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Rugby – Test Match: Italia v. All Blacks 10-68 – 14 Nov

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Il rugby è uno sport crudo, dove al 99,9% il più forte vince (o stravince) senza mai risparmiarsi sino all’ottantesimo. Tutti danno tutto fino al fischio finale.  È una questione di onore, rispetto e professionalità. Praticamente la base di ogni sport.

Ecco, diciamo che gli All Blacks rappresentano l’evoluzione della specie: sul campo mescolano l’esplosività polinesiana, la disciplina britannica e l’attitudine battagliera degli antichi guerrieri maori. Fuori, una macchina organizzativa talmente capillare da consentire ad un isolotto oceanico popolato da 4 milioni di abitanti, di restare sempre al vertice del ranking. Prendiamo ad esempio il giovanissimo XV che sabato ha sfidato l’Italia del nuovo corso irlandese.

1 Crocket, 2 Taylor, 3 Faumuina, 4 Tuipuloto, 5 Barrett, 6 Dix, 7 Cane(cap.), 8 Luatua, 9 Kerr – Barlow, 10 Cruden, 11 Naholo, 12 Brown, 13 Fekitoa, 14 Dagg, 15 Mc Kenzie.

Notato qualcosa?

Facile, un turn over quasi esasperato. Tanto per intenderci, il capitano dei Kiwis era la terza linea ala Samuel Cane, “appena” (oh, si fa per dire èh!) 27 caps con la t-shirt degli invincibili. Retallick e Moody erano a sedere in panchina affianco del selezionatore Hansen. Lo sbarbato Ioane era al debutto assoluto, mentre Kiriean Reid addirittura in tribuna Monte Mario.

Come se nel calcio, l’Argentina lasciasse fuori appositamente Messi, Aguero e Higuain.

Morale: la prima tappa europea per i campioni del mondo ha funto da laboratorio per il lancio di nuovi giovani (e che giovani!), in cerca di una riconferma per il proseguimento del tour nel vecchio continente. Una maglia che hanno sudato e desiderato da quando, ancora bambini, magari giocavano nei parchi di Auckland o di Wellington imitando le imprese di Jonah Lomu. D’altronde, se questo fuoco non fosse costantemente alimentato dai sogni dei giovani neozelandesi non si potrebbero mai raggiungere certi record. Butto lì due numeri: 88 vittorie nelle ultime 103 partite. 3 mondiali dominati (’87; 2011; 2015) da quando vengono ufficialmente riconosciuti come tali, cioè dal 1987. 18 successi consecutivi: la più lunga striscia vincente nella storia della palla ovale! (interrotta dall’Irlanda dieci giorni fa in quel di Chicago). E proprio per non farsi mancare nulla, detengono il primato del gap più largo di punti mai ottenuto in un solo match (145 -17 contro il Giappone nel 1995). Cosa possiamo aggiungere?

Fronte italico. Non poteva esserci esordio casalingo più duro per il nuovo corso di Conor O’Shea. Il Tecnico irlandese si conferma l’opposto del suo predecessore transalpino Brunel. Annuncia ad inizio settimana la formazione e responsabilizza tutti i titolari sin da subito. È sicuro di aver fatto la scelta giusta e anche se “il cambiamento non può avvenire in una notte” sembra sempre più convinto di esser l’architetto ideale per progettare le fondamenta azzurre. Certo, dopo una buona campagna americana (battute USA e Canada, perso di misura contro l’Argentina) doveva confrontarsi con i migliori del pianeta e mediamente quando l’Italia affronta la nazionale dalla foglia di felce ne prende 50. Tuttavia, nonostante la rosa ridotta dagli infortuni (Campagnaro e Sarto out, Ghiraldini KO dopo pochi minuti), non ha paura di scegliere nel ruolo di mediano di mischia l’esordiente assoluto Bronzini e di schierargli affianco Canna con McClean numero 12.

Coraggio e voglia di cambiare. I risultati arriveranno.

La partita in quanto tale, dura meno di 10 minuti. C’è poco da raccontare: la marea nera è troppo potente per esser arginata dall’orgogliosa trincea italiana. Nonostante gli All Blacks “titolari” siano a riposo in vista della rivincita contro la nazionale irlandese, prevista sabato a Dublino, il dislivello è comunque incolmabile. 10 mete subite (la prima dopo nemmeno 4 minuti sugli sviluppi di una mischia ai 10 metri), tante scelte al piede sbagliate ed una percentuale di placcaggi non riusciti troppo alta.

Lati positivi ce ne sono comunque stati.  La disciplina della squadra per esempio, che concede globalmente solo 4 punizioni. La buona prova di diversi singoli (Canna e Bisegni su tutti).  La meta di Boni che, anche se arrivata a punteggio sepolto, può accrescere l’autostima del gruppo.

Infine, è sempre giusto sottolineare come il pubblico risponda sempre alla grande. Oltre 60 mila paganti e record storico d’incasso (1,7 milioni di Euro).

Adesso ci sarà da preparare la settimana che porta alla sfida contro gli Springboks; intendiamoci subito, davanti ai sudafricani sarà ancora una volta impossibile portare a casa la buccia, ma l’obbiettivo è quello di alzare l’asticella per poi andare a vincere contro Tonga il 26 Novembre all’Euganeo di Padova.

Curiosità finale. Sapete perché si chiamano “All Blacks” ?  Semplice, perché giocano tutti vestiti di nero. Si, ma se vi dicessi che fino al 1894 il loro completo era interamente blu!?Ecco che allora spuntano due teorie.

La prima (la più verosimile) sostiene che un errore di battitura dello stenografo durante la tournée della Nuova Zelanda in Gran Bretagna ad inizio ‘900, trasformò il commento stupito del reporter inglese “all backs” (cioè sono tutti bravi come dei trequarti) in “all blacks”.

La seconda invece, si aggira molto di più nell’ambito fantasy. Pare che il vestito nero sia stato adottato dai neozelandesi ad inizio del secolo scorso in segno di “lutto”; un modo per commemorare le sconfitte degli avversari che cadevano uno dopo l’altro di fronte alla loro straripante supremazia.

Una leggenda insomma, esattamente come coloro che difendono l’anima di una sperduta isola del pacifico…

 

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