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I Racconti del Commissario – La ruota di Eddie

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La storia delle corse è fatta di eventi inspegabili, discussi e discutibili. Di solito sono fatti dolorosi, che hanno condizionato in negativo un risultato accarezzato, sospirato, desiderato. Uno dei più brucianti per la Motor Valley ha per protagonista la Ferrari in un’annata unica come il 1999. Quando quel mondiale piloti atteso da due decenni sembrava essere a portata di mano di Eddie Irvine, scudiero designato promosso a capitano.

Un mondiale impazzito

Nurburgring, 26 settembre 1999. La Formula 1 era giunta al terz’ultimo appuntamento di una stagione in cui la sceneggiatura di ogni tappa sembrava scritta da un autore di romanzi thriller. La prevista lotta tra la McLaren di Mika Hakkinen e la Ferrari di Michael Schumacher si era trasformata strada facendo in un triello che vedeva sfidarsi il finlandese, la sorpresa Heinz-Hararld Frentzen su Jordan ed il già citato Irvine, compagno del tedesco in Ferrari. Schumacher aveva dovuto alzare bandiera bianca nella lotta al titolo vista la doppia frattura a tibia e perone rimediata a Silverstone ed Eddie, che aveva colto la sua prima vittoria in un rocambolesco Gran Premio di Australia, si ritrovava dopo altre due affermazioni in Austria e Germania a contendere la corona iridata allo scandinavo della McLaren. La scuderia di Maranello era compatta a sostenere il nordirlandese nella contesa. O almeno le intenzioni sembravano essere queste alla vigilia del Gran Premio d’Europa.

 

A nervi scoperti

Con il passare delle gare la competizione si era fatta appassionante e si stava trasformando soprattutto in una lotta di nervi. La McLaren sembrava non concretizzare una superiorità tecnica abbastanza evidente e Hakkinen era reduce dal clamoroso errore di Monza. La Ferrari invece senza il suo pilota di punta aveva più volte perso il bandolo della matassa nella gestione degli assetti mostrando preoccupanti cali di competitività. Si era così giunti al ‘Ring con una classifica che recitava: Hakkinen e Irvine 60 punti, Frentzen 50. In Ferrari, ben consapevoli dei capricci del meteo che nell’Eifel avrebbero potuto condizionare la corsa, si decise di elaborare una strategia innovativa per i cambi gomme previsti. Ma anche per quelli imprevisti.

 

A lezione di pit stop

Il giorno della gara la sveglia dei meccanici Ferrari aveva suonato più presto del solito perché alle 7 iniziava una lezione molto particolare. Negli ultimi giorni si era elaborato un sistema di comunicazione tra muretto ed addetti alle soste che non prevedeva l’uso delle radio. Lo scopo era evitare eventuali intercettazioni da parte degli avversari in una fase così calda della stagione. Il sistema era molto semplice: si faceva corrispondere un colore ad ogni treno di pneumatici sulla base di un codice che solo gli uomini della Scuderia conoscevano. Prima di ogni sosta Ignazio Lunetta, ingegnere di pista seduto al muretto, avrebbe esposto agli addetti il cartello colorato con il nome del pilota per indicare quali ruote prelevare. La procedura non poteva considerarsi complessa, ma qualche prova per rodare il meccanismo era necessaria. Infatti da bravi scolari i meccanici Ferrari sedevano nel box pronti a scattare alla vista del cartello che Lunetta estraeva da dietro la schiena come un abile prestigiatore. La prova pratica andò bene, o almeno così sembrava. Non restava che applicare in gara quanto appreso.

 

Un meccanismo quasi perfetto

Nonostante una scelta sbagliata di mescole in qualifica, la gara sembrava mettersi bene per la Ferrari. Irvine dopo alcuni sorpassi si era installato in terza posizione ben davanti al rivale diretto per il titolo Mika Hakkinen. A condurre restava l’altro contendente Frentzen, ma con soli 9″ da recuperate tutto era in ballo. Tuttavia l’imprevisto era dietro l’angolo, sotto forma di acqua allo stato liquido. Al ventesimo giro la pioggia aveva iniziato a cadere ed Eddie aveva perso subito terreno. Una prima sosta per passare alle “rain” era necessaria e gli uomini in rosso erano già pronti. Intanto nelle retrovie il sostituto di Schumacher, il finlandese Mika Salo, rovinava l’anteriore in un passaggio su un cordolo e la squadra decideva di richiamarlo via radio ai box per la sostituzione immediata del musetto. Peccato che i meccanici avessero già pronte gomme e benzina per l’atteso Irvine quando Lunetta fece spuntare un cartello blu col nome Salo. Fuori con le gomme da bagnato per il finnico! Il repentino cambio di programma creò immediata confusione e l’anteriore sinistra si mise a giocare a nascondino per un po’ prima di farsi trovare e finire sulla F399 di Mika. Il risultato fu un disastroso pit stop lungo sessanta secondi che tagliava la Ferrari numero 3 fuori da ogni possibile risultato utile. Ma il peggio doveva ancora arrivare.

 

Che fine ha fatto la posteriore destra?

