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Basket City, ma la pallacanestro femminile non fa notizia

Due parole sul basket femminile a Bologna. Nonostante si parli di Basket City, la palla a spicchi in rosa non riesce a fare numeri

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Virtus Segafredo Bologna
Basket: la Virtus Bologna festeggia la storica vittoria a Schio (©Virtus Segafredo Bologna)

24 aprile 2024: la Virtus femminile inizia i playoff. Terza a fine campionato, sfida una Ragusa, sesta, che poi uscirà vittoriosa 75-77 dal campo. Per capirci, non è una partita qualunque, ma è l’inizio di un cammino che porta al titolo di Campionesse d’Italia.

Contestualizziamo il tutto: la capienza della Segafredo Arena porta quasi 10mila posti, sempre sold out nelle partite di Eurolega della V maschile. I confronti non ci piacciono, ma è un punto di partenza per capire il nostro ragionamento.

Bene, mercoledì sera i presenti erano solo pochi/e reali appassionati/e e un numero ristretto di familiari, numeri che coprivano solo uno dei parterre dell’immenso impianto fieristico bolognese.

Un paio di calcoli su Basket city

Nulla di strano, direte voi. Il basket femminile fa poca audience, come certificato dall’affluenza media del pubblico bianconero alle partite, ben distante dal rigoglioso flusso di folla che popola abitualmente le serate europee e non della prima squadra maschile con la V sul petto. Bene, benissimo, ma la domanda è: perché una cosa del genere dovrebbe NON sembrare strana?

Bologna è Basket City. Non c’è abitante, giovane o adulto, uomo o donna, che non abbia mai sentito parlare di Virtus o Fortitudo. Che non conosca i colori di queste due squadre, che non sappia almeno un nome di un giocatore da un lato e dall’altro. Questa è Basket City.

Pensiamoci bene. A dir la verità, Bologna non si può definire così. Non con questi presupposti. Mercoledì: poche ore alla partita, tanti biglietti ancora largamente disponibili sulla piattaforma che li vende. Ho ricevuto una risposta, quando ho proposto di venire a vedere la partita insieme a me, che è stata la seguente: «Non mi va di spendere 5 euro per vedere il basket femminile».

Risposta curiosa, a ragionarci bene. Un tifoso di basket bolognese (e sottolineo “tifoso”) si presuppone veda una partita all’anno: costo medio, 25-30 euro. Non parliamo degli abbonati (sempre tantissimi, come Bologna insegna) che investono centinaia di euro all’anno per seguire i propri beniamini in casa e in trasferta. Insomma, senza voler parlare degli innamorati del basket, qualsiasi sia la fede, ma un tifoso medio spenderà un centinaio di euro annuali per poter vedere del buon basket.

Un problema di fondo

Appunto, del “buon basket”. Evidentemente, la città di Bologna, che vanta di aver visto passare sui propri parquet l’eccellenza del basket maschile ed europeo (affermazione assolutamente vera), non riesce ad avere il palato sufficientemente fino per apprezzare quello che la sponda rosa della palla con gli spicchi riesce ad offrire. Certo, chi ha voglia di far polemica potrebbe dire “E che ci dite dei 5337 al Paladozza lo scorso anno?” Il vero problema è che abbia fatto notizia proprio quel dato. Che un quasi tutto esaurito sia arrivato nella gara finale di una stagione da incorniciare per le bianconere (per chi non se lo ricordasse, la Virtus vinse nella stagione ’22-’23 la regular season). Una gara che peraltro le Vu nere persero contro la futura campionessa Schio, una gara per la quale si sarebbe dovuto fare la guerra per riuscire a strappare un biglietto. O meglio, in una città cultrice di basket come Bologna, ma dove si è arrivati a far notizia perché quello sconosciuto del basket femminile, finalmente o stranamente, aveva qualche tifoso.

