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I Racconti del Commissario – Larrousse, “noir” da Formula 1

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Una piccola squadra

Signes è un paesino provenzale di nemmeno 3.000 abitanti a due passi dal Circuito Paul Ricard, storica sede del Gran Premio di Francia di Formula 1. Alla fine degli anni Ottanta un ex pilota di altissimo livello come Gérard Larrousse aveva scelto proprio quel piccolo centro per la sede della squadra che aveva fondato per competere nella massima formula. Erano gli anni finali dell’era turbo e del ritorno agli aspirati, degli avvicendamenti tra costruttori e piccole squadre che, sfruttando la grande disponibilità di sponsor dell’epoca, mettevano un piedino nel “Circus” lottando col coltello tra i denti nella terribile tagliola delle prequalifiche. La Larrousse non faceva eccezione, ma nel corso degli anni aveva iniziato a guadagnarsi il suo spazio trovando un accordo con un costruttore come Lamborghini per la fornitura del motore e raggiungendo addirittura il podio al Gran Premio del Giappone 1990 con il pilota locale Aguri Suzuki, terzo al traguardo. Ma i problemi erano sempre dietro l’angolo.

Venturi non basta

Dopo un 1991 travagliato, con le monoposto francesi spinte dai propulsori Ford DFR incapaci di cogliere alcun punto e le casse sempre più vuote, il team dell’ex pilota transalpino fu ad un passo dalla bancarotta. Un’ insperata ancora di salvezza venne offerta da Venturi, piccolo costruttore di auto sportive disposto a rilevare il 65% della scuderia che riottenne anche la fornitura dei propulsori Lamborghini e la progettazione del telaio curata dallo studio dello storico progettista March Robin Herd. Nonostante le premesse positive anche il 1992 fu però un’altra stagione disgraziata per Larrousse con un unico punto strappato da Bertrand Gachot a Montecarlo. A fine anno la Venturi uscì dalla proprietà della scuderia e patron Gérard si ritrovò nuovamente ad un passo dalla chiusura. O forse no.

 

Un curioso finanziatore

Prima di farsi da parte la dirigenza della Venturi si era messa alla ricerca di un interlocutore che potesse rilevare la sua parte di quote. Esso venne individuato in una società con sede a Cannes chiamata Comstock Development, il cui nome si collegava all’omonima miniera di argento americana. Al momento della cessione venne annunciato che la squadra sarebbe stata finanziata attraverso uno schema di investimento che avrebbe dovuto produrre un reddito sufficiente a sostenere le attività sportive ed assicurare allo stesso tempo un profitto agli investitori. Fare crescere una squadra della massima formula riuscendo a guadagnare denaro solo mettendo le ruote in pista appariva un’affermazione abbastanza ottimistica per non dire utopica in ogni epoca. Ma a volte è meglio esagerare con i proclami visto che nessuno ci fece molto caso e l’affare andò a buon fine. Anche dalla Motor Valley continuarono ad arrivare i V12 Lamborghini LE3512 e poté prendere vita la Larrousse LH93, prima monoposto costruita internamente dalla squadra.

 

Doppia identità

Ma a chi apparteneva in realtà la società che aveva rilevato le quote di Venturi? La Comstock risultava essere di proprietà dell’uomo d’affari tedesco Rainer Walldorf. Un nome teutonico come un altro, peccato però che questo cinquantenne manager che aveva appena realizzato il sogno di possedere una squadra di Formula 1 non fosse in realtà il signor Walldorf. Si trattava bensì di un certo Klaus Walz e dietro la falsa identità si nascondeva una storia più incredibile delle affermazioni sull’autofinanziamento della squadra. Walz infatti risultava ricercato dalle polizie di diversi paesi a partire dalla meta degli anni Ottanta per essere a capo di una banda internazionale di concessionari con base a Desio che ricettava automobili di lusso rivendendole a clienti in tutto il mondo. Ma la posizione di Walz era ancora più pesante visto che a suo carico pendeva anche l’accusa di avere assassinato un meccanico di automobili italiano oltre a quella di essere autore di altri tre omicidi tra Italia, Portogallo e Svizzera.

 

Presenze indesiderate

Il “Circus” scoprì di avere in casa questo scomodo personaggio nel giro di poche settimane. Il sedicente Walldorf possedeva una casa a Valbonne, sulle colline alle spalle di Nizza, ed in quella residenza ricevette ben presto una visita della Gendarmerie. Gli agenti francesi fecero irruzione nell’abitazione con un mandato di arresto dando il via ad una storia nella storia, degna di una sceneggiatura da pellicola d’azione. Walldorf, appena resosi conto di essere stato smascherato e di essere tornato ad essere Klaus Walz non oppose resistenza. Chiese solamente di poter raccogliere alcuni documenti dalla sua scrivania. I poliziotti acconsentirono e nel mentre Walz estrasse una bomba a mano minacciando di farla saltare in aria a meno che i gendarmi non avessero eseguito i suoi ordini. Dopo avere ottenuto l’obbedienza, Walz li ammanettò ai mobili lasciando libero solo l’ispettore, trasformato in autista d’eccezione sulle colline fino al punto prestabilito per l’incontro con un complice. A quel punto Walz lanciò la bomba a mano in modo da farla esplodere senza provocare danni e scomparve dopo avere ammanettato alla macchina il suo autista-ostaggio, rimasto con un palmo di naso.

Philippe Alliot ci porta in pista a Magny-Cours con la Larrousse LH93-Lamborghini nelle prove del Gran Premio di Francia 1993  (Sebinoxe su YouTube)

Una breve fuga

Un’ uscita di scena decisamente spettacolare quella del criminale tedesco, ma destinata a un epilogo poco fortunata. Un mese dopo infatti la Bundespolizei individuò il fuggitivo in Germania presso una struttura alberghiera. Ben consci del precedente avuto dai colleghi francesi, i tedeschi non usarono la stessa cortesia accerchiando subito la stanza. Dopo un vero assedio durato addirittura nove ore, gli agenti fecero irruzione. Il risultato fu un inevitabile scontro a fuoco nel quale Walz venne ucciso. Con la sua morte violenta fini così tragicamente la breve e «flamboyante» carriera di un criminale come proprietario un team di Formula 1.

 

Gérard si spezza ma non si piega

Lo scandalo Walz non giovò di certo alla reputazione della Larrousse. La sempre delicatissima stampa britannica arrivò addirittura a soprannominare il team «Murder Racing Inc.» anche se il fondatore Gerard Larrousse era del tutto estraneo alla vicenda. L’ex pilota non volle che la squadra fosse destinata ad un finale così inglorioso e tenne duro iscrivendosi al Mondiale anche nella stagione 1994. La situazione finanziaria del team peggiorava di mese in mese e la conseguenza naturale furono risultati sportivi sempre più scadenti. La squadra entrò in un circolo vizioso comune a molte altre piccole realtà e fu costretta a servirsi di piloti paganti come Jean-Denis Deletraz ed Hideki Noda senza trovare il modo di risollevarsi. Visto il rischio di mancato pagamento, Robin Herd non si occupò della progettazione dei telai per la stagione 1995 e Larrousse cercò di accordarsi con la DAMS, altra realtà transalpina che aveva tentato inutilmente di iscriversi al Mondiale. Nessuna di queste trattative andò a buon fine e ad aprile di quell’anno il due volte vincitore della 24 ore di Le Mans fu costretto a gettare la spugna. Insegnando a tutti che la scelta dei soci nel mondo degli affari spesso vale più delle capacità dei singoli. Chapeau Monsieur Larrousse.

 

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