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I Racconti del Commissario – Una Pantera nella foresta
Finale esotico
C’è una domanda molto affascinante per un appassionato di motori. Quanta strada può fare una sportiva di razza nata per correre libera? Intendo: quanto può fisicamente spostarsi per disputare una gara? Scavando come un archeologo dell’automobilismo sono riuscito a trovare una risposta davvero inattesa. Ho dovuto scavare (metaforicamente parlando, si intende…) fino allo strato più ricco di reperti, quello degli anni settanta dello scorso secolo, ritrovando traccia di una corsa in una terra senza alcuna tradizione automobilistica ma che decise il campionato del mondo endurance piloti 1979. Quella corsa è la 6 Ore di El Salvador e sulla sua incredibile griglia di partenza trovò posto anche una gran turismo nata nella Motor Valley, anzi la più esotica di tutte: una De Tomaso Pantera. Ma come si era arrivati fino lì? Mettetevi comodi e preparatevi ad un lungo viaggio.
Scelte sbagliate
A fine anni Settanta il mondo delle gare di durata era in forte recessione. La crisi petrolifera si sommava alla crescente popolarità della Formula 1, potente polo di attrazione per pubblico e sponsor. Per rilanciare l’ Endurance, la FISA (oggi FIA) decise di creare un nuovo campionato piloti unendo in un unico torneo competizioni americane ed europee. Idea ottima sulla carta, molto meno nella pratica. Le dieci prove scelte erano una fusione a freddo di vetture e corse molto distanti tra loro tecnicamente e geograficamente. Accanto alla “regina” 24 Ore di Le Mans, terreno di caccia per prototipi e GT, erano valide la 24 ore di Spa (riservata alle Turismo) e le gare più prestigiose d’America, ovvero 24 ore di Daytona e 12 Ore di Sebring, disputate da sole GT. Per riempire il calendario erano state scelte una serie di corse su piste statunitensi (Talladega, Riverside, Road America) frequentate da soli concorrenti locali. Insomma un “calderone” che alla resa dei conti non piaceva a nessuno e che si sarebbe concluso il 18 novembre con la 6 ore di El Salvador, sullo sconosciuto Autodromo El Jabalì.
Decenni dopo la 6 ore mondiale, l’Autodromo El Jabalì resta teatro selvaggio di gare con qualunque tipo di vetture (Wildhirt – Sconosciuto)
Una griglia variegata
Come poteva avere successo una gara alla sua prima edizione su circuito avvolto dalla foresta? Infatti ne ebbe poco. Se possibile il tutto divenne ancora più complicato nelle settimane precedenti. El Salvador infatti non era solo un piccolo stato centroamericano nemmeno sfiorato dall’automobilismo, era anche un paese sull’orlo di una sanguinosa guerra civile che sarebbe durata per tredici anni. Eppure la gara si disputò regolarmente e l’elenco iscritti era composto dal meglio dell’automobilismo indigeno. In pratica i piloti erano quasi interamente salvadoregni di cui nessuno poteva definirsi un professionista, mentre il parco vetture non avrebbe potuto essere più eclettico. Accanto a Porsche 935 e 911S o Chevrolet Corvette e Camaro scesero in pista vetture turismo di ogni tipo. Dalle Mini Cooper alle NSU Prinz, dalla Volkswagen Golf alla Fiat 124, fino alle Alfa Romeo Giulia GTA ed Alfasud. Oltre ovviamente alla già citata De Tomaso Pantera iscritta con numero 26 dalla scuderia Llaresa per l’equipaggio Lopez – Melendez – Santana. Un pezzo di “terra dei motori” nel circuito più sperduto del globo terracqueo!
Dominatori Yankee
Gli unici piloti giunti ad El Jabalì per giocarsi il campionato erano i più esperti e meglio equipaggiati. Si trattava dei fratelli americani Bill e Don Whittington al volante della loro Porsche 935 insieme a “Jamsal El Salvador”, al secolo Enrique Molins. Ovvero il miglior pilota locale che avrebbe poi disputato qualche corsa negli Stati Uniti prima di diventare Ministro dello Sport nel suo paese. L’ unico teorico avversario per Don Whittington era l’ altro statunitense di origine cubana Tony Garcia, al volante di una decisamente meno potente Carrera 911. Ma si trattava di ipotesi buone solo per i matematici, perché nei fatti la gara non ebbe storia. Il trio favorito partì al palo prendendo immediatamente la testa che avrebbe perso solo in occasione dei rifornimenti, prima di concludere con una facile vittoria. Don Whittington fece suo il campionato portando nella storia dell’auto anche Jamsal, primo ed unico pilota salvadoregno a vincere una gara mondiale. Tony Garcia giunse solo quinto, chiudendo addirittura terzo in campionato alle spalle di Dick Barbour e davanti a Roger Mandeville in un festival di piloti “yankee”. Era evidente come gli statunitensi fossero enormemente favoriti dal calendario di quello che voleva essere un campionato mondiale ma che, nella pratica, non interessò proprio a nessuno. Ben più importante per la premiata ditta “Whittington Bros.” fu la vittoria nella 24 ore di Le Mans di qualche mese prima insieme ad un professionista del calibro di Klaus Ludwig. Era passato solo un anno da quando erano arrivati sulla scena dell’automobilismo internazionale, sospinti da grandi risorse di dubbia provenienza. Quale? Beh, magari lo scoprirete in un altra puntata dei “Racconti del Commissario”!
Un breve filmato dedicato alla incredibile 24 ore di Le Mans 1979, col l’attore Paul Newman sulla Porsche giunta seconda dietro alla gemella dei fratelli Whittington (AP Archive su YouTube)
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