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I racconti del commissario – Lamborghini V12, longeva esuberanza
Nato per stupire
Nel dare vita alla casa automobilistica che avrebbe portato il suo nome, Ferruccio Lamborghini non ammetteva mezza misure, come se le creature meccaniche dovessero riflettere il suo carattere sanguigno. Ovviamente il progetto della prima Lamborghini stradale doveva partire dalla componente più emozionale: il motore, l’organo deputato a donare brividi per il suono e la potenza da scatenare ad ogni colpo di acceleratore. Per un “cuore” del genere non poteva che esistere un’unica architettura: il 12 cilindri a V, una struttura che Ferrari aveva reso leggenda e che Lamborghini voleva per il più potente propulsore stradale a disposizione del pubblico. E per realizzarlo non poteva che rivolgersi al miglior tecnico sulla piazza.
Il leggendario V12 con le testate marcate Lamborghini fa capolino da un vano motore (Media Lamborghini)
Il geniale Giotto
Costui rispondeva al nome di Giotto Bizzarrini, illuminato tecnico toscano reduce dalla breve esperienza ATS e da un’importante permanenza in Ferrari. Universalmente riconosciuto come uno dei più capaci motoristi di tutti i tempi, Bizzarrini sognava di tornare nelle corse realizzando un propulsore per la Formula 1. La proposta di Lamborghini era molto semplice: dare sfogo alla creatività spremendo più cavalli possibile da un nuovo motore. La leggenda narra che Ferruccio diede ennesima prova delle sue capacità commerciali proponendo al progettista un singolare accordo. Una versione più politicamente corretta parla di un bonus economico per ogni dieci cavalli aggiuntivi, un’altra parla di un compenso extra per ogni punto di potenza in più rispetto al rivale di Maranello. In ogni caso Bizzarrini non poteva dire di no e si mise immediatamente al lavoro, completando in breve tempo un vero capolavoro.
La Miura: pietra miliare della storia Lamborghini spinta dal V12 progettato da Bizzarrini (Media Lamborghini)
Risultato sconvolgente
Anche sulla genesi si sprecano aneddoti e leggende, sicuramente Bizzarrini partì da un progetto che aveva precedentemente ipotizzato per la massima formula, forse imparentato con il contemporaneo Honda, con una cilindrata portata a 3,5 litri. Il propulsore era stato concepito da subito come bialbero (altra “provocazione” tecnica ai monoalbero Ferrari) con un angolo di 60° tra le bancate. Quando nel luglio del 1963 il primo prototipo girò al banco, i valori dinamometrici furono immediatamente esagerati: 370 CV (276 kW) a 9.000 giri/min, con un Bizzarrini che affermava di poter arrivare a 400 CV e 11.000 giri/min applicando un sistema ad iniezione. La potenza specifica di 107 CV/litro era qualcosa di mai visto prima e si scelse di mantenere l’alimentazione con i sei carburatori doppio corpo Weber più che sufficienti per raggiungere lo scopo iniziale. Lamborghini che fino all’ultimo centesimo per assicurarsi quel fantastico motore che avrebbe avuto il suo nome inciso sulle testate. Ma si ritrovò ad affrontare un problema inatteso: in pratica aveva tra le mani un propulsore da competizione non inutilizzabile su strada e tanto meno producibile in serie. Ben presto si sarebbe corsi ai ripari.
Una Countach Quattrovalvole in tutta la sua grinta (Media Lamborghini)
Bestia da domare
Il compito di “addomesticare” la belva toccò ad un giovane ingegnere bolognese, da poco entrato in Lamborghini. Si chiamava Paolo Stanzani, era stato scelto dallo stesso Ferruccio direttamente dall’università di Modena ed avrebbe fatto la storia della casa del Toro, passando dalle cariche di Direttore Tecnico e Direttore di Produzione fino a divenire Direttore Generale. Incaricato di “civilizzare” l’opera di Bizzarrini, Stanzani mostrò altrettanta genialità. I suoi correttivi non intaccarono le eccezionali prestazioni raggiunte ma resero il V12 piacevole anche ai medi e bassi regimi, favorendone la guidabilità. Le caratteristiche tecniche di base, sotto molti punti di vista una prima assoluta per la produzione, restarono inalterate. La potenza massima scese a 280 CV a 6500 giri/min, valore comunque ai vertici nel confronto con le rivali dell’epoca. Così tanto che la 350 GT, primo modello prodotto da Lamborghini nel 1964, correva ad una velocità massima di oltre 250 km/h. L’obiettivo era centrato!
La Aventador Ultimae Roadster chiude la storia dei V12 Lamborghini (Media Lamborghini)
Fuori dal tempo
Dopo la 350 GT toccò alla Miura ingigantire il mito del Toro con lo stesso V12 montato, altra prima assoluta per una stradale, trasversalmente dietro l’abitacolo. Sarebbe poi toccato a Espada e Countach ospitare il celebre propulsore che negli anni cresceva in cilindrata e potenza. La cubatura aumentò prima a 4,8 (Countach LP5000S) , quindi a 5,2, per giungere a 6,5 litri nell’ultima versione capace di oltre 500 CV. Furono montate testate a 4 valvole per cilindro (Countach Quattrovalvole) e l’iniezione elettronica prese il posto dei carburatori, mentre il sistema di lubrificazione passò dal carter umido al secco. Una coppia di V12 analoghi a quello della 350 GT vennero installati su richiesta dello stesso Lamborghini sul più veloce motoscafo Riva Aquarama mai costruito, mentre una versione specifica sarebbe stata utilizzata nei Campionati Offshore. Il risultato furono una decina di mondiali vinti tra il 1994 e il 2008. Quando il gruppo Audi-Volskwagen divenne proprietario della casa, il V12 continuò ad equipaggiare tutte le vetture di punta. Anche il primo modello del nuovo corso, la Murciélago del 2001, montava un’unità derivata direttamente dal progetto di quasi quarant’anni prima. La meritata pensione sarebbe arrivata nel 2011, con l’arrivo di un 6,5 litri di nuova progettazione utilizzato fino al 2022. Ovvero quando l’Aventador Ultimae avrebbe chiuso la storia delle Lamborghini prive di componenti ibride. Ma la leggenda del V12 rimane a dimostrazione di come un motore possa scrivere un capitolo di storia della Motor Valley.
Il canto del V12 di una Countach LP5000S senza interferenze (EverydayDriver su YouTube)
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