Non ci si era ancora ripresi dal trambusto della sosta di Salo che al box Ferrari si pensava già a quella programmata per Irvine, in stretta marcatura al rivale Hakkinen che si era appena fermato. Mentre i meccanici si stavano ancora chiedendo se questa storia dei colori fosse poi così chiara, Eddie dapprima chiese coperture da bagnato poi, proprio in vista dei box, cambiò idea chiedendo gomme da asciutto. Il cartello blu estratto da Lunetta diventò velocemente giallo e appena la Ferrari numero 4 si fermò sulla piazzola intorno scoppiò il caos. Pare che in quel momento ci fossero intorno alla vettura tre treni di gomme meno una: la posteriore destra slick che doveva essere fissata alla monoposto di Irvine. Voci incontrollate narrano di un cameraman della produzione televisiva internazionale che si sbracciò per indicare ai meccanici dove si fosse nascosta la ruota mancante, di sicuro nel frattempo era stata montata un’ anteriore sinistra di un treno sbagliato. La frittata era fatta: per completare l’operazione ci vollero venti secondi in più del preventivato ed il nordirlandese uscì in pista quattordicesimo a quasi un minuto dalla testa della corsa. Con tanti cari saluti alla zona punti.

Il discusso cambio gomme di Irvine con la sparizione della posteriore destra (ilpilotanostalgico – Dailiymotion)

Processi sommari

La gara finì in modo rocambolesco con la clamorosa vittoria di Johnny Herbert al volante della Stewart, scuderia al primo ed unico centro iridato della sua storia. Il trionfo di quella squadra che stava per diventare Jaguar fu completato dal terzo posto del compagno Barrichello. Hakkinen aveva guadagnato solo due punti su Irvine, ma le accuse alla gestione Ferrari esplosero subito con violenza. Giornali e televisioni scatenarono la caccia ai colpevoli di un pasticcio che aveva ridicolizzato la Scuderia in mondovisione. Il nome più ricorrente nelle accuse era quello del responsabile della Gestione Sportiva, quel Jean Todt arrivato come un piccolo Napoleone ma dopo sei anni ben retribuiti in Ferrari non aveva ancora centrato l’obiettivo mondiale. Non vennero risparmiati nemmeno il coordinatore delle operazioni ai box Ross Brawn ed il responsabile dei meccanici Nigel Stepney. Addirittura si scoprì che quel giorno al Nurburgring era assente Leonardo Poggipollini, uno dei meccanici responsabili degli pneumatici al box Ferrari che avrebbe dovuto occuparsi proprio della posteriore destra ai pit stop. Le voci parlavano di uno screzio con il suo “capo” francese, ma a questo punto la storia si mischia con le leggende metropolitane. Di sicuro c’è solo che la riunione del lunedì successivo a Maranello al cospetto del presidente Montezemolo fu molto burrascosa, ma non vi fu alcun taglio di teste in nome di una sola parola d’ordine: stabilità.

 

I dubbi degli sconfitti

Il finale di campionato è ben noto: Schumacher ritornò al volante regalando la vittoria in Malesia ad Irvine, ma in Giappone fu Hakkinen a festeggiare trionfando davanti al tedesco e ad un Irvine in affanno. Alla fine la classifica mondiale recitava: Hakkinen 76, Irvine 74. Due punti di scarto, proprio pari a quelli conquistati da Mika al Nurburging. Quei punti di un quinto posto che, senza i venti secondi persi con la figuraccia ai box, avrebbe potuto essere di Eddie. Una coincidenza sinistra che ovviamente scatenò illazioni. Che figura avrebbero fatto a Maranello se a riportare il mondiale piloti nella Motor valley dopo due decenni fosse stato il nordirlandese con le valigie già pronte in direzione Jaguar e non il tedesco lautamente pagato per raggiungere l’obiettivo? Perchè un errore, anzi un orrore, così assurdo per dei meccanici estremamente preparati viene compiuto proprio nel momento decisivo?

 

La morale dei campioni

Le domande rimasero sospese per tutto l’inverno, poi la squadra tanto criticata iniziò un lungo ciclo di successi a partire dall’anno 2000. La triade Schumacher-Todt-Brawn divenne la più amata dagli italiani e la ruota del Nurburgring rimase solo un lontano ricordo coperto dalla valanga di trionfi conquistati. Tuttavia la tesi della ruota smarrita non per sbaglio ha continuato a riproporsi negli anni. Davanti ai complottisti dell’assurdo ed ai negazionisti dell’evidenza si può solo raccontare i fatti nella loro cruda realtà per far comprendere quanto sia insensata la tesi di un team che decide razionalmente di perdere per dimostrare la dipendenza da un pilota. Resta un dato inconfutabile: anche la squadra apparentemente più dominante senza il suo pilota simbolo diventa pasticciona e vulnerabile. Forse l’insegnamento migliore di queste storie è proprio che l’uomo riesce ancora a fare la differenza quando si tratta di un campione, tipo un Michael Schumacher o un Lewis Hamilton, capace di infondere nei componenti del team la sicurezza di concretizzare al massimo gli sforzi comuni facendo gruppo anche nei momenti difficili. Le teorie bislacche e le gerarchie tra leggende le lasciamo agli “sportivi” da social.

 

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