuntamenti più tardi. Dopo la vittoria conquistata a Reims, il primo iride della storia venne assegnato a Monza, con Fangio in lotta con Nino Farina. Partito dalla pole position, l’argentino accusò noie meccaniche e proseguì con l’auto di Piero Taruffi, suo compagno di squadra. Nel tentativo di rimonta fece siglare il giro più veloce, ma anche la seconda Alfa accusò un guasto, costringendo Fangio alla resa e consegnando così il titolo a Farina. L’anno successivo Fangio vinse il round di apertura in Svizzera, mentre finì fuori dai punti a Spa. Nel Gran Premio disputato a Reims Fangio colse la seconda vittoria, mentre a Silverstone e al Nurburgring terminò al secondo posto. A Monza un ritirò permise ad Ascari di accorciare le distanze. I due si trovarono con tre punti di distacco in classifica prima dell’ultima gara in Spagna. A Pedralbes la Ferrari, che aveva insidiato il dominio Alfa Romeo per tutta la stagione, sbagliò la scelta degli pneumatici lasciando campo libero a Fangio che si aggiudicò il primo alloro iridato.

 

Fangio sull’Alfa 159 che gli diede il suo primo trionfo mondiale (credits stefandamico.it, copyright unknown)

 

L’incidente di Monza e il secondo titolo

A fine anno la casa di Arese lasciò inaspettatamente le corse e Fangio firmò un contratto con Maserati. In realtà firmò due contratti, uno anche con BRM per guidare in esclusiva le vetture di categoria Formula 1, mentre la massima formula gareggiò per quell’anno (e per quello successivo) con monoposto di F2, proprio per via della defezione dell’Alfa Romeo. In quell’epoca i grandi rischi erano abitudinari e così fu alla vigilia del Gran Premio di Monza. Fangio fu impegnato il sabato nell’Ulster Trophy in Irlanda, dove si ritirò, e la domenica volle essere a tutti i costi al via della corsa lombarda. Perso l’aereo, l’argentino guidò per tutta notte, arrivando all’Autodromo nazionale solo un’ora prima del via. Non avendo partecipato alle qualifiche, Fangio non avrebbe potuto partecipare, ma gli altri piloti acconsentirono al sudamericano di prendere parte alla gara, iniziandola dall’ultima fila. La foga per la rimonta e la stanchezza fecero perdere lucidità a Fangio che sbagliò l’ingresso alla prima di Lesmo e uscì di pista, venendo sbalzato fuori dall’abitacolo. L’argentino fu costretto a un lungo periodo di riposo nei mesi successivi, a causa di una frattura alla vertebra cervicale.

Nel 1953 concluse il Mondiale al secondo posto, ancora a bordo di una Maserati, mentre l’anno successivo firmò per Mercedes. Le frecce d’argento non erano però ancora pronte al debutto, quindi per le prime due gare Fangio corse con la Casa del Tridente. E qui una delle particolarità del “Maestro” argentino: quella di adattarsi ad ogni mezzo meccanico: “Non ho mai pensato all’auto come a un mezzo per conseguire un fine, invece ho sempre pensato di essere parte dell’auto, così come la biella e il pistone”. Fu questa filosofia, insieme alla profonda conoscenza della meccanica, a consentirgli di essere competitivo con qualsiasi macchina. E proprio nel 1954 Fangio consegue un record tutt’ora imbattuto: vincere il mondiale piloti con due costruttori diversi. Come detto infatti, Fangio corse con Maserati le gare in Argentina e in Belgio, vincendo in entrambe le occasioni. In Francia passò finalmente alla Mercedes, mettendo subito la nuova W196 davanti a tutti. A Silverstone, nonostante la pole position, terminò al quarto posto, tornando alla vittoria al Nurburgring, in un fine settimana funestato dalla morte dell’amico Onofre Marimon, che perì durante le prove cronometrate. In Germania Mercedes si presentò con la W196 in un’inedita configurazione a ruote scoperte, più congeniale all’inferno verde. Già, perché l’assetto classico aveva le ruote carenate, come le vetture sport. In Svizzera, al quinto appuntamento, Fangio vinse conquistando matematicamente il suo secondo mondiale. Nella penultima gara di Monza l’argentino si fregiò del sesto successo stagionale, mentre concluse il campionato in Spagna terminando terzo.

 

Le conseguenze dell’incidente di Monza su Juan Manuel Fangio (credits formulalibera.it, copyright unknown)

 

Il terzo mondiale e l’approdo in Ferrari

Il 1955 si aprì nella sua Argentina e Fangio impose subito la sua legge, vincendo. A Montecarlo si palesò la velocità della Lancia D50, guidata abilmente da Alberto Ascari, che in quell’occasione terminò però la sua corsa nelle acque del Mar Mediterraneo. Solo quattro giorni dopo il milanese perse la vita a Monza in un rapido test con la Ferrari 750. Nonostante la perdita dell’amico-rivale, che segnò il temperamento del campionissimo, Fangio vinse l’appuntamento successivo in Belgio seguito dal trionfo a Zandvoort, in Olanda. Il Gran Premio d’Italia, che chiudeva la stagione, consegnò la vittoria di gara e del campionato a Fangio.

