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Carspillar – Ferrari Testa d’Oro, nata per stupire
Esagerata fin da subito
In Germania la passione per l’auto porta creare veri mostri di potenza e stile, con molteplici officine di audaci preparatori, pronti a mettere mano a supercar dalle prestazioni eccellenti già uscite dalla casa. Ma tutto ciò che voi appassionati avete potuto ammirare sembra impallidire davanti al lavoro che nel 1991 fu realizzato dalla Lotec di Ferdinand Pietz insieme allo stilista ed aerodinamico Luigi Colani partendo da una delle icone della Motor Valley. Quindi adesso mettetevi comodi e preparatevi ad una storia che sembra partorita dalla fantasia degli sceneggiatori di “Fast&Furious”. Quella dell’unica Ferrari Testa d’Oro.
Nostalgia del record
Si narra che Luigi Colani, designer di padre svizzero nato Lutz (personaggio che da solo meriterebbe una biografia intera), fosse stuzzicato dall’idea di battere un record rimasto nella memoria collettiva del popolo tedesco. Quello realizzato nel 1938 dal mitico Rudolf Caracciola, che in un tratto della “autobahn” Francoforte-Darmstadt raggiunse i 432,7 km/h al volante di una Mercedes W125 Rekordwagen da 736 CV. Un’ impresa fantascientifica per l’epoca, che fuse ben presto realtà e leggenda. A distanza di oltre mezzo secolo l’idea era superare quel limite elaborando una supercar stradale. E non un mezzo della ricca produzione teutonica, bensì un icona di quegli anni come la Ferrari Testarossa.
Trionfo di cavalleria
Il lavoro sulla berlinetta di Maranello partì con un “intervento al cuore”. I 380 Cv sprigionati dal V12 di 180° sulla versione di serie vennero giudicati poca cosa e presso la Lotec vennero aggiunti due semplici accessori: una coppia di turbine capaci di una pressione pari a 1.25 bar (18 psi). La potenza salì fino a 750 CV a 6400 giri/min, con un valore di coppia massima di 900 Nm a 4000 giri/min. Valori importanti che richiesero modifiche anche al gruppo trasmissione, con la sostituzione della scatola del cambio di serie con un’unità capace di trasmettere tanta esuberanza alle ruote, che calzavano pneumatici anteriori 235/40 e posteriori 335/35. Degli interni originali restarono solo le leve del devioluci ed il pomello del cambio, tutto il superfluo venne eliminato. Sul cruscotto in pelle rossa venne incastonato quadro strumenti in fibra di carbonio in cui faceva bella mostra di sé un tachimetro “griffato” Lotec con fondoscala a 400 km/h. Tocco finale fu la tinta dei collettori di aspirazione, che passarono dall’originale rosso ad un ben più vistoso oro dando alla vettura il nome con cui sarebbe passata alla storia.
La Testa d’Oro impegnata nel tentativo di record sul lago salato di Bonneville (Supercars.net – Sconosciuto)
Il vestito non basta
Il lavoro interessò anche la carrozzeria, che venne completamente trasformata. Il frontale divenne più profilato, le fiancate persero le forme sinuose e le caratteristiche griglie sulle portiere a favore di linee tese mentre al posteriore trovò posto una sorta di ala dotata di lunghe paratie longitudinali studiate per indirizzare il flusso d’aria fin dalla sommità del tetto. Il grande impegno della premiata ditta Lotec-Colani non ottenne però il risultato sperato. Nella Bonneville Speed Week del 1991 la vettura tentò il record nella categoria auto catalizzate con Mike Strasburg al volante e lo centrò, mettendo a referto una velocità di 351 Km/h nonostante diversi problemi emersi correndo sulla irregolare superficie del lago salato. Ma non si avvicinò nemmeno all’ultracinquantenario limite di Caracciola, vero obiettivo della spedizione. Tutto finito? Nemmeno per idea, perché il bello della storia doveva ancora arrivare.
Ci pensa lo stilista
Lutz “Luigi” Colani, aerodinamico e scultore, a distanza di due anni dalla spedizione di Bonneville decise di modificare la Testa d’Oro donandole una nuova e sconvolgente veste. Le linee tese e gli sbalzi che avevano trasformato la Testarossa originale in un mezzo simile ad un dragster lasciarono spazio ad una carrozzeria fatta da linee curve ed ellissi che intersecandosi creavano un’alternanza tra superfici piene e vetrate. L’ abitacolo risultava così luminosissimo ed accessibile attraverso tramite una coppia porte ad ali di gabbiano di forma simile a quelle dell’Alfa 33 Stradale, mentre un nuovo cruscotto in plastica scura e dei seggiolini azzurri sostituirono quelli installati sulla versione da record. Restavano i generosi sbalzi e l’enorme splitter anteriore che rendevano il mezzo più simile ad una vettura in stile “bosozoku” nipponico che non ad una sportiva europea. Nonostante le perplessità di molti, la Testa d’Oro era comunque diventata un simbolo del “Biodesign”. Ovvero la corrente stilistica definita come “interpretazione umana delle forme che la natura ha sviluppato in milioni di anni” che lo stesso Colani aveva elaborato dopo i suoi studi tra l’Accademia di Belle Arti berlinese e la facoltà di ingegneria della Sorbona. Nonostante lo sconvolgente risultato, la vettura nel 2014 arriverà ad essere esposta presso il Museo Ferrari completa di cavallino sul muso: una vera investitura da parte della casa. Ma ciò che la rese indimenticabile sono i misteri che ne accompagnano l’esistenza.
Sparita, anzi no!
Il primo riguarda il numero di telaio. Quello punzonato (F110 ZFF 5651711M 0087557) risulta infatti prodotto nel 1991, mentre pare che Colani avesse iniziato a lavorare sulla vettura da record già due anni prima. Si narra infatti che vennero utilizzati una coppia di motori ed una di telai per realizzare l’unica Testa d’Oro esistente, spiegando così l’incongruenza. Ben più interessante è invece la vicenda della presunta sparizione dell’auto dopo la sua esposizione. Nell’estate del 2015 la Colani Design Corporation SRL sporse una denuncia di furto contro ignoti che portò all’avvio di un’indagine dei carabinieri di Cremona. La notizia ebbe ovviamente grande risalto, ma si trattò a tutti gli effetti di un falso allarme. Attraverso il controllo della documentazione si appurò infatti che nel 2013 l’ex rallista Enrico Bertone era entrato in possesso della Testa d’Oro scambiandola con una Fiat Abarth Millemiglia 1400 Touring. Essendo residente a Monaco e non potendo ritirarla nel breve termine, Bertone si accordò con il Museo Ferrari per lasciarla esposta presso l’autosalone Purosangue di Maranello una dozzina di mesi, giusto il tempo di rientrare e portarla nella sua collezione. L’intervento del proprietario mise così fine all’ipotesi del furto, ma non fece che accrescere ancor più la leggenda di una figlia “illegittima” della Motor Valley.
Per concludere: un video ci mostra da vicino la Testa d’Oro esposta al Museo Ferrari nel 2014 (effeNovanta – Sconosciuto)
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