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I racconti del Commissario – Jules per sempre
Romagna asiatica
Imola, marzo 2011. La “primavera araba” in quell’inverno aveva sconvolto gli equilibri politici consolidati di un intera regione senza risparmiare anche la piccola monarchia del Bahrain, dove i disordini portarono all’annullamento di tutto il programma previsto per il circuito di Sahkir compreso il Gran Premio di Formula 1 e la seconda tappa del campionato invernale di GP2 Asia. Come recuperare la corsa? Per un solo fine settimana Imola divenne una città “asiatica” in piena Motor Valley per recuperare la gara saltata a Sahkir. Un’ ottima opportunità per la pista e per le squadre che si trovavano a risparmiare parecchio per la trasferta. Il problema invece nacque per la maggioranza dei piloti che si trovavano a correre su una pista mai vista. La settimana precedente all’evento era prevista una due giorni di prove dedicata alle vetture di formula, con una nutrita pattuglia di squadre provenienti dal campionato europeo di Formula 3 arrivate in riva al Santerno per macinare chilometri con i nuovi piloti. Come ufficiale di gara in servizio venni dedicato alla postazione semaforica della corsia box, in pratica a pochi centimetri dalle vetture in uscita. Si trattava di una giornata molto lunga e non semplice, spezzata da una dozzina di bandiere rosse per incidenti o problemi tecnici alle monoposto. In pratica la luce rossa del semaforo era più intermittente di un addobbo natalizio.
Bianchi impegnato in GP2 nel 2011 con la Dallara del Team ART Grand Prix (GP2 Media Service)
Un giovane interessante
Le continue interruzioni consentivano di conoscere sempre meglio vetture e piloti che rientravano in pista ad ogni ripartenza e la mia attenzione fu rapita da una delle Dallara del team ART guidata da un giovane pilota francese con un vistoso casco dai fregi dorati. La sua particolarità era di non essere più impegnato in Formula 3, ma di essere già al vertice in GP2. Era un ragazzo molto interessante, primo nome scelto dalla Ferrari per la sua “Driver Academy”, che si sarebbe giocato proprio a Imola il titolo di GP2 Asia contro un certo Romain Grosjean. Il suo nome era Jules Bianchi. Non è da tutti accettare di impegnarsi due giorni in una categoria inferiore e già vinta solo per conoscere una pista mai vista sulla quale ci si giocherà un titolo. Dieci giorni dopo il finale di campionato non fu favorevole a Jules, travolto dal “ciclone” Grosjean, ed anche la stagione 2011 fu al di sotto delle attese per il giovane transalpino. Tuttavia la Ferrari gli confermò la fiducia anche nel 2012 addirittura portandolo in Formula 1 con la Force India come terzo pilota. Ancora una volta però Bianchi mancò la vittoria nel campionato che disputò da favorito, la World Series Renault. Arrivò il miglior tempo in una sessione di test a Magny Cours al volante della Ferrari, ma certe prestazioni lasciano un po’ il tempo che trovano, pensai perplesso. Ma mi sarei presto ricreduto.
Una spettacolare lotta tra Bianchi e Vietoris a Silverstone nella GP2 2011 (FeederSeriesFan su YouTube)
Arriva la Formula 1
Al via del mondiale 2013, la sempre boccheggiante Marussia si ritrovò senza i lauti bonifici promessi dagli sponsor del pilota designato, il brasiliano Luis Razia. Poco male: la Ferrari colse l’occasione per far salire in macchina proprio Bianchi, sul quale a Maranello sembravano credere fermamente. A quel punto Jules, che doveva fare esperienza senza pressioni, diede una svolta decisa. Con pochi chilometri alle spalle ed una vettura che con prestazioni più prossime alla GP2 che a quelle delle avversarie, Bianchi iniziò da subito a precedere in prova il compagno e le due Catheram. In pratica divenne ben presto il primo della “serie C” del campionato del mondo. Impegno e sostanza erano le doti del giovane francese, che al crescere della potenza sembrava sempre più a suo agio con la vettura. Come i veri talenti del volante. Gara dopo gara iniziavo ad apprezzarlo, unendo tutto ciò anche ad una istintiva simpatia personale per quel ragazzo così gentile nei modi ad ogni domanda dei giornalisti. Un “antipersonaggio” che non conosceva gli eccessi ma non rinunciava ad una sua personalità, un ragazzo normale con cui avrei potuto scambiare due chiacchiere ai box condividendo la stessa passione.
