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La Repubblica – Italia a Tokyo senza bandiera e inno. La decisione del CIO sarà ratificata mercoledì: i motivi
E l’incubo si realizzò. La Repubblica stamattina apre la giornata dello sport italiano con la notizia più triste di tutte: l’Italia andrà a Tokyo2020 (2021) senza bandiera e senza inno. Uno smacco riservato nell’ultima edizione alla Russia, che non si era potuta presentare come Nazione, ma aveva dovuto vedere i propri atleti partecipare senza indossare i vessilli nazionali e senza sentire il proprio inno in occasione delle vittorie.
Allora fu colpa di un sistema fraudolento: la Russia aveva infatti instaurato un vero e proprio regime di doping dei propri atleti, coprendo le tracce con la collaborazione degli organi di governo. Oggi per l’Italia l’infrazione non è grave come quella della Russia, ma contravviene alle regole del Comitato Olimpico Nazionale. Secondo il CIO, secondo i regolamenti sottoscritti dal CONI stesso dalla fondazione ad oggi, il Governo italiano ha leso e invaso l’indipendenza dello sport italiano.
Nella fattispecie il motivo è da ricercarsi nella riforma del CONI messa in atto dal primo Governo Conte.
La riforma del CONI è stata inserita nella Legge di Bilancio 2019, a firma dell’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, e lasciava immutati i poteri del Comitato Olimpico Nazionale in materia giuridica, olimpica e dunque sportiva. Tuttavia, rimodulava la gestione del “portafoglio” del CONI.
Prima del 2019, la gestione dei fondi dedicati allo sport italiano erano a totale gestione del CONI, attraverso una società controllata dall’Ente, denominata “CONI Servizi”. La riforma del 2019 ha cambiato questo meccanismo. La società in controllo dei fondi del CONI ha innanzitutto cambiato nome: la “CONI Servizi” è stata rinominata “Sport e Salute”. Alla stessa “Sport e Salute” è stata assegnata la gestione quasi totale dei fondi statali per lo sport: il 90% dei fondi annuali, che per il 2019 si costituivano in 370 milioni dei 410 milioni. L’infrazione però giunge su un altro punto. La riforma aveva inoltre ridefinito le competenze e i poteri di Governo e CONI sulla società di gestione. Se precedentemente la “CONI Servizi” era totalmente controllata dal Comitato Olimpico Nazionale, con le modifiche apportate dal provvedimento la nomina dei vertici della società è passata completamente nelle mani del Governo.
Un provvedimento che secondo le regole del Comitato Olimpico Internazionale lede l’indipendenza dello sport rispetto alla politica. Un principio esistente in tutto il mondo. Non è infatti una novità assoluta, un esempio recente è quello della FIFA, che in Costa d’Avorio ha commissariato la presidenza della Federazione per il grave pericolo di ingerenze della politica nelle decisioni dell’organo di gestione del calcio della nazione africana.
Oggi è il turno dell’Italia fare i conti con il CIO, l’organo sportivo più importante al mondo. Andare alle Olimpiadi senza la propria bandiera e il proprio inno Nazionale non è solamente una punizione per lo sport italiano, è una ferita difficilmente rimarginabile nel cuore degli atleti italiani e degli stessi appassionati.
La decisione è attesa per questo mercoledì, nella prossima assemblea del CIO, e la decisione sembra ormai presa, visto e considerato che il pericolo è presente fin dal 2019, quando la riforma è passata e il CIO e lo stesso CONI avevano lanciato diversi moniti in merito alle possibili ripercussioni dovute a questa modifica delle competenze. Il provvedimento del CIO rischia di minare anche la credibilità del nostro Paese e di avere importanti ripercussioni per il futuro, visto che l’Italia nel 2026 dovrà ospitare le Olimpiadi invernali a Milano e Cortina d’Ampezzo.
Niente bandiera che sventola al passaggio del nostro Portabandiera durante la Cerimonia di Apertura e Chiusura, nessun Tricolore sul podio delle gare, nessun Inno di Mameli a risuonare negli impianti olimpici alla vittoria degli atleti italiani. Lo sport italiano può sopportare questa mortificazione?
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