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Imola ’94, il tramonto in primavera
Villeneuve e Paletti. Senna e Ratzenberger. Il primo, il più grande, l’idolo delle folle. L’ultimo, spassionato sognatore nella valle del pericolo. I primi due uniti da un destino comune a poche settimane di distanza. Anno 1982, GP del Belgio, qualifiche: la Ferrari di Gilles vola dopo il contatto con la March di Mass e la corsa del canadese, in pista e nella vita, finisce lì. Gli altri due, quattordici anni dopo, sono stati invece un brusco risveglio dopo un periodo in cui tutto il mondo della Formula 1 pensava di averla scampata. I due estremi della vita, dello sport. Differenze abissali che al destino importano meno di zero. C’era il sole a Imola in quel week-end del 1994, ma sin dal venerdì si addensarono le nubi.
Prove libere, Barrichello con la sua Jordan vola su cordoli alti e assassini andando a impattare sulle gomme prima della variante che portava al traguardo, e se la caverà con una ammaccatura al polso che gli farà saltare la gara. Il bonus dello spavento è già finito lì: il giorno successivo sarà dolore vero, con l’alettone della Simtek di Ratzenberger che vola via. Indovinate dove? Alla curva Villeneuve, dove l’ex ferrarista passò un brutto quarto d’ora nel 1980. Su “Autosprint” del novembre 1993, Alberto Antonini aveva scritto: “La Simtek S941, la monoposto più chiacchierata del prossimo mondiale (sempre che ci arrivi) è apparsa nel suo blu-violetto per la prima volta lo scorso 29 ottobre, ma agli effetti speciali il suo progettista, il ventisettenne Nick Wirth, aveva dovuto rinunciare da tempo. Le sospensioni sono banalissime push-rod, e in galleria del vento pare che emergano problemi di flusso aerodinamico. Due i problemi della neonata squadra: il tempo e il denaro”.
La foto di squadra della Simtek Grand Prix con i due piloti Roland Ratzenberger e David Brabham (sconosciuto)
Difficoltà a trovare sponsor e piloti, costi ridotti. Ratzenberger, che aveva ben figurato in altre categorie nel motorsport, non vedeva l’ora di entrare nell’abitacolo di una Formula 1. Pagando, ovviamente: aveva denaro sufficiente per cinque GP, poi anche per lui, chissà. La Simtek faceva al caso suo. Finì contro quel muro a trecento all’ora, dopo aver perso quell’alettone, sabato 30 aprile 1994, e la testa che penzolava sull’abitacolo dopo l’impatto era già il sipario che calava. Il dolore di quella tragedia, che non dovrebbe portare differenze di sgomento a seconda di chi ne fa le spese, si pensava che in fondo però potesse essere accantonato nello spazio di una notte. Il circuito non viene sequestrato, perché la morte del pilota è avvenuta all’esterno dello stesso, e pare più un escamotage per far disputare la gara. Che parte con Ayrton Senna in pole: tre su tre con la sua Williams. Senza più elettronica, senza più sospensioni che fanno tutto da loro. Difficile da guidare, con un abitacolo stretto. “Se mangio un panino non posso più entrare in macchina. Pagano il miglior pilota del mondo e il posto di guida è restato alla misura di Prost. Ho chiesto di cambiare la vettura, completamente”, confessò Ayrton al suo amico e fotografo Angelo Orsi dopo i test invernali sulla nuova monoposto, la quarta della sua carriera in Formula 1. Ecco, Ayrton sì che non fa differenze. E’ turbato, perso e distante. Mai accaduto in dieci anni che corre. Leo Turrini ha raccontato: “Lo vidi in lontananza nella corsia box. Gli feci un cenno, per sapere se aveva voglia di parlare, di dire qualcosa. Lui mi rispose a malapena, non ne aveva proprio voglia. Fu l’ultima volta che lo vidi”.
Il primo via del Gran Premio di San Marino 1994. Tra poco ci sarà l’impatto tra le vetture di Letho e Lamy (sconosciuto)
Il destino se ne frega, dicevamo. Si parte, e Pedro Lamy centra la Benetton di Letho ferma in mezzo alla pista. Una gomma vola in tribuna e ferisce quattro spettatori. Nella diretta Rai è incredibile come Poltronieri, Regazzoni e Palazzoli, ossia sei occhi, non facciano cenno allo pneumatico killer che oltrepassa le barriere. Si riparte, e Senna resta davanti. Alle 14.16 di quel primo maggio, quando anche i turnisti di fabbrica, magari appassionati di corsi, sicuramente tifosi Ferrari e probabilmente ammiratori anche del brasiliano, cala un altro sipario. “Senna era un capo. Di solito, nei film con gli indiani, il capo tribù non muore. Gli sparano, ma lui evita tutte le pallottole, altrimenti finisce il film. Con Senna è finito il film”, dirà sempre Giorgio Terruzzi, che una volta con Senna fece un viaggio aereo in business class per puro caso, tornando da una trasferta. Dritto al Tamburello, laddove Alboreto (1983), Piquet (1987) e Berger (1989) avevano già rischiato dopo impatti simili, con la rossa dell’austriaco che prese pure fuoco. Anche Ayrton a trecento allora, anche Ayrton con la testa penzolante, immobile. “E’ ora di capire che questa Formula 1 è finita”, decanta ora Poltronieri. Ci voleva la morte del più grande, per convincersi. Perché forse, il giorno prima, la morte non aveva avuto lo stesso peso. Eric Comas, proprio quel pilota al quale Senna nel 1992 aveva salvato la vita slacciandogli il casco dopo un incidente in Belgio, arriva a tutta velocità con la sua Larousse ignaro del fatto che in pista ci sia l’elicottero dell’elisoccorso di Bologna e che la gara sia stata sospesa. E quasi fa strike.
Schumacher vince in solitaria la terza gara su tre, mentre Senna è clinicamente morto al Maggiore di Bologna. Maria Teresa Fiandri, quel giorno di riposo, corse al nosocomio subito dopo l’impatto, senza nemmeno aspettare il suono del suo cercapersone e poco prima delle 19 annuncia in diretta che il cuore di Senna ha finito di battere dopo 34 anni. Un giovane Hakkinen, che era stato compagno di Senna in McLaren nell’ultima annata sostituendo Andretti junior, arriva terzo. E la Ferrari? Alesi, già assente al Gp del Pacifico due settimane prima per un incidente al Mugello, non c’è nemmeno a Imola. E il suo sostituto, Nicola Larini, arriva secondo. Proprio nel giorno più triste per essere felici.
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