Il grande giorno
Finalmente un giorno di maggio a Montecarlo, il circuito cittadino in cui correre con una Formula 1 è come “girare in bicicletta nel salotto di casa” (cit. Nelson Piquet) arrivò l’occasione da non perdere. Con la sua apparente insensatezza il Gran Premio di Monaco era l’unica possibilità di ben figurare per Jules, quella in cui poteva sopperire con il talento alle mancanze tecniche del mezzo. A fine gara Bianchi chiuse nono cogliendo i primi due punti della carriera e della storia della Marussia in Formula 1. La squadra lo portò in trionfo, forse fiutando che il “bonus” economico figlio di questo risultato e quantificabile in alcune decine di milioni di dollari l’avrebbe salvata dalla chiusura l’anno successivo. Come effettivamente avvenne. A lui però tutto questo importava poco, continuava a migliorarsi ed il futuro sembrava sorridergli. Nel corso del campionato 2014 il suo passaggio in una squadra più competitiva per il 2015 appariva sempre più scontato.
Appuntamento a Suzuka
Il 5 ottobre il Gran Premio del Giappone su una pista tecnica come Suzuka sembrava fatto per esaltare le sue non comuni doti di pilotaggio anche al volante di una monoposto poco competitiva. Se poi le condizioni di gara fossero state difficili come accade spesso e volentieri dalle parti di Nagoya, allora le possibilità di ben figurare sarebbero state concrete. Ebbene, i televisori nella prima mattina italiana trasmettevano le immagini di un circuito inondato da un vero diluvio. Proprio come poteva sperare Jules. A Imola invece quella domenica era dedicata alle gare nazionali del Peroni Race Weekend, una delle tante giornate piena di gare dedicate ad auto storiche e moderne. Vista la concomitanza il mio personale appuntamento con Suzuka era rimandato alla replica preserale, ovviamente evitando qualunque tipo di notizia relativa al gran premio.
Differita personale
Per quanto mi riguardava la gara partì “in diretta” alle 18,30 ora italiana, con la ragazza che mi accompagnava all’epoca mi resto pazientemente accanto a me davanti al televisore. Addormentandosi lentamente. La corsa sembrava limitarsi ad una lotta per il vertice tra le Mercedes di Hamilton e Rosberg che sotto la pioggia battente stavano ridicolizzando il resto del gruppo finché a tre quarti di gara le immagini si fissarono sulla curva di uscita dalla sezione delle “esse”. La Sauber di Sutil era ferma da un giro ed una gru mobile era uscita sulla via di fuga per il recupero della vettura “coperta” dalle doppie bandiere gialle sventolate dai commissari nelle postazioni precedenti. Tuttavia la grafica segnalava ferma la Marussia di Bianchi della quale non si vedeva nulla. Non era possibile capirlo da quella inquadratura, ma Jules aveva perso il controllo della sua vettura e si era in pratica infilato sotto il posteriore della gru mobile con una terribile decelerazione di 254G, finendo poi nelle barriere. Solo dopo, allo sventolare delle bandiere rosse, iniziammo a renderci conto del dramma. La ragazza che pazientemente dormiva appoggiata alla mia spalla si svegliò restando basita davanti allo schermo, proprio come me che continuavo a pensare a quel casco coi fregi dorati che mi sfiorava tre anni prima in una giornata di test invernali sulla nostra pista. Quel casco che non aveva un solo graffio ma dentro al quale il cervello di Jules aveva subito danni gravissimi. Sembravano esserci ancora speranze per lui, che venne trasportato in elicottero all’ospedale di Yokkaichi per essere operato alla testa, lasciando tutti nell’attesa. La settimana dopo a Sochi tutti i colleghi di Bianchi attaccarono in gara sui loro caschi un adesivo creato dal suo amico Jean Eric Vergne con una semplice scritta “Tous avec Jules”. Ne stampai uno tutto mio e lo applicai sul mio caschetto da commissario per la gara della Formula 3 Europea che quel giorno si correva a Imola.
La lunga attesa
Da lì in avanti rimase solo un dignitoso silenzio insieme alla speranza, alimentata dal trasferimento di Jules all’ospedale di Nizza, la sua città. Fino alla mattina del 17 luglio del 2015, quando quella ragazza che era accanto a me nove mesi prima e che conosceva a malapena il nome di quel giovane pilota mi scrisse un messaggio semplicissimo: “E’ morto Bianchi”. Forse ero già pronto, forse me lo aspettavo senza ammetterlo a me stesso, ma la realtà era quella. Non potevo dire nulla in quel momento, mi salì solo una grande tristezza pensando a quel casco coi fregi dorati che mi sfiorava in pista. Per vent’anni la morte in Formula 1 era stata solo un ricordo lontano avvolto dalla leggenda di Ayrton Senna, ma era tornata a ricordarci che “motorsport is dangerous” facendolo senza troppi clamori. Perché la morte “in differita” di un pilota ancora digiuno di successi non è paragonabile a quella in diretta del campione osannato dalle folle. Tuttavia era per me ugualmente dolorosa. Sono passati anni da quel 5 ottobre e sul mio nuovo casco da commissario di percorso sopra il logo dell’Enzo e Dino Ferrari c’è un adesivo con scritto “Tous avec Jules #17” che continua ad accompagnarmi. Adieu Jules.
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