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Il Mondiale che non doveva esserci
Si dice spesso che il battito d’ali di una farfalla provochi un ciclone dall’altra parte del globo e seguire il ciclismo da bordo strada è come assistere ad un volo di questo insetto. Ore di attesa per assistere al passaggio di un plotone di atleti. Un passaggio breve quanto un battito d’ali e multicolore come le stesse ali di una farfalla esotica, ma ugualmente capace di rapire chi ha la fortuna di assistervi. Il Mondiale di Imola 2020 è stato il Mondiale dei voli ad iniziare dal suo “posarsi” sulla città romagnola con sole tre settimane di anticipo dando così il via ad una sfida che nessun’altro organizzatore aveva mai sostenuto in precedenza. Ma andiamo con ordine perché la storia di quattro giorni irripetibili merita di essere gustata tutta come un buon vino delle colline romagnole.
ANNA METTE LE ALI Il primo grande e spaventoso volo di “Imola 2020” è stato quello di Chloe Dygert, la campionessa del mondo in carica contro il tempo il cui volo verso la secondamaglia iridata consecutiva è stato interrotto bruscamente da una foratura nella più insidiosa curva in discesa del tratto tra Codrignano e Imola trasformandosi in un volo spaventoso nel pendio oltre il guard-rail. Proprio la lama di quest’ultimo è stata causa delle bruttissima ferita alla gamba per l’atleta americana ed unica nota triste di queste giornate. Chloe tornerà a volare più di prima, ne siamo certi, ma il suo volo oltre le barriere ha messo le ali all’eterna seconda Anna Van der Breggen, l’olandese che ha finalmente colto l’iride a cronometro dopo aver sfiorato più volte l’impresa. Ma questo era solo il primo volo di Anna che, tempo un paio di giorni, ha nuovamente aperto le ali per andare a prendersi anche il titolo nella gara in linea con un’azione da applausi partita al penultimo giro sulla rampa finale della Cima Gallisterna e conclusasii sotto l’arco d’arrivo. L’immagine che rimarrà sempre il simbolo di questo Mondiale è proprio la sua, in fuga, velocissima e leggiadra sul dritto crinale di via Sabbioni nella picchiata verso l’Autodromo seguita dal volo di un elicottero che inseguendola ha immortalato la sua maglia arancio vivo sullo spettacolare sfondo dei calanchi della valle del Santerno illuminata dal sole di settembre. No, non era un film d’azione hollywoodiano, ma la prima magia di un Mondiale che non doveva nemmeno disputarsi.
IL VOLO DI TOP GANNA Prima di volare sulle salite è stato il momento di un altro volo. Il volo di un ragazzo di 24 anni che era già stato capace di prendersi quattro iridi scivolando più veloce di tutti sui velodromi, ma ancora nessuno poteva sapere che anche su una pista ben diversa sarebbe stato il più forte. Alle 15.52:30 di venerdì 25 settembre 2020 dalla pedana ai piedi della torre dell’Autodromo Enzo e Dino Ferrari è “decollato” Filippo Ganna da Vignone, nel Verbano, che a 53 km/h di media è schizzato verso Borgo Tossignano iniziando a regalare un sogno iridato a mezzaItalia che lo seguiva in TV e a chi gli sventolava il tricolore lungo la Via Montanara. 53 km/h non sono certo il muro del suono ma chi, come noi, dopo la partenza è corso ad attendere il passaggio di Filippo sui tornanti di via Tenni non ha ci fatto troppo caso. Perchè il volo di quella maglia azzurra lanciata a rincorrere Tom Dumoulin partito con 2 minuti di anticipo ha fatto vibrare il petto come quello di un caccia militare sibilante nel cielo di Romagna. Il Mondiale che non doveva nemmeno disputarsi aveva compiuto la sua seconda magia portando in Italia il titolo mondiale nella corsa contro il tempo per la prima volta nella storia. E trasformando Filippo in “Top Ganna”. Per sempre.
DOVE OSA LA PASSIONE Mazzolano e Gallisterna non sono certo le cime dove osano le aquile, fino a qualche giorno fa erano solo due semplici strade strette e tortuose che si inerpicavano sui colli unendo Imola e Riolo Terme passando da una vallata all’altra. Due strade ben note a chi, matto come solo noi imolesi sappiamo essere, ogni tanto preferiva complicarsi la vita sputando i polmoni sui pedali invece di volare tranquillo sulle placide strade della “bassa”. Da ieri invece sono volate nella storia dello sport grazie alla corsa “regina” del Mondiale che non doveva nemmeno disputarsi.
