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FRANK WILLIAMS – UNO, NESSUNO, CENTOMILA
La Williams. Che bella macchina. Se nasci a fine anni ’90, inizio anni 2000, sai due cose della Williams: la prima è che per larghi tratti ha dominato il mondiale e che, poi, le sue livree sono clamorosamente belle. Ma una cosa spesso si sottovaluta di questa scuderia; ovvero, l’amore casto e puro donato dal suo fondatore. Un uomo che ha i geni di chi ha combattuto per il suo paese nei momenti difficili della sua storia e la testa di chi con la forza di volontà ha vissuto la pista come se fosse la sua vita. Non a caso diventato “sir” e non a caso uno dei cinque/dieci uomini simboli della F1. “Sir” Frank Williams.
Frank nasce a South Shields, nell’Inghilterra del nord. Figlio di un ufficiale della Raf e di una maestra di scuola. I due si separano e lui viene tirato su dagli zii. Frank, a quel punto, avrebbe potuto lavorare in un pub, oppure, magari aprirne addirittura uno suo. Uno di quei classici pub “by Frank and co.”. Per fortuna lo abbiamo conosciuto diversamente, ecco. In quei posti, questi sono i lavori che finisci per fare. Se non ti capita la fortuna che un amico ti passa a prendere per portarti via. Ma il punto non è il dove ti porta. Ma il come. A Frank succede che tutto nasce grazie ad una Jaguar XK150: un colpo di fulmine a quattro ruote, che lo trasforma. E gli fa tirar fuori il vero, sangue veloce, Williams che c’è in lui. Un cavallo di razza. Già perché è proprio quel viaggio lì che fa innamorare il giovane studente del St. Joseph’s College con la donna della sua vita: sua maestà la velocità. Per cominciare prova a fare il pilota, ma capisce subito che per lui l’emozione delle corse non è solo quella del controllo di un mezzo, ma di tutto quello che ci sta dietro. Si tratta di un ossessionato del controllo ed un maniaco di tutto ciò che preveda il mezzo tecnico.
E così, Williams fonda nel 1966 una propria scuderia, la Frank Williams Racing Cars. Per diversi anni il team automobilistico gareggia in Formula 2 e Formula 3. Ma il vero punto d’arrivo transita nel 1969 con Williams che passa alla Formula 1: acquista il telaio di un vecchio modello di Formula 1 della Brabham e decide di mettere alla guida della vettura Piers Courage, un uomo sui “generis”. Il risultato è di rilievo perché ottiene due volte il secondo posto nelle prime gare disputate. Da qui la gola si fa larga ma la storia che sembra la classica a lieto fine si trasforma irreversibilmente in tragedia. Succede il patatrac, una sospensione si rompe, e Piers muore durante un GP. Quel 21 giugno, in Olanda, Frank impara qualcosa che lo cambierà per sempre: in pista non c’è posto per le emozioni.
La mente di Frank entra in un vortice di emozioni e di disperazioni, che lo portano al collasso emotivo e dopo svariati momenti bui e dopo essersi ritrovato a gestire la squadra da una cabina telefonica (perché era rimasto al verde), Williams capisce che per vincere non basta solo manico. Servono scopa, portafogli e furbizia. Per questo, insieme al suo nuovo compagno di avventura Patrick Head, decide di battere la pista mediorientale. Una pista, che all’epoca è al limite tra il genio e lo sregolato. Una roba, che ti fa dire: “cavolo questo qui vive 35 anni nel futuro”. E Frank era questo e molto altro.
Così, come per magia, dal ’77 in poi la storia della scuderia inglese è tutta un vortice di emozioni, per lo più positive con la FW07, una delle icone della F1. Si corona anche il primo trionfo nel 1979 con lo svizzero Clay Regazzoni e viene coronato anche il sogno più grande: quello dalla vittoria nel mondiale. Il merito è dell’australiano Alan Jones (1980), ma soprattutto di un intero team, che prima di tutto significava casa.
