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Gp di Germania 1957: la rimonta di Fangio entrata nella storia
La Formula 1 arriva al 1957 orfana di Alberto Ascari il secondo, e ultimo, campione del mondo italiano, scomparso due anni prima in quel di Monza durante un a prova con la sua Ferrari 750. Il 1957 fu anche l’anno del primo e unico Gran Premio cittadino di Pescara (nel rinomato percorso della Coppa Acerbo), organizzato in virtù dei forfait di Belgio e Paesi Bassi, del duello tra Sir Stirling Moss e Juan Manuel Fangio e l’ultimo anno in cui fu consentito il cambio di pilota in gara. Ma la stagione 1957 verrà ricordata soprattutto per QUELLA leggendaria rimonta del Nurburgring.
Il Nurburgring di quegli anni era di sicuro la pista più temuta del campionato, curve, tornanti, salite e discese per un percorso di oltre 22 kilometri. Si arriva a quella gara del 4 agosto con Fangio che conduce il campionato, alle sue spalle l’italiano Musso su Ferrari, mentre Moss, fresco vincitore del Gp Britannico è addirittura in settima posizione (il britannico riuscirà a recuperare fino alle seconda posizione nel finale di campionato).
Le qualifiche per quella gara vedono l’imporsi di Manuel Fangio con 3 secondi su Hawthorn e 5 sul compagnino in Maserati Behra: i margini dilatati, oltre essere tipici dell’epoca, erano ancor più enfatizzati dalla lunghezza della pista.
La gara. Al via prendono parte i grandi di quegli anni, Moss, Collins, Musso, Hawthorn e proprio Fangio come campione del mondo in carica – nel 1956 vinse con la Lancia D50 della Scuderia Ferrari – . Al pronti via il campione argentino mantiene la testa della corsa e comincia fin da subito a guidare in maniera veloce ed impeccabile complice anche la possibilità di poter contare su delle gomme Pirelli molto più aderenti in curva rispetto alle Engelbert delle Ferrari, prime tra gli avversari, ed il serbatoio carico per la metà. La scelta di non riempire completamente il serbatoio fu dettata da due fattori: la maggiore capienza di quello della Ferrari 801, sufficiente per poter arrivare a fine corsa senza il bisogno di doversi fermare e rifornire, e la maggiore usura delle proprie gomme. La strategia è quindi chiara, mettere più secondi possibili tra se e gli avversari fintanto che ha il vantaggio di avere una monoposto più leggera e rientrare a metà gara con gomme fresche e di nuovo performanti. E’ il 13° giro, Fangio con la sua Maserati F250 entra nella corsia dei box con 30 secondi di vantaggio sul primo degli avversari ma non tutto va come previsto: i meccanici Maserati hanno più di qualche problema nel completare la sostituzione di un pneumatico per un problema con il gallettone di serraggio della ruota. Il Pit Stop si protrae per più di un minuto, al rientro in pista il pluricampione in carica ha accumulato 48 secondi di ritardo sui primi due.
In pista ora c’è più equilibrio, gli avversari contano su auto più scariche e gomme calde, Fangio nei primi kilometri perde qualche altro secondo nel far riscaldare le proprie gomme. Poi, come nei film, comincia a tamburellare giri veloci su giri veloci: ha 8 giri per recuperare 50 secondi agli avversari, servirebbe un miracolo anche solo per arrivare in scia a Collins e Hawthorn ma la forza di spirito del campione latino va oltre ogni minima immaginazione. Quel giorno Fangio riuscirà a rintracciare per ben 10 volte il record della pista, abbassando il record di percorrenza di addirittura 20 secondi rispetto al primato precedente a quella gara, certo parliamo di un circuito che si percorreva in quasi 10 minuti per la sua lunghezza, ma parliamo comunque di numeri strabilianti. Al 20° giro Fangio riuscirà a superare Collins prendendogli l’interno in entrata di curva, mentre nell’ultimo giro riuscirà a beffare anche Hawthorn tagliando il traguardo per primo!
Fangio vinse davanti a 200.000 spettatori una gara considerata tra le più belle della Formula 1 e mettendo una seria ipoteca sul mondiale di quell’anno, poi effettivamente messo in bacheca a fine stagione dal campione Argentino.
Nel 1966 Fangio raccontò i momenti concitati di quella gara, tra cui l’aneddoto del dosso “c’era un dosso in cui non si vedeva dall’altra parte della strada, i piloti erano costretti a rallentare e cambiare; io non cambiai, ne rallentai: la macchina si staccò da terra ma tutto andò bene”; “Per vincere ci vuole fortuna, ma bisogna anche rischiare: un rischio calcolato sulla qualità della macchina e su quella dei pneumatici”.
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