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Carspillar – Ferrari “Spazzaneve”, il laboratorio di Forghieri
Visionaria intuizione
La stagione 1972 della Ferrari poteva definirsi bipolare: trionfale nel mondiale Sportprototipi ma deludente in Formula 1. Con il “Drake” defilato a causa di problemi di salute, il potere decisionale in sua vece era in mano a dirigenti FIAT inviati da Torino. Mauro Forghieri, per anni al vertice tecnico della Scuderia, era stato destinato all’ “Ufficio Studi Avanzati” (quello che oggi verrebbe definito “R&D”) all’interno del neonato circuito di Fiorano. Nel suo nuovo ruolo lontano dai campi di gara, “Furia” partì da una domanda per sviluppare un’idea. Perché la 312 P spinta dal medesimo motore delle monoposto in versione depotenziata dominava tra i prototipi con stabilità e prestazioni eccezionali? La differenza macroscopica era data dall’ampia superficie della carrozzeria che, rispetto alle Formula 1 “a sigaro”, generava una certa spinta aerodinamica verso il basso. In pratica Forghieri aveva intuito che il futuro delle auto da corsa si sarebbe basato sulla ricerca aerodinamica ben prima che la Lotus stravolgesse l’automobilismo sfruttando l’effetto suolo. Da questa intuizione nacque la prima versione della 312 B3, per tutti semplicemente Ferrari “Spazzaneve”.
Certezze di base
In opposizione ai monoscocca proposti dai costruttori inglesi dell’epoca, la “Spazzaneve” conservava uno chassis in linea con la tradizione del Cavallino. Il telaio era costituito da un traliccio in tubi d’acciaio rivestiti con pannelli di alluminio al quale si ancoravano le sospensioni (a ruote indipendenti con quadrilateri a molla sia all’anteriore che al posteriore). Nessuna novità anche per il propulsore, appeso ad una trave superiore di collegamento. Si trattava dell’ormai consueto Tipo 001/11, il 12 cilindri piatto da 2991,8 cc capace di 485 cavalli con distribuzione bialbero a camme in testa, iniezione indiretta Lucas e accensione con spinterogeno e bobina Marelli Dinoplex. Classica anche la trasmissione, con il moto trasmesso alle ruote posteriori attraverso il cambio Ferrari a cinque marce disposto longitudinalmente al retrotreno e collegato al propulsore tramite una frizione multidisco. Ma i legami con le progenitrici si fermavano qui.
La vista posteriore della “Spazzaneve” impegnata alla Vernasca Silver Flag 2007 (Foto AutoMotorFargio)
Laboratorio da corsa
Libero di esprimere le sue idee, Forghieri decise di materializzarle con una vettura laboratorio che permettesse di svolgere tutti gli esperimenti possibili senza l’assillo dei risultati in corsa. L’obiettivo di base era l’abbassamento ed il centraggio delle masse intorno al baricentro per ridurre il momento di inerzia polare. A tale scopo, il passo venne ridotto a soli 2,33 metri e i gruppi frenanti posteriori trovarono posto ai lati della scatola del cambio in uscita dai semiassi. I radiatori, normalmente posizionati trasversalmente all’avantreno, vennero sdoppiati e disposti longitudinalmente ai lati dell’abitacolo, praticamente in linea con la tangente posteriore delle ruote anteriori. Tale posizionamento delle masse radianti non era una novità (la Lotus 72 aveva fatto scuola) ma sulla Spazzaneve la scelta era ben più originale. Essi venivano integrati nelle fiancate, larghe complessivamente 140 centimetri per l’inserimento delle strutture deformabili imposte dal regolamento 1973. L’ “ingrassamento” venne sfruttato per disegnare una carrozzeria dalle ampie superfici orizzontali in modo da generare più deportanza. La parte più originale era l’avantreno, dove un voluminoso muso a tutta larghezza dalla singolare forma concava schermava le ruote anteriori: si trattava del particolare che donò alla monoposto il soprannome che la rese celebre. Su di esso erano ricavate due ampie e profonde prese d’aria di tipo NACA che andavano ad alimentare lo scambio termico dei radiatori, inglobati come detto nelle squadrate fiancate.
Il voluminoso anteriore che caratterizza la “Spazzaneve” è all’origine del suo soprannome (Foto AutoMotorFargio)
Nata in estate
Presentata alla stampa specializzata il 15 agosto del 1972, la “Spazzaneve” iniziò da subito un programma di prove a Fiorano prima di scendere in pista a Monza nei tradizionali test pre-gran premio. I primi riscontri furono abbastanza problematici: il passo ridotto la rendeva nervosa e difficile. La necessaria messa a punto si annunciava lunga e laboriosa, ma nulla di imprevisto per Forghieri, consapevole di avere progettato nient’altro che un mezzo di ricerca avanzata. La stampa invece ipotizzava che la Spazzaneve potesse prefigurare la nuova arma che avrebbe risollevato le sorti della squadra. Ne venne addirittura ventilato l’impiego in gara a Monza come terza vettura da affiancare alle B2 di Ickx e Regazzoni nelle mani di Arturo Merzario, impiegato come collaudatore sul circuito brianzolo. Ma non accadde nulla di tutto questo.
L’abitacolo della “Spazzaneve” che si diceva destinato ad Arturo Merzario (Foto AutoMotorFargio)
Rivalutata dalla storia
Le discussioni interne alla Ferrari portarono alla decisione di costruire una B3 del tutto nuova per l’anno successivo basandosi su concetti opposti a quelli della “Spazzaneve”. Le idee espresse da Forghieri sarebbero tornate molto utili con il suo ritorno al vertice tecnico della Scuderia in vista del 1974. Coinciso, guarda caso, con quello di Enzo Ferrari al comando e con una ritrovata competitività nel Mondiale di Formula 1. La “Spazzaneve” rimase un esercizio tecnico unico ma fondamentale per le successive monoposto del cavallino, compresa la 312 T che avrebbe riportato l’iride nella Motor Valley. Conservata in un angolo della Gestione Sportiva fino al 1975, venne revisionata e venduta ad un appassionato giapponese. Sarebbe tornata in Italia solo diciotto anni dopo, prima di essere acquistata ed amorevolmente conservata da un collezionista ticinese dal 2004. Oggi potete ammirarla nelle più prestigiose manifestazioni dedicate alle storiche da corsa come una vettura che, senza mai disputare una corsa, avrebbe cambiato la storia del Cavallino Rampante.
L’a “Spazzaneve” regala emozioni a Imola (davide458italia su YouTube)
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