Gli anni che seguono sono quelli del turbo, del passaggio da Renault a Honda e dell’incidente che gli costa letteralmente la spina dorsale (1986), il motivo per il quale tutti noi ce lo ricordiamo quasi sempre, seduto e non sull’attenti come i grandi generali di una volta. La dinamica ha dell’incredibile. Siamo nel sud della Francia e Williams sta tornando dal circuito Paul Ricard, ma perde il controllo della macchina, che capitombola su sé stessa. La macchina atterra sul tetto e Williams, nonostante le cinture di sicurezza allacciate, rimane schiacciato tra il proprio sedile e il tetto piegato. Un incidente grave, ma ce ne sono di peggio nella vita, eppure Frank da quel giorno rimane seduto. Riporta una frattura tra la quarta e la quinta vertebra. Un guaio enorme e come se non bastasse, i dottori non sono ottimisti. “Senta signor Williams non avrà ancora tanti anni”. Ecco, per fortuna non sono un medico, ma forse avranno detto così a lui e famiglia quel giorno. Gli danno 10 anni di vita, ma non sanno chi hanno davanti: Frank ha 43 anni e giura a sé stesso di non mollare e direi anche, che a posteriori, i conti sono stati fatti egregiamente. Torna operativo nel 1987 e viene accolto coi fuochi d’artificio della funambolica coppia Piquet-Mansell. La gioia per tutti i fans del motorsport. Gli anni ’90 dimostrano che è vero che la storia si ripete e che spesso la vita ha più cicli, anche al contrario. Sì, perché la Williams si riprende ciò che è suo e lo fa alla grande. Il risultato non cambia: i mondiali ’92 e ’93 sono ancora firmati Williams. Chapeau Frank.
Ma nel mezzo forse entra in gioco il secondo ciclo di emozioni della vita di Frank, forse quella più forte e struggente della sua vita. Tutto parte nel 1983 quando succede qualcosa, che cambierà la vita di Frank. Frank Williams sente parlare di un pilota e lo vuole mettere alla prova. Il ragazzo è veloce, ma soprattutto molto dotato si una sensibilità nel piede unica nella storia. Ma non va bene per la Williams, pensa Frank. Non ancora, almeno. Quel lui è Ayrton Senna e nella scuderia inglese ci finirà un decennio dopo, in quel maledetto 1994, in quella maledetta gara di Imola, in quel maledetto tamburello. Poi il resto lo sapete tutti: è storia, una triste storia. Eppure, il giorno prima, i due (come citato nel docufilm “Senna”) avrebbero avuto l’intenzione di mollare tutto, dopo la scoperta della morte di Ratzenberger nel sabato di qualifiche. Una vita fatta di pesca e barca. Tra due amici, che si conoscono e si vogliono conoscere. Due intellettuali dei motori, in una storia che ricorderebbe “Quasi amici” per l’evidente contesto dei personaggi. Ma quella domenica Senna gareggia e l’incidente di Imola, la scomparsa di un mito, il processo a Williams e alla Formula 1 resteranno per sempre una macchia indelebile nella vita di Frank. Tutte cose che segnano Williams. Per sempre. Anche se assolto dai giudici, il team manager che c’era in Frank non si è mai perdonato di non essere stato all’altezza del compito. “Abbiamo avuto una grandissima responsabilità, quella di dare la macchina a un campione. E non ci siamo dimostrati all’altezza del compito”. Ma, forse, la sua grandezza è questa: essere un uomo pirandelliano. Un volto iconico, umile come nessuno e che vale centomila.
Io me li immagino così oggi: insieme su una barca, mentre si raccontano di tutto. Dalla vita alla morte, magari parlando di Schumi e Lewis e forse tutto tornerà di nuovo nel suo ciclo perfetto. Chissà, lassù, cosa si staranno dicendo. Addio Frank.
Il trailer di “Williams” il docu-film che racconta la storia di Sir Frank e della sua scuderia (Curzon su YouTube)
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