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PIERLUIGI MARTINI – THE POCKET ROCKET

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Spesso si parla della Formula 1 degli anni d’oro. Quell’epoca dove i miti e gli eroi si sfidavano in macchine potentissime e dove la vita poteva volare via in un secondo. Ma all’interno di quest’epoca ci sono stati tanti grandi piloti, che non hanno mai vinto nulla, ma che per il solo fatto di esserci stati hanno vinto tutto. Uno di questi è un pilota di Ravenna, che nella vita è stato per tutti “the pocket rocket”: Pierluigi Martini.

IL DECOLLO. Se cercate Pierluigi Martini da qualche parte, in quel magico mondo che si chiama “Internet”, troverete scritto: “partecipò 119 Gran Premi nel campionato del mondo di Formula 1 tra il 1984 e il 1995, trascorrendo la maggior parte del tempo con il Team Minardi. Alla 24 Ore di Le Mans, corse cinque volte, vincendo la gara nel 1999 su una BMW V12 LMR insieme a Joachim Winkelhock e Yannick Dalmas.” Si, tutto molto bello e a questo ci arriviamo. Ma può un pilota, che ha gareggiato per decenni nella sua carriera, essere degno di sole tre righe su internet. Ecco, non la pensiamo così.

Pierluigi Martini nasce il 23 aprile del 1961 nella città di Lugo, in provincia di Ravenna. Da ragazzo, come del resto tutti da quelle parti, è influenzato dal sapore della piada e dal rumore dei motori. Come tanti ragazzini romagnoli riesce ad entrare nel mondo dei motori grazie alla famiglia e soprattutto per merito di suo zio: Giancarlo Martini. Un uomo che può vantare di aver corso in gare, “non di campionato”, in Formula 1 con la Ferrari 312T di proprietà del team Scuderia Everest di Giancarlo Minardi. Il giovane Martini diventa in pochissimo tempo un predestinato. Una sorta di Charles Leclerc ante litteram per la casa di Faenza, passando da pilota della Minardi F1 Team fino a diventare leggenda della piccola scuderia italiana. Tuttavia, il pilota di Lugo, deve mangiarne di pasta di prima di diventare un pilota ufficiale nella massima categoria, così come tutti inizia la sua scalata verso “l’El Dorado”.

IL VIAGGIO. Le prime esperienze ufficiali iniziano a 21 anni, esattamente nel 1983, dove Pier debutta in Formula 2 con la Minardi. Il debutto poi è di quelli che non ti scordi mai. Sul circuito di Misano Martini arriva al secondo posto dietro Jonathan Palmer, anche lui futuro pilota di Formula 1, nonché padre di Jolyon Palmer. Poco importa se non arriva la vittoria. Il team di Faenza è sbalordito, ma non è finita qui. Nello stesso anno vince il titolo europeo di Formula 3 e corona il sogno di partecipare anche nella 24 ore di Le Mans alla guida di una Lancia LC2.

Nel 1984, Martini ha l’opportunità di debuttare in Formula 1 con Toleman ma non riesce a qualificarsi per il Gran Premio d’Italia. Così l’anno successivo arrivò la chiamata di Giancarlo Minardi, che propose al pilota italiano di correre l’intera stagione di F1 con il team di Faenza. La M185 era complicata da guidate e poco competitiva, combinata poi con l’inesperienza di Martini, arrivarono 13 ritiri 16 e un ottavo posto in Australia come miglior risultato della stagione. Dopo anni di problemi e di addii, legati alla mancanza di prestazione, Martini si ritrova in F3000. Le prestazioni sono buone come la vittoria all’Autodromo di Pergusa e altri tre podi. La somma di questi risultati portano Martini al 4° posto in campionato dietro Roberto Moreno, Olivier Grouillard e Martin Donnelly. Ma il meglio deve ancora arrivare.

VEDERE IL MONDO DALL’ALTO, O QUASI. Contemporaneamente alla F3000, Martini viene chiamato da Minardi dopo il Gran Premio del Canada per sostituire Adrian Campos.
La seconda occasione in F1 per Martini arriva al Gran Premio degli Stati Uniti, tra le strade cittadine di Detroit. In quell’occasione arriva subito un sesto posto e il suo primo punto in carriera in Formula 1. La stagione del 1989 è leggermente migliore, sebbene, l’inizio del campionato non è proprio dei migliori. Dopo i primi aggiornamenti alla vettura, però, arriva il primo risultato utile. Martini conquista il quinto posto al Gran Premio di Gran Bretagna, per poi replicare in Portogallo con lo stesso risultato. In Australia, gara di chiusura della stagione Martini arriva 6° dopo essere partito dalla terza piazzola. Il feeling con la vettura sembra esserci, tanto da diventare in pochi mesi il beniamino di tutta la Romagna e soprattutto del suo boss, Giancarlo Minardi, che stra vede per lui.

Il 1990 non è la miglior stagione di Martini, ma questo non ferma la scuderia di Faenza, che nel corso della stagione seguente regala a Martini la nuova M191. La macchina del suo vero amore in F1. Il miglior anno per il pilota italiano, nella massima categoria. Il destino poi sa essere beffardo, perché nel circuito di casa per la scuderia e per il pilota arriva un bellissimo 4° posto, che però poteva diventare ancora più bello.

IL RITORNO A TERRA. Dopo quel magico 1991, la carriera in Formula 1 di Martini cala. Forse, per i problemi delle vetture guidate e forse per l’età, Martini non riesce più a trovare i guizzi da “Rocket Pocket”. La stagione del 1995 è l’ultima in Formula 1: l’ormai veterano di Lugo non ce la fa più. Non ha più le motivazioni e a metà campionato molla tutto salutando per sempre il team di Faenza.

UN ULTIMO VIAGGIO. Dopo anni di avventure nelle categorie inferiori, nel 1998, Martini si unisce all’ambizioso team BMW che voleva disperatamente conquistare Le Mans. Una “chance” da cogliere immediatamente e questo Martini lo sa benissimo. Il primo tentativo, al fianco di Johnny Cecotto e Joachim Winkelhock, non ha il successo sperato: i tre si ritirarono nella prima fase della gara. Nel 1999, tutto cambia. La fortuna da una parte e la voglia di riscatto portano la gloria aspettate per 38 anni dal pilota di Lugo. Martini si assicura il suo posto nella storia vincendo la 24 Ore di Le Mans alla guida della leggendaria BMW V12 LMR al fianco di Joachim Winkelhock e Yannick Dalmas.

LA VOCE NASCOSTA. Il racconto non può essere così ricco di effetti speciali, anche perché non parliamo di Schumacher o Prost, ma è ricco di umiltà. Quella sana umiltà dei paesini italiani di anni ’70 e ’80. Dove di faceva di tutto anche con niente. Dove si simulava un GP di Formula 1 con i tappini sull’asfalto.

Un esempio, però, di questa fatica umile, Martini, l’ha raccontata di recente al Corriere di Bologna. Si parla di Ayrton e del suo tragico rapporto con la Williams, ad un certo momento a “Rocket Pocket” viene chiesto se Ayrton gli avesse mai parlato male della vettura, Martini disse: “Sì, non riusciva a guidarla, saltava molto e dopo Imola voleva gli cambiassero l’abitacolo, altrimenti non avrebbe più corso con loro. Gli dissi ‘se fai fatica a guidarla perché salta, pensa a me… la mia macchina la chiamano il cammello, salta sempre!’. E lui mi rispose: ‘Sì, ma tu sei abituato alle brutte donne. Io con le brutte donne mica ci vado!’”. Pierluigi Martini, “the Rocket Pocket”.

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