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Sei Nazioni 2024, il racconto di un’impresa storica

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Fonte: Federazione Italiana Rugby

16 marzo 2024. Una data da cerchiare per tutti gli appassionati italiani di rugby. La data è storica perché l’Italia batte il Galles a Cardiff e conclude il miglior Sei Nazioni della sua storia. Non a livello di classifica, bensì di risultati. Due vittorie e un pareggio, in uno sport in cui il pari ha un sapore amaro, di incompiuto, per quanto raramente si verifichi. 

Ma la meraviglia che la squadra azzurra ha saputo creare, anche nei non assidui appassionati, è stata trascinata dalla bellezza di una squadra che ha saputo incantare con la forza delle idee, con la sfrontatezza che solo un gruppo così giovane poteva regalare.

Inghilterra e Irlanda

Anche il più ottimista dei tifosi, però, alla prima pausa del torneo non avrebbe potuto immaginare quanto stava per accadere. La prima partita contro l’Inghilterra, terminata con il punteggio di 27-24 in favore dei sudditi di Sua Maestà, aveva lasciato quel senso di soddisfazione visiva e di non risolto che troppe volte i tifosi italiani hanno provato. Quella sensazione fastidiosa che portava al pensiero che sì, si poteva fare, ma che manca sempre qualcosa per arrivare a ottenere un risultato storico. 

Per non parlare, poi, della sconfitta di Dublino: 36-0 contro un’Irlanda che, oggettivamente, sembrava troppo per tutti, figurarsi per noi. E quindi ancora a rimuginare sulla distanza che ancora c’è tra gli Azzurri e le altre compagini del Sei Nazioni. Che il problema è sistemico, che il rugby nel nostro paese non attira e dobbiamo rassegnarci a questo limbo infinito in cui non siamo allo stesso livello delle grandi del mondo, ma siamo troppo forti per confrontarci con le squadre del cosiddetto Sei Nazioni B: le varie Georgia, Portogallo, Romania per dirne alcune.

Francia, Scozia e Galles

Ma a Lille, perché lo Stade de France è in ristrutturazione per le Olimpiadi, l’Italia che va in campo è eroica nei primi quaranta minuti. Andiamo avanti noi, con un calcio di Paolo Garbisi, ma da lì in poi è pura trincea. Perché, come diceva Marco Paolini in un meraviglioso spettacolo sulla palla ovale, il calcio sta alla Seconda guerra mondiale come il rugby sta alla Prima. E quindi difesa, difesa e difesa. I francesi sono più forti, questo è evidente, ma si piacciono troppo e noi siamo ordinati. Una disciplina commovente degli Azzurri e il punteggio a fine primo tempo dice solo 13-3. 

E la ripresa si apre con un colpo di scena: il cartellino giallo a Danty diventa rosso e il secondo tempo è tutto di marca azzurra, un altro piazzato di Garbisi e la meta di Capuozzo portano il risultato sul 13-13. E all’ultimo minuto accade l’imponderabile: calcio di punizione per l’Italia, Garbisi sistema il pallone, il cronometro scorre inesorabile e la palla cade dalla piazzola, il nostro numero 10 deve affrettare il calcio e la palla colpisce il palo. Stavolta l’amaro in bocca è tanto, tantissimo, ma le altre squadre si accorgono di noi. Siamo temibili e la prossima è in casa.

E la partita contro la Scozia è un inno al rugby italiano. Un Olimpico tutto esaurito trascina gli Azzurri a un successo strepitoso: finisce 31-29. Esemplificativi di quel pomeriggio sono gli ultimi 2 minuti e 37 secondi. L’Italia l’aveva già vinta, bastava amministrare, ma la storia sportiva del nostro tricolore ci insegna che, spesso, siamo i peggiori nemici di noi stessi. Chiedere alla generazione d’oro del calcio anni Novanta per maggiori informazioni. Dopo un secondo tempo di qualità forse mai così alta, la Scozia segna la meta che accorcia le distanze a tempo quasi scaduto. Hanno a disposizione un altro possesso, bastano tre punti, non serve la meta. È un film già visto. Faremo fallo o saranno pazienti e vinceranno con un drop. La storia del rugby italiano è piena di partite finite così. L’Olimpico intero trattiene il fiato, è un’apnea collettiva che si scioglie in un tripudio quando agli scozzesi cade la palla. È fatta. Undici anni dopo l’ultima volta, l’Italia torna a vincere a Roma. Undici anni di delusioni vengono spazzate via in un attimo dall’urlo di liberazione con le braccia al cielo di Michele Lamaro.

Già, Michele Lamaro. Il nostro capitano. L’uomo che nel Sei Nazioni di quest’anno ha battuto il record di placcaggi in un singolo torneo. 103. Mica male. 

Ma ci sarebbero tanti nomi da fare per esaltare un’impresa sportiva senza precedenti. Nacho Brex ad esempio. Man of the Match sia nella partita contro la Scozia che contro il Galles. In quello stadio che due anni prima ci aveva riportato alla vittoria dopo sette anni e che aveva battezzato nel fuoco dei Dragoni Rossi l’arrivo sul pianeta rugby di un predestinato. Un normolineo con la faccia da bravo ragazzo e una capacità di accelerazione mai vista dalle nostre parti. Ange Capuozzo che, però, non è stato della partita a Cardiff per una frattura all’anulare patita al terzo minuto della gara contro la Scozia. Ma rivedendo la partita è impossibile accorgersene. Nel ruolo di estremo gioca Lorenzo Pani, quindi. Classe 2002. E non lo fa rimpiangere. L’Italia non gioca una partita eccezionale, non è la migliore versione di se stessa. Ma, forse per la prima volta, la sensazione è che la superiorità sia netta. All’intervallo il punteggio dice 0-11. Non svegliateci, per favore. 

E il sogno non finisce. Proprio Pani mette in ghiaccio il risultato con la meta più bella del torneo: una combinazione strabiliante della nostra linea di trequarti e il giovane estremo va in meta. Poco importa se concediamo due mete nel finale, poco importa se alla fine del torneo la classifica dice quinto posto. 

Poco importa perché la squadra di Quesada alla fine è la vincitrice morale di un torneo in cui ha dato l’idea non solo di potersela giocare con tutti, ma anche di poter vincere. E urlare al mondo del rugby che ci siamo anche noi. E che questo è solo l’inizio.

 

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