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Una gara da Mito – GP Italia 1970, dolori e gioie ad alta velocità

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Il Circus della Formula 1 è sempre stato un ambiente veloce, velocissimo, nel quale piloti, costruttori, gioie e tragedie si susseguono vorticosamente senza soluzione di continuità. Oltre cinquant’anni fa questo era maggiormente accentuato. Il livello della sicurezza era ancora lontano da quello che oggi e tutto era più… precario.

“Si sta

come d’autunno

sugli alberi

le foglie”

 

Questa è “Soldati” di Giuseppe Ungaretti. Certo, i piloti non si possono definire soldati, ma una volta andare in pista era un po’ come andare al fronte. Chi correva, alla partenza, non sapeva se sarebbe tornato.

Il Gran Premio d’Italia del 1970 è un po’ l’emblema di questo tempo, dove nel giro di due giorni si salutò per sempre l’unico campione postumo della storia della Formula 1, Jochen Rindt, e si diede il benvenuto nel gotha dei vincitori di un GP il trentunenne Clay Regazzoni, alla sua quinta gara nel mondiale.

 

Sabato 5 settembre 1970, la nera signora riscuote il suo tributo

E’ il giorno delle qualifiche dell’edizione numero 41 del GP d’Italia, corso come tradizione a Monza. All’epoca il circuito era davvero il tempio della velocità. Nessuna variante: Curva Grande, Curva della Roggia, le due di Lesmo, Serraglio, Curva del Vialone, Parabolica. Con le vetture dell’epoca, ancora tutto motore e relativamente poca aerodinamica, i 5.750 del tracciato brianzolo si percorrevano in 1’24”.

Durante le prove cronometrate è il capoclassifica Jochen Rindt a pagare il tributo di sangue che la signora vestita di nero passava puntualmente a riscuotere, quasi ad ogni weekend. Come se il volersi inebriare di velocità fosse una colpa grave, da espiare in qualche modo. Rindt perse il controllo della sua Lotus 72 e andò a sbattere contro il guard rail poco prima della Parabolica, che si disintegrò non lasciando scampo al pilota austriaco, seppur nato in Germania. Morì durante il trasporto in ospedale, soccorso prontamente dai medici presenti. L’ipotesi maggiormente accreditata è quella della rottura dell’albero di supporto del freno entrobordo, tranciato a causa di un cedimento strutturale del materiale. La rottura fu causata probabilmente dalle vibrazioni originate dall’assenza di alettoni, scelta adottata per raggiungere la più alta velocità di punta possibile, che però rendevano instabile la vettura inglese. Rindt fu vittima di una violenta decelerazione che non gli lasciò scampo.

L’incidente di Rindt all’ingresso della Parabolica (source: formulapassion.it, copyright: unknown)

 

Le Lotus rimanenti, quelle di Graham Hill e John Miles, vennero ritirate in vista della corsa del giorno successivo, in segno di lutto, mentre Emerson Fittipaldi, sulla quarta Lotus presente, non centrò la qualificazione. Jacky Ickx su Ferrari conquistò la pole position, secondo fu Pedro Rodriguez e terzo lo svizzero italiano Regazzoni. Quarto Jackie Stewart. La gara segnò anche il debutto di Nanni Galli, non qualificatosi con una McLaren motorizzata Alfa Romeo, mentre fu il capitolo conclusivo con il mondiale per Ignazio Giunti e il già citato Miles.

 

La Lotus 72 nei colori Gold Leaf di Rindt, totalmente priva di ali (source: reddit.com, copyright: unknown)

 

Domenica 6 settembre 1970, la prima di Clay

Non c’è tempo per piangere però, è il momento della gara, corsa sulla distanza di 68 giri per un totale di 391 km, valida per la decima prova (di tredici) del Campionato Mondiale di Formula 1. Davanti a oltre 150.000 persone, molte delle quali letteralmente “incastonate” all’interno dei cartelloni pubblicitari per avere una migliore visuale (quando si dice la passione…), Ickx scatta bene dal palo e cerca subito di guadagnare spazio sugli inseguitori. Deve vincere per riaprire il mondiale, che vede in testa Rindt con 45 punti, ormai impossibilitato a difendersi dalla rimonta del belga. I primi cinque viaggiano a una media spaventosa di oltre 230 Km/h. John Surtees, Jo Siffert, Rodriguez e Jack Brabham si ritirano nelle prime tornate, così come Ignazio Giunti sulla terza Ferrari, tradito al quattordicesimo giro da un problema alla frizione. Questo stesso guasto elimina, al venticinquesimo passaggio, il leader della corsa Ickx e la battaglia per il primo posto tra Stewart, Hulme, Beltoise e Regazzoni si fa sempre più incandescente, a suon di staccate al limite all’ingresso della Parabolica. E’ proprio quest’ultimo a spuntarla, portando un attacco ai tre avversari al giro numero 57, prendendo poi margine sugli inseguitori fino a portarlo a oltre cinque secondi. In volata Stewart beffò Beltoise per soli sette centesimi, quarto Hulme su McLaren attardato di tre decimi dal podio, quinto Stommelen con sei secondi e quattro di distacco dal vincitore.

Il via del 41esimo Gran premio d’Italia (source: Paolo D’Alessio, Formula Ferrari 1948-2002, SEP Editrice, 2002, copyright: unknown)

 

Regazzoni, con una prestazione magistrale, portò la Ferrari sul gradino più alto del podio a Monza, con la vittoria che mancava da tre edizioni; l’ultimo successo fu infatti di Ludovico Scarfiotti, tuttora ultimo italiano a vincere il GP d’Italia.

In seguito a quel weekend si aprirono molti dibattiti sulla sicurezza. Sul banco degli imputati i guard rail eccessivamente taglienti, i materiali delle vetture e l’equipaggiamento dei piloti. Al tempo non era ancora obbligatorio il casco integrale. Mentre chi ci saluto’ per sempre quel giorno indossava, seppur malvolentieri un casco integrale, chi gioì per il suo primo successo in Formula 1 usò un casco jet, con degli occhiali motociclistici a protezione degli occhi e un passamontagna a coprire la parte esposta del viso.

Altri tempi: non necessariamente migliori, senz’altro diversi, ma indubbiamente epici ed indimenticabili.

 

La sintesi del GP Italia del 1970 (credits: veroMagillino F1, copyright: unknown)

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