Non vale così per tutti. Ci sono cornici in Italia che hanno canovacci ben differenti: per prima Schio, che fonda le radici della propria cultura del basket proprio su un florido settore femminile. Il problema pare proprio essere di Bologna. Non manca il materiale: la Virtus è una delle formazioni più attrezzate del campionato, dove giocano stelle assolute di fama internazionale come Cecilia Zandalasini, elementi stabili in nazionale e giocatrici del calibro europeo affermato e rinomato. Insomma, gli ingredienti ci sono tutti (una squadra solida, un allenatore di grande fama, un palazzetto meraviglioso), manca solo l’ultimo elemento, prezioso come il sale: il tifo.

Un limite che è intorno al basket

Personalmente, mi sono sempre spiegata tutto ciò con due parole: ignoranza e pregiudizio, ma forse l’una basta a contenere l’altra. Parlando con persone non avvezze a frequentare il settore, ho sentito spesso frasi riassumibili in questa: “Il basket maschile è un’altra cosa“.

Mi piacerebbe portare un esempio. La storica gara da 3 all’All Star Game tra Steph Curry e Sabrina Ioanescu. Finita la sfida, la stella WNBA ha detto: “Se sai tirare, sai tirare e basta. Non conta che tu sia uomo o donna ma conta il cuore che ci metti nel diventare la miglior versione di te stessa. Il concetto sta tutto qui. Non è giusto incolpare a priori uno sport al femminile di essere diverso, a maggior ragione quando si vanta la profonda conoscenza nell’ambito. Chi conosce la pallacanestro, la apprezza, ne ama ogni gesto tecnico e fisico, sa e saprà sempre rendersi contro della sostanziale assenza di differenze in quanto a “basket” espresso dalle mani e dalle gambe delle Vu nere.

Ecco, si può dire di non essere mai venuti a vedere una partita della Virtus, questo sì. Ci deve essere sempre un “battesimo”, presto o tardi che sia. É indubbio che l’ignoto spaventi, soprattutto in una società dove fondiamo le fondamenta sulla paura nei confronti di ciò che esce dalla nostra confort-zone. Lo sbaglio sta nel non mettersi alla prova, se proprio non si è in grado di sopportare potenzialmente la vista di 10 ragazze che balzano verso un canestro per 40′. Ma no, non si dica mai e poi mai che la Virtus femminile meriti meno attenzioni rispetto a quella maschile. Perché sarebbe un’assurdità.

Un’ultima riflessione

Concluderò con un aneddoto: il 10 luglio la Rari Nantes Bologna si conquistò in una splendida piscina Sterlino la promozione in serie A1. Un momento storico per la pallanuoto bolognese (la serie A mancava da ormai 5 anni) e c’erano tutti i nostri amici e parenti, consci dell’anno di fatiche che avevamo passato, a fare il tifo per noi: sì, anche io ero tra quelle 15 che scrissero una piccola pagina di storia di sport bolognese. Non c’era nessuno che fosse venuto, che non fosse strettamente legato a noi, a vedere quella partita. Ognuna di noi, durante quella sfida, avrebbe pianto di gioia al pensiero che anche solo una persona in più fosse venuta a vederci “perché eravamo forti”.

Salimmo in serie A, tra le nostre lacrime d’orgoglio e l’indifferenza (quasi) generale del mondo a noi non vicino. Ma la pallanuoto è un mondo oscuro ai più, dalla fama non paragonabile a quella della pallacanestro a Bologna. Penso di poter dire, tuttavia, che questa sensazione si possa avvicinare moltissimo a quella che la Segafredo ha provato tutto quest’anno: la consapevolezza di essere una grande squadra, ma quasi nessuno pronto ad applaudire ai tuoi successi dopo tanti sacrifici. Non perché non te lo meriti, ma perché nessuno lo sa.

Ecco, la Bologna del basket ha la fortuna di essere un mondo. Un mondo che la pallacanestro la ama, la vive, la tocca con mano ogni giorno. Mettendo all’angolo una squadra meravigliosa come la Virtus femminile, Bologna perde una fetta enorme e di capitale importanza per la propria fama di cultrice della palla a spicchi. Se sono e saranno 5 euro a fermare la voglia di una persona di andare alla Segafredo Arena, non si potrà mai parlare di “Basket City”.

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