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Rugby – Test match: Italia v. Sud Africa 20-18 – 20 Nov
La storia non è altro che una fitta ragnatela di ricordi intimamente legati ad una data. Alcuni sono da cestinare, altri -come questo- da ricordare per sempre.
19 Novembre 2016. Stadio Artemio Franchi di Firenze.
Nel gran ducato di Toscana arriva un Sud Africa forte del suo quarto posto nel ranking mondiale, ma reduce da mesi di continuo logorio. Le cinque sconfitte subite nelle ultime sei partite, l’infinita polemica sulle quote “colored”( 30% adesso, 50% entro il 2019), il ricambio generazionale che trasuda dubbi dalle parti di Johannesburg ed un presuntuoso approccio alle gare, lasciavano intravedere qualche misero bagliore di speranza agli occhi dei più inguaribili ottimisti. Oh intendiamoci, avranno anche poche certezze, ma se è vero che “l’Italia perderebbe anche contro una qualsiasi provincia sud africana”(citazione di un luminare della palla ovale australe), non dovrebbero avere problemi a schiacciarci.
Beh caro amico, forse la vecchia Italia, non certo questa. Tra una birra e l’altra scorgo subito tre punti chiave.
Il primo. Ho notato il tecnico irlandese Conor O’Shea intonare l’inno di Mameli molto meglio di Bobo Vieri ai mondiali. Ci tiene e si vede.
Il secondo. Sin dai primi minuti si è vista una tale ferocia difensiva, da non permettere agli Springbooks(che sull’aggressività fisica impostano le loro partite) di metterci i piedi in testa.
Il terzo. Dopo aver subito una meta a causa di una nostra disattenzione, pareggiamo immediatamente i conti con l’equiparato Van Schalkwyk sugli sviluppi di una moul avanzante. Anzi, andiamo addirittura in vantaggio grazie alla trasformazione di Canna. Il tutto nel giro di 2 minuti. Tradotto: prendiamo un cazzotto, andiamo al tappeto, ma subito dopo ci rialziamo.
Colpo su colpo. Al 18’ però, tocca al loro orgoglio rivoltare il segnapunti. De Allende è troppo veloce sul binario di destra per esser fermato e va oltre l’ultima linea. Lambie converte e gli ospiti si portano sul 12 a 7. Noi rispondiamo con il piazzato di Padovani da oltre 50 metri. La bonarda del veneziano s’infila in mezzo ai pali e quando suona la campanella dell’intervallo siamo sotto di appena 2 lunghezze(10- 12).
Qualcuno, sottovoce, comincia a credere al miracolo.
La svolta. La ripresa comincia con la più classica delle indiscipline latine. Svirgoliamo un calcio piuttosto banalmente, commettiamo due falli consecutivi e costringiamo l’arbitro Clancy ad estrarre un giallo per Fuser. Stavolta i verdeoro vanno per i pali, lasciando da parte la vanità per un nutriente spuntino da tre punti. Lambie non sbaglia e fissa lo score sul 10 a 15.
Ecco, la classica situazione in cui l’Italrugby butta via tutto. Adesso si trova in inferiorità numerica e sotto di 5 punti. È il momento più duro dell’incontro e proprio in quest’istante si riscrive la storia. Loro spingono (per la verità con parecchia confusione) ma noi alziamo una trincea tanto orgogliosa quanto impenetrabile. Stupenda prova di coraggio azzurra. Favaro guida la caccia alla volpe mentre Parisse si carica la “giovine Italia” sulle spalle. Nonostante l’uomo in più, i “Boks” non riescono a chiudere la partita.
Appena ristabilita la parità numerica, andiamo meritatamente in meta con una superba azione alla mano che manda il buon Venditti oltre l’ultima barricata “Afrikans” sul lato sinistro del campo. Canna trasforma da posizione defilata e, fra il sacro ed il profano, ci riportiamo avanti per 17 a 15.
Non è finita. Il mancino di Janties ci ricaccia sotto di un solo punto, ma ormai il piede di Canna è talmente caldo da non fallire più ed infilare la porta nell’ultimo piazzato dell’incontro. Quello del definitivo sorpasso. Quello della leggenda. A dieci dal termine conduciamo col punteggio di 20 a 18.
Utopia e misticismo s’intrecciano fra i banconi del pub.
Negli ultimi 600 secondi succede un po’ di tutto. Placchiamo e ragioniamo. Nigel Owen (oggi assistente dell’arbitro) non convalida giustamente una nostra meta per una fuoriuscita laterale millimetrica. Benvenuti rischia persino di mandare in “try zone” Bisegni con un calcio-passaggio da orgasmo. Infine, quella candida manona di Biagi, che sporca la loro rimessa laterale consentendo a Tommaso Allan di spedire fuori il pallone e far correre i titoli di coda sul più grande pomeriggio del rugby italiano.
È finita: 20 a 18 per gli azzurri!
Fattore C. C come Coraggio, quello che ha sempre mostrato lo staff tecnico venuto dalla fredda Limerick. Anche oggi erano presenti nello ”starting XV” Bronzini (appena due caps) e Panico (mai partito titolare in un match internazionale). In panca due esordienti assoluti come Ferrari e Quaglio.
C come Commozione, quella che ho provato io al fischio finale. Mai l’Italia aveva battuto una nazione del “top four” e mai era riuscita ad emozionarmi come oggi. Seguo questo sport da tanto e mai mi era capitato di versare una lacrima di gioia.
Infine C come Conor, a cui dedico il mio personalissimo “GRAZIE” per aver regalato a tutti noi una giornata indimenticabile!
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