Altri Sport
Carspillar – Ferrari 365 GTB/4, in arte Daytona
I buoi davanti al carro
Mondiale de l’Automobile 1968, Parigi. Il derby della Motor Valley tra Lamborghini e Ferrari è entrato nel vivo. Se alla 350 GT del Toro datata 1963 aveva fatto seguito dopo un solo anno la 275 GTB/4 del Cavallino, l’arrivo da Sant’ Agata della sconvolgente Miura nel 1967 doveva essere per forza seguito da una valida concorrente “made in Maranello”. Al salone parigino la risposta arrivò e come da previsione non deluse le attese. Nello spazio espositivo Ferrari fece bella mostra di sé la 365 GTB/4, una nuova berlinetta che stupì gli osservatori a colpo d’occhio per una caratteristica: il propulsore manteneva la classica posizione anteriore nonostante la tendenza per le sportive stradali fosse opposta. D’altronde anche nelle corse Enzo Ferrari non mollò facilmente la teoria che fossero i buoi a tirare il carro ed anche per le stradali preferiva affidarsi a schemi tecnici consolidati senza andare incontro ad insuccessi.
Sigle e nomi in codice
Il nome ufficiale era anch’esso figlio della tradizione della casa: il numero riprendeva la cilindrata unitaria (365) mentre la sigla era l’acronimo di Gran Turismo Berlinetta, con il 4 a richiamare la soluzione dei quattro alberi a camme in testa (una coppia per bancata) già visti nella precedente 275. Tuttavia, come per i figli prediletti, al nome scritto sulla carta d’identità si affiancò presto un soprannome con il quale ben presto venne identificata la vettura. Era passato infatti poco più di un anno dallo stordente trionfo Ferrari ai danni della Ford proprio “a casa loro”, in quel di Daytona, e la nuova gran turismo del Cavallino non poteva che essere ricordata col nome del circuito americano. Una leggenda narra che Daytona dovesse essere il nome ufficiale della berlinetta, ma una fuga di notizie avesse anticipato la scelta. Ovviamente Enzo Ferrari non la prese bene e scelse di proseguire con la nomenclatura consolidata. Invenzione o realtà che fosse, la storia non fa che aumentare il mito.
Equilibrio perfetto
Sotto la pelle la Daytona nasceva intorno ad un telaio costituito da elementi tubolari in acciaio al cromo-molibdeno saldati al quale erano ancorate le sospensioni a quattro ruote indipendenti con bracci oscillanti superiori ed inferiori, barre stabilizzatrici ed ammortizzatori telescopici: uno schema che riprendeva quello della 275 con l’abbandono dell’assale rigido posteriore. Interessante la scelta dello schema “transaxle” per la trasmissione, con il cambio al posteriore accoppiato al differenziale collegato al motore da un vero e proprio tubo rigido contenente l’albero di trasmissione. Una soluzione che garantiva all’insieme rigidità ed al contempo un ottimo equilibrio nella ripartizione dei pesi.
Grandi numeri sotto il cofano
Il già citato propulsore era ovviamente un 12 cilindri a V di 60° con cilindrata pari a 4390 cc ricavato dal 3,3 litri della 275 aumentando l’alesaggio senza modificare la corsa dei pistoni. Tale unità, denominata 251, era alimentata nella versione europea da una batteria di sei carburatori doppio corpo Weber 40 DCN20 allineati tra le due testate ed aveva un rapporto di compressione di 9,3:1. Un “cuore” del genere era capace di fornire una potenza di 352 CV a 7500 giri/min ed una coppia massima di 44 kgm a 5500 giri/min. Robusto ed affidabile, ma allo stesso tempo grintoso e sportivo, il motore il V12 della Daytona era capace di spingere la vettura fino a 280 km/h nonostante il peso complessivo prossimo al 1450 chilogrammi (a fronte dei 1200 a secco ottimisticamente dichiarati dalla casa). Prestazioni ragguardevoli per l’epoca, che erano accompagnate da un impianto frenante costituito da quattro dischi Girling autoventilanti con doppi cilindri comandati da un doppio circuito frenante (con relativo doppio servofreno) per un totale di 16 pistoncini che agivano in due gruppi di otto.
