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Carspillar – Ferrari Daytona SP3, gli anni Sessanta in un’ hypercar
Si è appena spento l’eco delle Finali Mondiali Ferrari 2022 a Imola con l’attesissima presentazione dell’ Hypercar che darà l’assalto alla 24 ore di Le Mans 2023 e con “Carspillar” vi facciamo fare un salto indietro di dodici mesi. Nel medesimo evento di un anno fa la casa di Maranello stupì il mondo rivelando l’ultima nata che andava ad arricchire la gamma “Icona”, una serie di modelli speciali in edizione limitata che arricchivano il listino rielaborando in chiave moderna miti che hanno fatto la storia. Dopo le Monza SP1 ed SP2 che si riallacciavano alle barchette anni Cinquanta arrivava un’hypercar che onorava le leggendarie sport del decennio successivo, prime tra tutte le 330 P3/P4 e 412 P. Era nata la Ferrari Daytona SP3.
Il canto del “dodici”
Daytona SP3 non prevedeva compromessi a partire dal propulsore, vero “cuore” di tutte le Ferrari. A “battere forte” sotto pelle in posizione centrale-posteriore c’era un V12 aspirato di cilindrata 6.496 c.c. ed alimentato a benzina. Identificato con la sigla F140HB e derivato da quello della 812 Competizione, sprigionava 840 CV a 9500 giri/min (limitati elettronicamente) ed una coppia di 697 Nm a 7250 giri al minuto. In pratica si trattava del motore stradale più potente mai uscito da Maranello che lasciava senza fiato sia per la spinta ai regimi più elevati, sia per il suono. I condotti di aspirazione e scarico erano corti e vicini all’abitacolo, mentre non esisteva protezione per i piccoli rumori metallici della distribuzione: richiamo anche nei questi particolari alla meccanica semplice ed efficacie delle sportive anni Sessanta.
Curve morbide e richiami al passato: la Daytona Sp3 è sensuale da ogni prospettiva (Ferrari.com)
Tecnologia senza compromessi
Il telaio, ripreso dalla LaFerrari, era una monoscocca in fibra di carbonio T800 con rinforzi in kevlar su alcune aree per garantire un migliore assorbimento di eventuali impatti, mentre la carrozzeria era in materiali compositi. La trasmissione, composta da un cambio Getrag automatico F1 DCT a 7 marce accoppiato ad una doppia frizione, garantiva il trasferimento del moto alle ruote motrici posteriori. Lo sterzo, estremamente diretto vista la vicinanza tra volante ed avantreno, permetteva una guida da vero prototipo, assecondata dal telaio e dalle sospensioni a controllo magnetoreologico. A gestire tanta grazia era chiamata in causa un’elettronica di ultima generazione. Il “traction-control” F1-Trac, il controllo elettronico del differenziale versione 3.0, il side slip control 6.1 insieme a numerosi altri sistemi erano una garanzia per il comportamento dinamico della vettura. A completare la scheda tecnica erano i quattro freni a disco autoventilanti (398×36 mm anteriori e 380×34 mm posteriori) ed i cerchi (anteriori 9J x 20, posteriori 12.5J x 21) calzati da pneumatici specificamente prodotti da Pirelli con dimensioni 265/30 R20 per l’avantreno e 345/30 R21 per il retrotreno.
La generosa alettatura del posteriore è un elemento stilistico caratterizzante della Daytona SP3 (Ferrari.com)
Design mozzafiato
Nata per omaggiare le sport di fine anni Sessanta richiamandosi con il nome alla stordente (per la Ford) tripletta alla 24 ore di Daytona del 1967, la SP3 era concepita per creare un legame visivo diretto con quei capolavori su ruote. Mutuando il telaio dalla LaFerrari ne manteneva le proporzioni da supersportiva (lunghezza 4,69 metri, altezza 1,14 e larghezza 2,05 metri), ma lo stile della carrozzeria modellato su di esse era di netta rottura rispetto alle “consanguinee”. Il gruppo di lavoro diretto dallo stilista Flavio Manzoni ha reinterpretato elementi come l’abitacolo avanzato, il parabrezza a cupola con cornice ad arco o gli specchietti retrovisori avanzati sui parafanghi inserendoli con coraggio in un disegno fatto di citazioni e modernità sapientemente mescolati. Caratteristica era la vistosa alettatura a tutta larghezza del retrotreno, chiara riproposizione del medesimo elemento estetico visto sulla 250 P5 Berlinetta Speciale firmata da Pininfarina nel 1968. I volumi, audace alternanza di pieni e vuoti (vedi il profondo scasso delle fiancate) erano connessi con curve morbide come quelle della P3 del 1966. Le portiere con apertura ad elitra permettevano l’accesso ad un abitacolo biposto essenziale, con sedili ridotti ad un guscio di carbonio ricoperto da un semplice strapuntino a trama trasversale e pedaliera regolabile sulle misure del pilota, come su un prototipo da corsa. Sulla plancia, priva di qualunque elemento non strettamente necessario, trovava posto l’unica concessione alla tecnologia: un display da 16 pollici con comandi a sfioramento posti sul volante.
Le portiere con apertura ed elitra mostrano l’abitacolo essenziale ma esclusivo della Daytona SP3 (Ferrari.com)
I numeri della Daytona
Il peso a vuoto pari a 1.485 chilogrammi garantiva un rapporto peso-potenza di 1,77 kg/CV che a sua volta si traduceva in prestazioni da primato: velocità massima di 340 km/h e accelerazioni 0-100 km/h in 2,85” e 0-200 km/h in 7,4”. La produzione prevista di soli 599 esemplari in vendita ad un paio di milioni di Euro l’uno era esaurita già prima della presentazione ufficiale. Prevedibile parlando di una “limited edition”, a maggior ragione se con il Cavallino applicato sulla carrozzeria. Dopo un anno la Daytona SP3 è quindi già un oggetto del desiderio per collezionisti disposti a sborsare cifre pari al PIL di un piccolo stato africano per assicurarsela, se solo si trovasse un proprietario disposto a cederla. Per tutti i comuni mortali che la sognano niente paura, c’è una soluzione: acquistarne un modello in scala ridotta. Oppure continuare a sognare l’ennesimo opera d’arte realizzata nella Motor Valley.
Il video di lancio della Ferrari Daytona SP3 (Ferrari su YouTube)
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