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Carspillar – Ferrari 512 M, riveduta e corretta
Parole spiazzanti
«Vuole che le dica la verità o le racconti delle balle? Guardi, se qui sul volante ci mette un manettino quest’auto diventa un tram». Un’affermazione piuttosto forte, specie se rivolta ad Enzo Ferrari parlando di una delle sue macchine. Ma un tipo veloce e schietto come Tino Brambilla, chiamato a provare la 512 S all’ Aerautodromo di Modena, poteva tranquillamente assumersene la responsabilità. Se ciò sia verità o leggenda non lo sapremo mai, di certo c’è che il “Drake” mise al lavoro il suo gruppo di tecnici per evolvere quella biposto che, nata in gran fretta per combattere contro le Porsche 917, stava mostrando grande affanno nel Mondiale Sportprotipi anno 1970. L’infaticabile “Furia” Forghieri, coadiuvato dal motorista Rocchi e dall’aerodinamico Caliri, applicò tutte le migliorie che aveva immaginato per la sport di Maranello trasformandola in una nuova arma. Era nata la Ferrari 512 M.
Una 512 M nel paddock dell’Imola Classic 2016 (Foto AutoMotorFargio)
Evoluzione non rivoluzione
Il 12 cilindri da 4993,53 cc con V di 60° installato longitudinalmente alle spalle dell’abitacolo venne evoluto con l’applicazione di nuove testate. Con questa modifica il propulsore, alimentato da un sistema a iniezione indiretta Lucas e dotato di un rapporto di compressione di 11,5:1, arrivò a sviluppare 620 CV a 8750 giri/min. Il telaio, semimonoscocca in tubi e pannelli d’acciaio rivettati, venne rivisto nell’ottica di un allegerimento generale. Il peso totale arrivò poco sopra gli 800 chilogrammi, circa settanta in meno rispetto alla “S”. Restava invariato lo schema delle sospensioni, a ruote indipendenti con quadrilateri deformabili, ammortizzatori e molle elicoidali sia all’avantreno che al retrotreno, così come trasmissione, sistema frenante e dimensioni di cerchi e pneumatici.
Le linee spigolose della 512 M nella vista anteriore (Foto AutoMotorFargio)
Carrozzeria tutta nuova
Le modifiche più evidenti erano concentrate all’esterno della vettura, caratterizzata da una veste aerodinamica completamente nuova. La carrozzeria, realizzata in poliestere sottile, donava alla 512 M l’aspetto di una berlinetta biposto dalle forme decisamente più spigolose rispetto alle giunoniche curve della versione precedente. Decisamente più bassa ed affusolata, definita da linee tese e spigoli vivi, la “M” è riconoscibile al primo colpo d’occhio. L’anteriore era stato ulteriormente abbassato e affinato, con un’unica sottile presa d’aria a sviluppo orizzontale. I parafanghi anteriori erano più spigolosi e raccordati alle fiancate con un profilo rettilineo, mentre il cofano motore era completamente modificato. L’eliminazione della caratteristica “cupola” lamellare che copriva il propulsore aveva lasciato spazio a un roll-bar ad arco immediatamente a monte dell’abitacolo. Dietro a esso una voluminosa presa d’aria a periscopio provvedeva ad alimentare il potente V12 di Maranello, mentre due enormi sfoghi ricavati sui parafanghi si occupavano della dissipazione del calore proveniente dai radiatori. Ai lati della coda, bruscamente troncata come sulla rivale di Stoccarda, erano spuntati due flap a incidenza variabile con uno stabilizzatore centrale regolabile in altezza per migliorare la stabilità del retrotreno. L’efficienza aerodinamica complessiva era vista come la chiave di volta per il salto prestazionale richiesto da Ferrari.
Il posto guida della Ferrari 512 M (Foto AutoMotorFargio)
Nata troppo tardi
La 512 M esordì nell’ultima prova mondiale a Zeltweg con Jacky Ickx e Ignazio Giunti al volante, mettendosi in luce prima che un guasto elettrico la fermasse. La coppia italo-belga si rifece con gli interessi dominando la 9 ore di Kyalami, prestigiosa gara fuori campionato a chiusura della stagione. I risultati lasciavano ben sperare in vista del 1971, ma da Maranello giunse una chiara indicazione: lo sviluppo andava fermato per concentrare tutte le energie (e le non illimitate risorse) della squadra ufficiale sulla 312 P, il nuovo prototipo con motore 3000 cc che avrebbe dovuto dare l’assalto al mondiale 1972 in cui le sport come la 512 sarebbero state bandite. La “M” venne così ceduta alla sole squadre private, che non esitarono a richiedere l’aggiornamento delle vecchie “S” alla nuova versione portando il totale degli esemplari a quattordici. Accanto ai noti team degli importatori esteri del Cavallino come Filipinetti, Francorchamps e Montjuich arrivò anche l’agguerrita Roger Penske Racing, che avrebbe reso iconica la sua velocissima 512 M nei colori giallo-blu dello sponsor Sunoco. Senza supporto dalla casa la lotta contro le Porsche apparve da subito impari. Le uniche vittorie vennero colte da Arturo Merzario nella gara Interserie di Imola e dalla coppia Loos – Pesch nella 3 ore di Le Mans. Nel Mondiale la 512 M colse due podi con Donohue-Hobbs a Sebring e con Posey-Adamowicz nuovamente alla Sarthe. Ma proprio in quella 24 ore di Le Mans disertata dalle squadre ufficiali la biposto nata nella Motor Valley ebbe la grande occasione per entrare nel mito. La gialla vettura numero 15 che la Escuderia Montjuch aveva iscritto per José Juncadella e Nino Vaccarella prese la testa della corsa con il professore siciliano che già assaporava il sapore del secondo successo personale in terra francese. Purtroppo per loro un guasto al cambio pose fine al sogno. Ma dopo decenni è bello ricordare la fuga solitaria di quella Ferrari nata per battere le Porsche che ballò per una sola indimenticabile stagione.
La Ferrari 512 M del Penske Racing ripotata in pista e raccontata da chi ci corse: David Hobbs (Petrolicious su YouTube)
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