Un abito dal taglio nuovo
L’originalità della Daytona è comunque soprattutto estetica. Se la 275 GTB/4 era classica e definita da morbide curve e superfici piane, la 365 guardava agli anni Settanta con un disegno, firmato Pininfarina, fatto di linee tese e spigoli, fiancate imponenti alleggerite da un fregio a tutta lunghezza, una coda tronca e massiccia ed un anteriore a freccia molto originale. Tale profilo era stato reso possibile dall’originale scelta di inserire una fascia a tutta lunghezza in materiale plastico trasparente, il perspex, che avvolgeva tutto l’avantreno proteggendo i proiettori e gli indicatori di direzione. Un elemento stilistico del tutto originale che caratterizzò da subito la vettura donandole grande personalità, ma che venne ben presto affiancato e quindi sostituito dal 1971 da un anteriore meno originale dotato di fari a scomparsa. La scelta venne operata per assecondare le norme statunitensi che prevedevano l’eliminazione di qualunque elemento potesse offuscare il fascio luminoso dei proiettori. Nonostante la modifica l’anteriore mantenne comunque il suo disegno allungato ad appuntito che, abbinato al taglio obliquo della coda, rendeva l’insieme filante a aggressivo. Da sottolineare anche la notevole inclinazione del parabrezza, studiato per migliorare la penetrazione aerodinamica come la posizione dei tergicristalli che in fase di rilascio scompaiono sotto il cofano. La realizzazione della carrozzeria era come di consueto opera di Scaglietti.
Scoperta o “pistaiola”
Su richiesta del sempre attento e lungimirante Luigi Chinetti, l’importatore che convinse Ferrari a sbarcare sul mercato americano, venne realizzata un anno dopo la presentazione della Daytona la versione “Spider”, conosciuta anche come 365 GTS/4, caratterizzata dall’anteriore coi fari a scomparsa. La meccanica rimaneva invariata a fronte dell’eliminazione del padiglione sostituito da una capote in tela completamente ripiegabile alle spalle dell’abitacolo. La versione scoperta era stata precedura da un prototipo firmato Pininifarina di una “faux-cabriolet” con roll-bar in alluminio satinato e tetto ricoperto da tela vinilica che ricordava le linee della coeva Porsche 911 Targa. Accanto alla Spider vanno citati i quindici esemplari alleggeriti per le competizioni ed omologati in classe GT. Pur non essendo nata per le corse, la Daytona venne portata in pista dalle scuderie degli importatori Ferrari quali NART, Filipinetti e Pozzi facendo incetta di trionfi di classe, con una carriera impreziosita dalle vittorie di classe alla 24 ore di Le Mans per tre anni consecutivi, dal 1972 al 1974.
Numeri di successo
La Daytona venne prodotta tra il 1968 ed il 1973, quando venne sostituita nei listini dalla 365 BB, mentre la Spider venne prodotta ancora per un anno per soddisfare gli ordini ancora aperti oltreoceano. Complessivamente vennero prodotte 1350 esemplari di 365 GTB/4 di cui solo 411, le più ricercate, con la fascia in perspex all’anteriore. Le Spider invece sono solo 122, prototipo compreso, e non sempre identificate come GTS/4 (a volte la targhetta identificativa manteneva la sigla GTB). Di esse ben 96 furono destinate al mercato americano con relative specifiche e 25 rimasero in Europa, con solo 7 di queste ultime realizzate con guida a destra. Un mito, sotto ogni punto di vista, la vettura personale di Clay Regazzoni e dei detective di “Miami Vice” nelle prime puntate della fortunata serie. Una leggenda su ruote che ovviamente spunta cifre a sei zeri nelle quotazioni a distanza di decenni con una tendenza a rivalutarsi nel tempo. Ma si sa che le leggende, oltre a non avere un’età, non hanno nemmeno prezzo.
Una sfida da Motor Valley: Arturo Merzario e Valentino Balboni al volante delle grandi rivali Ferrari Daytona e Lamborghini Miura (DrivingItalia NET – YouTube)
Continua a leggere le notizie di 1000 Cuori Rossoblu e segui la nostra pagina Facebook