Era plumbeo e minaccioso il cielo sopra Imola alle 9,55 di domenica 27 settembre 2020, ma nessuno se ne curava. Non ci faceva caso il gruppone degli atleti in gara, pronto a spiccare il volo dal rettilineo dell’Enzo e Dino Ferrari. Non ci facevano caso gli uomini dell’organizzazione che stavano per vedere realizzati gli sforzi delle ultime settimane. Non ci facevano caso le centinaia di volontari sparsi sul percorso a preservare la sicurezza del gruppo per pura passione. Soprattutto non ci facevamo caso noi che in decine di migliaia abbiamo “volato” per chilometri tra strade, sentieri, campi, salite e discese con la semplice certezza che, comunque sarebbe andata, dovevamo essere parte di un evento che avrebbe scritto una pagina di storia sportiva, ma non solo. Non si poteva far caso al vento freddo e alle nuvole che ad ogni minuto sembravano promettere secchiate di pioggia: sulle strade tra Santerno e Senio dovevamo vivere una grande festa fatta da bandiere, gazebo, birra, salsicce e piadine scambiando dietro le mascherine gli sguardi con persone di maglia e lingua diversa, ma con la medesima unica e immensa passione.
LA PICCHIATA DI “LOU LOU” Hanno volato i sette coraggiosi che dal mattino si sono lanciati in fuga davanti al gruppo dei “rapaci” che si sarebbero lanciati poi per conquistare il titolo scortati in volo dallo “stormo” dei gregari. Castillo, Traeen, Friedrich, Koch, Fomynkh, Arashiro e Grosu erano semplici prede, certe che per loro non ci sarebbe stato scampo anche volando 7 minuti davanti ai “predatori” del gruppo. Tuttavia questi sette ragazzi hanno dato tutto per mostrare al mondo indiretta i colori delle loro nazionali per oltre quattro ore. Già, anche questo significa correre un Mondiale che si stava trasformando in una corsa di tattica ed attesa, in cui i primi movimenti iniziavano a colorare la testa del gruppo del bianco e rosso di Danimarca e Svizzera seguite dalla macchia azzurra cerchiata di tricolore della nazionale belga. Nessuno sembrava voler spiccare il volo fino al penultimo giro quando ad aprire le ali è stato colui che solo sette giorni prima aveva dipinto di giallo quelle stesse ali “planando” sugli Champs Elyssées. Tadej Pogacar ha mostrato ancora una volta il suo talento ed il suo coraggio “decollando” davanti a tutti e regalando il sogno del primo mondiale ai tanti sloveni giunti in terra di Romagna. Peccato per lui che il sogno sia finito proprio davanti a noi, sulle rampe del Mazzolano, con due bimbi che correndogli accanto sventolavano la bandiera del suo paese. Lo scatto di Tom Dumoulin non ha lasciato scampo al giovane vincitore del Tour e da quel momento sono iniziate le grandi manovre in vista della salita che stava per entrare nella leggenda: la Cima Gallisterna. Era arrivato il momento del “Falco”, il favorito, il predatore che doveva fare suo il bottino più ghiotto. Tutti lo attendevano e lui lo sapeva.
Si era allenato per tre settimane con scatti e fughe sulle strade di Francia per essere pronto a spiccare il volo proprio lì, all’ultimo passaggio, dove tutti lo attendevano e dove tutti si aspettavano che avrebbe potuto giocare e perdere la posta massima. Ma lui non ha tradito le attese ed ha rilanciato, decollando sui pedali e volando via tra le due ali di una folla festosa, colorata, rumorosa ed in troppi casi non “mascherinata”. Sulla Gallisterna è partito il volo di Julian Alaphilippe, per i transalpini “Lou Lou”, che in poco tempo si è tramutato in una picchiata verso il traguardo nuovamente immortalata da spettacolari immagini “volanti” come accaduto 24 ore prima con Anna Van der Breggen. Il suo arrivo a braccia (o forse meglio dire ali?) aperte ha fatto da preludio ad un infinito pianto liberatorio che ha bagnato di lacrime una maglia iridata tornata dopo 23 anni, meritatamente, al di là delle Alpi. Alaphilippe a Imola è volato per sempre nella storia del ciclismo, ma senza nulla togliere a Julian la grande vittoria è stata quella di una città e del suo territorio che in un anno che ha sconvolto il pianeta hanno saputo mostrarsi al resto del mondo in tutta la loro bellezza, accarezzata da una passione calda e carezzevole. Il Mondiale è volato a Imola leggero e veloce come una farfalla ed altrettanto velocemente è volato via. Ma chissà che questo “batter d’ali” di quattro magici giorni di settembre non provochino altri cicloni capaci di regalare momenti storici ad una città, romagnola, che ama definirsi “il trattino che unisce Emilia e Romagna”. Il Mondiale che non doveva disputarsi è già leggenda e Imola è pronta a volare nel futuro dopo essersi sentita di nuovo grande.
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