In quegli anni i piloti erano poliedrici e saltavano di settimana in settimana su auto completamente diverse tra loro, partecipando a campionati di ogni tipo. Con le vetture sport Fangiò non ebbe lo stesso successo ottenuto in Formula 1, ma nel 1955 l’argentino colse, al volante della Mercedes-Benz 300 SLR, tre prestigiosi secondi posti alla Mille Miglia, al Tourist Trophy e alla Targa Florio, vincendo il Gran Premio dell’Eifel al Nurburgring. Arricchì poi il suo palmarès con le vittorie nella 12 Ore di Sebring, nel ‘56 e ‘57, al volante di Ferrari e Maserati.

Nella già citata 24 Ore di Le Mans, funestata dalla morte del compagno di squadra Pierre Leveigh, la Mercedes decise nella notte di ritirare le sue vetture, quando Fangio era in testa. A fine anno, la casa di Stoccarda optò per il ritiro dalle competizioni.

Juan Manuel Fangio si accasò quindi in Ferrari, che nel 1956 rilevò le D50 dalla Lancia. Il debutto in Argentina fu trionfale, mentre a Monaco arrivò secondo dopo aver distrutto la sua vettura e aver preso successivamente il posto di Peter Collins che, costretto alla sosta dalla Scuderia, diede modo all’argentino di riprendere la gara. Il carattere schivo di Fangio non favorì il suo inserimento in Ferrari e il dualismo con Collins cominciò a rendere pesante l’aria nel team.

Scriverà di lui Enzo Ferrari nel suo libro “Piloti che gente”: “Lo vidi per la prima volta nella primavera del 1949, all’autodromo di Modena. C’erano altri piloti, altre macchine. Lo osservai per un paio di giri, finii per tenergli gli occhi addosso. Aveva uno stile insolito: era forse l’unico a uscire dalle curve senza sbarbare le balle di paglia all’esterno. Questo argentino, mi dissi, è bravo sul serio: esce sparato e resta nel bel mezzo della pista. Più tardi venne da me in scuderia…

La conversazione fu abbastanza lunga. Non proprio con lui per la verità, giacché non disse più di dieci parole. Ad un certo punto cominciai a guardarlo incuriosito: era un timido, un mediocre, un furbo? Non capii. Sfuggiva al mio sguardo, rispondeva a monosillabi con una strana vocetta d’alluminio e lasciava subito che gli altri interloquissero per lui, mentre un costante, indefinibile sorrisetto strabico gli rendeva il volto impenetrabile… Manuel Fangio, così è rimasto per me: un personaggio indecifrabile. La sua statura agonistica era invece indiscutibile…”.

Fangio conquistò comunque il suo quarto iride, grazie alle affermazioni a Silverstone e al Nurburgring e si tolse la soddisfazione di conquistare anche il Mondiale Sport, ma a fine anno si esaurì il rapporto tra l’argentino e la scuderia del cavallino rampante.

 

Fangio a bordo della Lancia-Ferrari D50 nel 1956 (credits formulapassion.it, copyright unknown)

 

Il ritorno in Maserati, il quinto titolo e il ritiro

Non fu molta la strada che fece Fangio nella Motor Valley per firmare il suo nuovo contratto. El Chueco tornò infatti in Maserati, casa con la quale vinse un campionato (e un po’…). Nel 1957 Fangio vinse quattro gare, contro le tre del rivale Stirling Moss, facendo suo il titolo che lo consegnò alla leggenda. Al Nurburgring Juan Manuel Fangio si rese protagonista di una delle vittorie più belle della storia della Formula 1, ma i rischi presi durante quella gara indussero una profonda riflessione in Fangio, che decise di non guidare mai più in quel modo.

Nel 1958 partecipò a poche gare e decise di ritirarsi dalle corse all’età di 47 anni, per dedicarsi alle sua attività imprenditoriali, tra le quali quella di importatore e distributore esclusivo per l’Argentina dei prodotti Piaggio. Nel febbraio di quell’anno, fu protagonista di un curioso episodio: in occasione del Gran Premio di Cuba, Fangio venne sequestrato poco prima della gara dai barbudos di Fidel Castro. Fu un sequestro dimostrativo e l’argentino fu trattato senza violenza dai guerriglieri isolani. La gara fu comunque breve, interrotta da un grave incidente che causò la morte di sei spettatori. Il campione sudamericano disse: “avrei potuto essere in quell’incidente, quindi i miei rapitori mi hanno salvato la vita”.

Dopo l’addio alle gare, Fangio continuò ad essere attivo nel motorsport, prendendo parte a rievocazioni e manifestazioni. Fu anche presidente di Mercedes-Benz Argentina. Si spense nel 1995, all’età di 84 anni, dopo essere sopravvissuto ad un infarto nell’81.

 

Diranno di lui colleghi piloti coevi e successivi:

“Era il più importante di tutti i tempi. Era un artista al volante. Nonostante sia stato il mio rivale per tutta la vita, per me è stato una figura paterna” – Stirling Moss

“Era il migliore di tutti. I suoi tratti più notevoli erano la sua personalità e la sua simpatia” – Niki Lauda

“Correre non è solo guidare un’auto. È anche essere integri, vivere una passione, creare una storia. Ecco perché nessuno potrà eguagliare Fangio”Ayrton Senna

“Non credo sia giusto paragonarmi a Fangio, perché ora le vetture sono più sicure e ha conquistato i suoi campionati a una velocità tremenda, considerando i veicoli che esistevano ai suoi tempi. Fangio era di gran lunga superiore a noi”Michael Schumacher

 

 

Un video onboard di Fangio impegnato in un test della sua Maserati F1 nel 1957 nell’Aeroautodromo di Modena

 

 

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