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I racconti del commissario – La fiammata di Stefan

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Sliding doors

Gli anglosassoni chiamano porte scorrevoli quelle situazioni che si pongono davanti a ognuno di noi cambiando il corso degli eventi futuri. Quella più importante per Stefan Johansson ha una data precisa: 5 maggio 1985. Il giorno del 5° Gran Premio di San Marino, il primo che lo svedese disputava come pilota della Ferrari. Stefan aveva mostrato ottime doti tra F3 e F2 anche a dispetto di mezzi non sempre eccezionali. Dopo l’esperienza con la Spirit spinta da un acerbo Honda e qualche gara con la Tyrrell, un bel finale di campionato 1984 da compagno di Senna in Toleman aveva attirato su di lui le attenzioni di Enzo Ferrari, desideroso di ripetere le fortunate operazioni Lauda e Villeneuve. Liberatosi di Arnoux dopo Rio 1985, il “Drake” puntò su Johansson a partire dal Portogallo. Frettolosamente saltato in macchina, lo svedese chiuse ottavo senza poter chiedere molto di più. Il vero esordio sarebbe stato a Imola, con i tifosi orfani dell’amato Arnoux che lo attendevano come giudici senza pietà.

Una carriera in undici giri

«Più di così non potevo sperare, è andata molto meglio in gara che in prova. Una vera bomba!». Così lo svedese definì quella Ferrari che aveva qualificato solo quindicesima ma la domenica gli consentì una rimonta insperata. In una corsa con ben diciannove ritirati (tra cui anche la rossa numero 27 di Michele Alboreto) imbrigliata da una criticatissima formula regolamentare basata sui consumi, Johansson si adattò alla monoposto risalendo pazientemente una posizione dopo l’altra. Al giro numero quarantanove la classifica lo vedeva terzo, a 13”6 dal capoclassifica Senna e con la seconda piazza di Prost nel mirino. Nelle due tornate precedenti la Ferrari numero 28 aveva recuperato ben quattro secondi alla Lotus del brasiliano. Mantenendo quel passo lo avrebbe raggiunto in un poker di passaggi.

Segnali dai box

Al muretto del Cavallino il direttore sportivo Piccinini si consultò rapidamente con i tecnici Tomaini e Postlethwaite. Era il momento di sferrare l’attacco, ma dei 220 litri di benzina iniziali quanti ne restavano nei serbatoi? Sarebbero bastati aumentando il ritmo? Accanto a loro era presente l’ingegner Renzetti, responsabile dei motori. Nessuno meglio di lui conosceva i consumi del sei cilindri turbo Ferrari a qualunque pressione di sovralimentazione, nessuno meglio di lui poteva fugare ogni dubbio sulla strategia da adottare. Ma non c’era tempo per fare calcoli, occorreva agire rapidamente e la decisione dei responsabili fu chiara. Senza interrogare Renzetti venne esposto a Johansson il cartello “boost”: doveva aumentare la pressione del turbo.

Illusione rossa

Stefan non se lo fece dire due volte e con 790 CV a disposizione si gettò in caccia. Al cinquantesimo giro mise a referto un 1’33”735, ma dal giro successivo la successione di tempi fu: 1’31”572, 1’31”486, 1’31”869, 1’31”691, 1’31”672 e 1’31”017, il suo giro più veloce. Il tutto sbarazzandosi di Prost, infilato senza complimenti al cinquantatreesimo passaggio. La Ferrari numero 28 stava volando, spinta dall’entusiasmo del popolo rosso sempre pronto ad eleggere un nuovo idolo se in odore di vittoria. Senna era una preda ferita pronta per essere azzannata, ma dal muretto Postlethwaite espose nuovamente il cartello “boost” a cinque giri dal termine, sempre sotto gli occhi di un ingegner Renzetti mai consultato. Poco dopo Senna si fermò, con i serbatoi svuotati dall’assetato motore Renault della Lotus. Imola era in delirio: Johansson era in testa al Gran Premio di San Marino a tre giri dal termine. Stefan aveva visto la nera monoposto numero 12 ferma a bordo pista, sapeva di avere in mano la vittoria. Ma non sapeva che al passaggio successivo si sarebbe trovato nella stessa situazione e avrebbe parcheggiato la sua 156-F1 sul prato della Variante Alta. Il biondissimo svedese rientrò ai box con gli occhi sbarrati, i pugni chiusi ed in corpo la rabbia di chi aveva appena visto sfuggire un sogno quasi realizzato.

Game over

«Un vero peccato, vincere qui in Italia, nel circuito che porta il nome del figlio di Ferrari, sarebbe stato il massimo per me. Purtroppo è finita così. Scusa se piango, ma non so trattenermi. Mi sembra impossibile aver perso la corsa in questo modo». Stefan non riusciva a farsi una ragione dell’occasione sfuggita. Chissà se inconsciamente sentiva che non avrebbe mai vinto un gran premio. Solo una dozzina d’anni dopo avrebbe colto a Le Mans la vittoria che valeva una carriera proprio insieme all’indimenticabile Michele Alboreto. Ma nella Motor Valley il suo nome rimarrà per sempre legato al giorno in cui accese la fiamma della passione in riva al Santerno. Intensa ed effimera come quella di un fiammifero…svedese.

Un breve filmato dedicato a Johansson e alla sua impresa di Imola 1985 (Luca Casaroli su YouTube)

 

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